domenica 30 agosto 2020

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"Sometimes I would awaken and find him working in the dime light of votive candles. Adding touches to a drawing, turning the work this way and that, he would examine it from every angle. Pensive, preoccupied, he’d look up and see me watching him and he’d smile. That smile broke trough anything else he was feeling or experiencing - even later, when he was dying, in mortal pain.

In the war of magic and religion, is magic ultimately the victor? Perhaps priest and magician were once one, but the priest, learning humility in the face of God, discarded the spell for prayer.

Robert trusted in the law of empathy, by which he could, by his will, transfer himself into an object or a work of art, and thus influence the outer world. He did not feel redeemed by the work he did. He did not seek redemption. He sought to see what others did not, the projection of his imagination."



patti smith

just kids



giovedì 27 agosto 2020

Orgiva #12

 Il caldo mi stordiva durante il giorno e così me ne stavo chiuso in casa, nudo, con il cazzo duro, a volte, a guardarmi allo specchio - disteso sul letto, gli anelli di metallo, le tue scarpe rosse con il tacco, le tue mutandine nere, le mollette per i capezzoli, elastici vari, un piccolo vibratore, i miei feticci erano sparsi un pò ovunque, li usavo, li nascondevo, li ritrovavo, lasciavo la mia immaginazione libera di esprimersi, giorni di anarchia e masochismo li aveva chiamati lo scrittore, giorni di follia controllata, di danze senza regole sui confini della normalità, sempre ammesso che ce ne fosse una - ghignava il mio riflesso da qualche parte e poi me ne andavo sul terrazzo a fumarmi un porrito, le palle legate sotto al pareo che iniziavano a gonfiarsi, a farmi pensare a te, a quando saresti tornata, non avrei eiaculato fino a quel momento, giochi mentali, fantasie erotiche ricoperte di pelle, latex, cuoio - frustini, manette, bende, corde - c’era tutta un’alchimia erotica fatta di vestiti, oggetti e parti del corpo che mi mandava in estasi, un personale teatro di esaltazione dei sensi, di piaceri e proibizioni, con ombre maschere e luci sulle assi polverose di un palco itinerante, il buio in una sala inventata dai sogni, il mio corpo in languide posizioni oniriche, mentre la tua voce mi diceva cosa fare e io la ascoltavo rapito, fuggendo lontano, oltre me stesso e tutto quello che non ho mai osato essere.

mercoledì 26 agosto 2020

senza titolo

Ci è stato donato un tempo che conoscerà una fine, nel modo in cui lo percepiamo ora, in questa lunga attesa che chiamiamo vita, in questa meravigliosa malinconia dorata che è il nostro stesso esistere. Mi capita spesso di pensare alla morte, con un profondo rispetto per quell’ultimo respiro, per tutti quelli che lo hanno preceduto, per il momento in cui si varcherà una soglia e una luce, identica a quella che splende nell’oscurità dell’anima, ci avvolgerà in una infinita bellezza.Dei giorni andati, delle illusioni della giovinezza e di quelle della vecchiaia, degli amori traditi e perduti, di ogni singola parola, di ogni sguardo, di ogni schiaffo e di ogni carezza non rimarrà nulla. Assolutamente nulla.
Di ogni ricordo, di ogni volto scomparso, di ogni notte insonne, di ogni alba, di ogni tramonto, di ogni poesia, di ogni litigio, di ogni gesto di gentilezza e violenza non rimarrà nulla. Assolutamente nulla.
Il passare dei giorni scivola lento sulla mia pelle, nel mio cuore, in tutto quello che esso racchiude, questo luogo così prezioso, così speciale. Nella solitudine che mi accompagna da sempre, nella rinuncia a ogni desiderio e aspettativa, un sentiero ha trovato i miei passi e io continuo a percorrerlo senza guardarmi più indietro. 
Perché è dove siamo destinati ad arrivare che tutto questo ha avuto inizio.

martedì 25 agosto 2020

Orgiva #11

Le colazioni alla terraza Castillo, con il fumo delle sigarette che creava figure astratte nell’aria, fra le dita di donne annoiate, il loro parlare interminabile, già a quell’ora, quando le loro bocche avrebbero dovuto essere ancora chiuse o al limite desiderose di succhiare un cazzo in erezione, suoni marini, scivolose sensazioni di ebbrezza erotica e sullo schermo della televisione passavano le immagini di pandemie mediatiche e lo scrittore si era alzato alle cinque di mattina per rileggere i suoi romanzi con occhi onirici, seconde stesure, laboratori di personale rielaborazione catartica, seguendo il ritmo delle sue visioni notturne e non c’era nessuno per strada, a quell’ora, nella piazza, non c’erano voci, né grida di bambini in stato di avanzata fibrillazione ludica, non c’erano cani, madri e vagabondi in giro e in questi momenti di silenzio ringraziavo la vita per la sua quiete, sapendo bene che non era questa la vita, ma solo il suo lato nascosto, timido e pacato, come me, al riparo in una casa vuota, con i libri e le foto e le tue scarpe con il tacco da baciare e leccare nei momenti di esaltazione masochistica (senza il bisogno di aggiungere la presenza di un laccio intorno ai miei coglioni gonfi) - O Dei della masturbazione, innalzerò altari di feticci in vostro onore e davanti ad essi mi inginocchierò a cazzo duro, vi adorerò nelle mie preghiere onanistiche, madre del cielo apri la tua fica d’aria e nuvole e lascia che gli uragani della passione ti turbino dentro - E nulla restava, lo sapevi bene e le divinità rissose con te, di questi orgasmi senza gioia, mai raggiunti e spinti lontano, nessuna bianca sostanza, nessun figlio perduto, nulla rimaneva del teatro del fottere&gridare, se non illusioni di un’intesa perversa e sfuggente e ferite e lividi viola e la tua pelle come una terra di misteri irrisolti, un campo di una guerra che mai conoscerà una fine, bandiere di resa bruciate nel fianchi, fra le gambe, nelle viscere - Bevevamo liquori in locali persi nel tempo, il tintinnare dei brindisi, il contatto dei tuoi piedi sui miei, sotto il tavolo, di nuovo a cazzo duro, ogni movimento, ogni penetrazione, come se fossimo gli ultimi amanti di una città dimenticata, in questa notte di stupende ossessioni vestite di cuoio e sospiri.


sabato 22 agosto 2020

Lanjaron #1

Viali alberati e vecchi alberghi, le ombre degli alberi a comporre mosaici vibranti sui marciapiedi e sull’asfalto delle strade, dove scivolano automobili degli anni cinquanta e battono il tempo i tacchi di donne disinvolte e sorridenti, il fotografo seduto a un tavolino, a bere birra e prendere appunti sul taccuino dello scrittore, i bagni termali e le stanze con folti tappeti orientali, le superfici cromate di bolidi futuristici, biplani in fase di decollo lisergico, quando i colori diventano stati emotivi, un’estetica cromatica di sensazioni visive, che poi qualche professore dell’Università Balinese avrebbe trasformato in immagini e teorie pittoriche, all’interno dei libri di testo di guerriglia architettonica - La corrispondenza psichica con lei, le parole che ci lasciavamo scivolare dentro, le scopate che occupavano gran parte delle nostre notti, fino all’alba di un nuovo giorno e di una nuova erezione, le sue urla di piacere e dolore che colpivano i muri della stanza mentre le schiaffeggiavo le natiche con naturale disinvoltura, i suoi occhi in cui mi immergevo e nei quali scoprivo una meraviglia dopo l’altra - Le mattine sul divano, appena svegli, che già ci scambiavamo la pelle e i suoi brividi, il cazzo duro a ogni ora, le risate e i silenzi, i film visti nel nostro cinema mentale e di nuovo la luce, fuori dalla casa, che mi indicava dove dirigermi per scattare foto e  catturarla in esse, le pagine di un diario nascosto, le frasi di Anais Nin e i deliri erotici di H. Miller e poi Parigi, svanita in un giorno di pioggia, nei riflessi in movimento sul vetro di una bottiglia di assenzio, un’alba fredda e omicida e le insegne degli hotel per miserabili, le puttane sui boulevard di un romanzo strappato da mani in stato di ebbrezza animale, non avrei mai finito di scoparti, di sprofondare nell’abisso dell’anima e in quello che la carne delle tue cosce aperte creava e distruggeva, ti afferravo per i capelli, con violenza e splendore, mentre ti cibavi del mio cazzo e ti spingevo la cappella fra le labbra fino a toccarti la gola - Danzavamo ubriachi in una lenta deriva dei sensi, era una vita che avevo perduto e poi ritrovato e non me ne fregava un cazzo di cosa sarebbe successo dopo, bevevamo ogni notte e poi scopavamo, le stelle bruciavano, i segni viola, gli attimi di estasi sospesa che precedono ogni liberazione, vengo come una marea di sogni oppiacei fra le tue labbra e a esse dedicherò poesie di selvaggia passione, cuore che gridi, indomito e pulsante, fra queste lenzuola sporche di sperma e sudore, dita nel culo e momenti d’amore, epidermidi violate, colpi di frusta come carezze proibite.

domenica 16 agosto 2020

Motril #2

Stazioni degli autobus, come si ci trovassimo in un sogno, l’attesa della partenza, le destinazioni che appaiono improvvise su uno schermo ad alta definizione, negozi di bisogni inutili, alle 15.00 sarebbe arrivato il mio contatto da Orgiva, fittizio o reale, non aveva nessuna importanza - In quanti orifizi devo amarti, diceva lo scrittore, disteso sul letto, il cazzo in erezione, la pelle ricettiva ad ogni minima sollecitazione erotica, sono i tuoi capelli, il tuo culo, i tuoi piedi, i tuoi occhi attraverso cui posso vedere la tua anima a farmelo venire duro, ad ogni ora del giorno e della notte, la violenza di ogni gesto di passione, la sconfitta, la gioia sublime e transitoria di ogni orgasmo, sospiri disciolti negli anfiteatri della mente, composizioni orgiastiche ed estasi dionisiache - Qualcuno parlava in arabo nelle strade, perché le coste del Marocco non erano così lontane, poi il particolare di un palazzo che ha iniziato a risplendere in una onirica e luminosa consapevolezza di trovarmi dall’altra parte dello specchio, dove le tue unghie hanno lasciato segni indelebili sulla pelle e i tuoi denti marchi inconfondibili  e lo sguardo di una donna anziana nel quale sprofondano tutte le nostre paure, case in penombra in cui sono stato bambino e poi le parole che non ci siamo più detti, le risate, le lacrime, Leonard Cohen che canta i suoi versi e una Marianne svanita nel tempo che lo ascolta distratta, le nostre muse, i nostri demoni, le colazioni sull’erba, i tuoi disegni, le tue lettere, le mattine a guardare i colori dell’alba da una terrazza vuota, i tuoi amanti, le tue bugie, ogni sorriso che hai tentato di proteggere in un frammento di felicità, ogni illusione cha ha danzato nell’infiammarsi di un tramonto, ogni pellicola che non abbiamo visto, ogni poesia che abbiamo dimenticato di scrivere, il lento rollio di quanto ci resta da vivere, qui, altrove, in nessun luogo - Ho accarezzato il tuo volto, ho visto la mia sborra colare dagli angoli della tua bocca, quello che non sono, quello che non sarò mai, quello che ho sognato di essere, quello che neanche le tue labbra hanno saputo chiamare con un nome che non fosse il mio.

giovedì 13 agosto 2020

Motril #1

Minuscole molecole d’acqua che evaporano in secondi sospesi, odore di sporcizia e strade in putrefazione estiva, le strutture di cemento tremolanti nella luce accecante del giorno, la mia camicia floreale, la macchina fotografica appesa al collo, gli occhi che seguono riflessi e intuizioni visive - Si formavano così mappe mentali che nessuno avrebbe mai conosciuto perché inventate e disegnate dalla mia immaginazione, gli artisti del furto si muovevano veloci nei vicoli di memorie liquefatte, sussurravano il tuo nome negli angoli e davanti a porte abbandonate e André era seduto a un tavolino di un bar di tossici&flaneur, a pensare al prossimo festino per cocainomani depravati e travestiti teutonici, i suoi amici in attitudini frocesche e costumi di colorata e bizzarra allegria etilica, mi ero fermato a bere una birra con lui, mentre mi raccontava i suoi sogni e i prossimi progetti musicali con il suo accento francese e i capelli lunghi da bohémien sfatto e gaudente - Ho preso un pullman per Motril e una volta arrivato ho vagato lungo vie in avaria, ho scattato foto e ho avuto un bianco orgasmo nella mattina silenziosa di una stanza segreta e tutto è tornato a brillare, fuori e dentro di me e durante la notte il mio doppio aveva girato per i vicoli vuoti del Barrio Alto e un’ombra si era avvicinata e mi aveva offerto i suoi servizi e poi ero sul piccolo terrazzo di casa a fumarmi un porrito e dopo disteso sul letto, scivolando verso un confortevole e inaspettato oblio, senza voci, pensieri, volti e corpi, senza ossessioni feticistiche a farmelo venire duro - Lungo le strade le persone indossavano mascherine che nascondevano la loro bocca, non era mai troppo tardi per chiudere quella fogna e rimanere senza nulla da dire, finalmente, sospirava lo scrittore e dava un altro sorso dalla bottiglia di rosso, un rioja niente male - i film di Buster Keaton e la quiete delle prime ore della mattina, il momento migliore per mettersi a scrivere, quando Orgiva riemergeva dalla tregua onirica (o dalle battaglie nei campi dell’inconscio) e io ero ancora qui e altrove e in ogni luogo e in nessuna parte, c’era un margine di costante incertezza nel quale mi ero ritrovato a nascondermi, dopo ogni fuga, senza indirizzi, recapiti telefonici, identità prestabilite, la valigetta con le sostanze era dentro un armadio, al sicuro, insieme ai tuoi frustini e alle tue scarpe con il tacco alto, il cazzo mi si gonfiava al solo vederle, te le avrei fatte indossare solo per baciarle e leccarle, poi la tua testa fra le mie gambe, le mie mani che ti afferravano i capelli, con dolcezza e violenza, a dare ritmo ai colpi della tua gola sulla mia cappella, era un atto di resa e amore, quello che svelava e nascondeva la tua pelle, quello che ti farà piangere e godere quando i miei schiaffi cominceranno ad arrivare sul tuo culo fremente, a ricordarci tutto ciò che non abbiamo mai saputo come chiamare, perché nulla di quello che ci è stato insegnato è mai realmente esistito.

martedì 11 agosto 2020

El barranco del medio

Elettricità viola nel cielo a occidente, visioni delle coste d’Africa in sogni alcolici e marittimi, la bottiglia di gin poggiata per terra fra le storie smarrite di acrobati circensi e marinai e trafficanti d’oppio - Sulla linea dell’orizzonte qualcuno scriveva poesie con i resti della propria vita, perché rimanesse l’illusione di un movimento ondulato che solo altri occhi avrebbero potuto osservare per poi dimenticare e città costruite nelle albe di progetti architettonici di un futuro proibito, gli enormi palazzi distesi in verticale sulla spiaggia, i blocchi di vetro e cemento moltiplicati in aritmie distopiche, stanze e finestre e gli sguardi galvanizzati  dietro lenti scure dei turisti pornografici, le camice floreali aperte sul petto, catene dorate e crocifissi sanguinanti, uomini nudi impiccati ai pali dell’alta tensione, a penzolare con erezioni capitali, gli imperi che i genocidi avevano innalzato sulle macabre maschere dei dormienti, volti contratti in agonie e orgasmi spasmodici e qualcuno mi aveva dato una chiave e una pasticca di ecstasy e mi aveva indicato una porta e io mi ero girato e allontanato da lui e avevo camminato lungo confortevoli corridoi di morbide moquette marroni, passi silenziosi in un labirinto di manicomi mescalinici, gli sciamani del quarto millennio preparavano la loro antica medicina, nei loro occhi risplendeva la luce di un caleidoscopio di fulmini lontani, sabbia nera, rocce disegnate dal vento, dall’acqua, dalla spuma di un’eiaculazione cosmica - Il faro del porto tremolava e si sdoppiava e le onde respiravano e il loro suono cantava la storia stessa del mondo per farmi addormentare, tempeste nella mente e le prime gocce di pioggia e le nuvole basse che oscuravano i contorni di metropoli abbandonate nei giorni che verranno, libri pieni di polvere, vecchie mappe nascoste nelle bottiglie d’assenzio del secolo scorso, una camera d’albergo in cui uno scrittore si era suicidato, poemi erotici ed etilici che le tue gambe aperte componevano nel calore di una mattina di gioia e violenza, le immagini sbiadite degli amanti abbracciati in composizioni di libido stilizzata, i ricordi che svaniscono e ci lasciano nudi e distesi su letti disfatti dal tempo, foto d’epoca e noi smarriti fra grida, amplessi e sudore.   

sabato 8 agosto 2020

Orgiva #10

Questa è la mia Tangeri, pensava lo scrittore, mentre camminava in un’alba di speranze mai nate, non c’era nessuno per i vicoli, né tossici, né spacciatori, solo i loro riflessi su finestre impolverate e portemagiche ancora chiuse e numeri sopra di esse e formule alchemiche che aspettavano di essere scoperte e le prime luci  della mattina che accarezzavano superfici mobili e taglienti - Ogni giorno era diverso e uguale a sé stesso, la poliziapsichica cercava gli uomini arabi, per arrestarli e portarli in qualche luogo in cui avrebbero dimenticato chi erano e chi avrebbero dovuto essere, le mani sul calcio della pistola come se sparare e uccidere fosse mai servito a qualcosa - Grafie illeggibili sui muri perché gli psicoagenti non scoprano i nostri segreti, reti di traffici illeciti, laboratori nascosti in cui distillare nuove bevande allucinogene, il succo di San Pedro fermentato e distribuito in bottiglie senza etichetta, strade secondarie, sentieri nelle montagne - La festa in piscina da Clarabelle, tutti ubriachi, gli strani personaggi, i bizzarri volti, i travestitismi, tutti nudi nell’acqua, le strisce invisibili di coca, i vestiti floreali, la musica che esplodeva dalle enormi casse che Vittorio aveva portato, punk, reggae, techno, ero costantemente con un drink in mano, poi non c’era più nessuno intorno e io galleggiavo disteso su un materassino rosa, il cazzo duro stagliato contro il sole - Poi discorsi notturni su una terrazza che non avrebbero portato da nessuna parte, figli abbandonati nei giardini del mondo, padri assenti, scomparsi, perduti, in questa giostra di illusioni sarà ancora la tua mano a svegliarmi dai sogni senza fare rumore. 


mercoledì 5 agosto 2020

Orgiva #9

I colpi di una campana (e quelli di una frusta, che ancora stavo aspettando) nelle mattine di quiete e bianchi orgasmi nella mente, i volti delle case che prendevano forma, lucidi e brillanti, dai resti avvolgenti di notti calde e sinuose - Un appartamento in cui cercavo Maria senza trovarla, in un sogno, la sua stanza chiusa e un tentativo di chiamarla al telefono, alle quattro di mattina, un’antica sensazione di preoccupazione e ansia nello stomaco, di cosa potrebbe succedere a una persona amata quando è lontana da te, diventando un tuo doppio, una copia pulsante del tuo stesso cuore - Tutti i momenti in cui sono stati gli addii a dirci cosa fare, cosa dimenticare - Tutti gli anni trascorsi in abitudini in cui non esisteva più nessuna scelta, se non quella di lasciarsi andare una volta per sempre, fino a quando ogni viso familiare fosse sparito e con esso i ricordi e la dolcezza di un tuo sorriso e anche il peso imponderabile di ogni lacrima trattenuta, in modo che non fosse più il dolore a tenerci uniti ma solo il suo impronunciabile nome, l’eco del suo passaggio nelle vene, nel sangue, nei battiti del tempo che ogni ferita necessita per trasformarsi in una cicatrice di perduta bellezza - Le mie passeggiate solitarie, i personaggi che comparivano e si dissolvevano nello sguardo dello scrittore, proiezioni psichiche, mesmerizzazioni erotiche, quando i coglioni pulsavano e con essi le danze di gambe e piedi nudi, dorati, appartenenti ad esseri che non sapevo nemmeno come chiamare - Non avevo più interesse nell’amore, nel sesso, nei contatti fisici, negli sguardi, nei piccoli giochi di seduzione, era una commedia amara la storia dell’uomo accompagnata dalle dolci forme sempre in movimento delle donne, attimi sconosciuti in cui si univano corpi e destini e poi frammentazioni cosmiche e nuovi scenari galattici e tutto che finiva per ripetersi, decennio dopo decennio, senza che se ne capisse più il senso o la ragione - Un piccolo terrazzo da cui osservare il giorno diventare notte, non molto da fare se non rimanere in disparte, a osservare, a scrivere, a prendere appunti, a guardare i profili delle montagne oscillare nei colori del mondo alla sera, all’alba, ad essi appartiene la mia immaginazione, con loro finirò per fuggire di nuovo, in quel luogo dove il silenzio diventa voce e le parole suoni di luce.

lunedì 3 agosto 2020

Orgiva #8

Le luci e le ombre, gli angoli delle case, le facciate che risplendevano nel mezzogiorno, le proiezioni geometriche, le fotografie in bianco e nero, i tavolini dei bar, dove sedersi, ordinare birra e scrivere, i vicoli vuoti, dove l’immaginazione apriva porte senza bussare e popolava i vecchi quartieri con i fantasmi di tossici, spacciatori e puttane - gli incontri clandestini, le notti che ancora non avevo vissuto, le camere segrete che ancora non avevo scoperto - il vecchio Lee immobile davanti ad una parete di crepuscoli solitari, a battere le dita sui tasti di una macchina da scrivere invisibile e il vecchio Jack su una terrazza ondeggiante fra le stelle, a bere vino rosso e comporre haiku di stralunata bellezza - e i giorni che arriveranno senza fare rumore, senza dirti come riempirli - tutte le stanze in cui non sono mai nato, tutte quelle da cui per un atto d’amore non sono più uscito.


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...