venerdì 29 gennaio 2016

dream #14

Sono sdraiato su un lettino, in una grande stanza dalle pareti azzurre. Il mio maestro di yoga si avvicina e inizia a premere dei punti precisi sulle piante dei miei piedi, prima sul sinistro, poi sul destro.

Lo incontro in un corridoio, gli dico che quello non sono io, quello che sta vedendo e con cui sta parlando è solo il mio spirito, gli dico che sono uscito fuori dal mio corpo. Lui dice di credermi.

Camminiamo ancora attraverso dei corridoi perché vogliamo ritornare nella stanza dalle pareti azzurre. Ci sono delle persone che aspettano davanti ad un ascensore. Lui lo prende mentre io salgo delle scale, a piedi. L’ascensore si ferma al quarto o quinto piano. Non riesco più a capire dove lui sia. Arrivo ad un nuovo corridoio. C’è una vetrata, la stanza dalle pareti azzurre. Vedo il lettino. Vuoto. Il mio corpo non è più lì.

giovedì 28 gennaio 2016

fotografia numero otto

Volti bianchi, ovali di luce che emergono dal buio, sguardi immobili, una donna ricoperta di veli, seduta, mentre offre il seno al figlio, il tuo pallido viso in un’alba invernale, le partenze, le lente trasformazioni, il fumo nero che oscura il cielo, le linee dei binari, una locomotiva in movimento, stazioni invisibili a tracciare le soste di un viaggio immaginario. Il profilo di Rodin, intagliato nell’ombra, la sagoma sfuocata di una statua, dietro, che attende di prendere vita. Le foglie morte, uno stagno, i riflessi sull’acqua d’autunno, silenzio. Il corpo nudo di una donna, la schiena, le braccia alzate verso l’alto, diagonali, le gambe piegate, un cero accesso nella stanza, rituali, presenze femminili, odori di muschio e rugiada, lo sguardo concentrato di un pittore, la tela, i colori, un gesto, la pelle.


I suoi brividi.

mercoledì 27 gennaio 2016

Berlin #9



Il cielo si traveste, manti grigi e maschere di pioggia, basso e pesante, i colpi metallici, lamiere percosse, il movimento primordiale di un animale estatico, il costume bianco, gli strati di veli che nascondono forme aberranti, le urla di sofferenza, la gioia macabra di un idiota che batte i piedi su assi di legno marroni, polverose e sporche –  il rumore degli stivali, il battito ritmico dei tacchi, nudo nel mezzo della stanza, ispezionato da una donna in uniforme, il solo odore del suo corpo, quando si avvicina, in silenzio, mi fa gonfiare la punta rossa del cazzo, che spinge verso l’alto, mentre lei mi fa cenno di inginocchiarmi, poi di prostrarmi, la punta nera dei suoi stivali davanti alla bocca, la mia lingua che, senza controllo, inizia a leccarli – proiezioni di ombre, la musica sembra precipitare dagli alti soffitti, colpire il suolo ed esplodere in frammenti sferici che rimbalzano da una parete ad un’altra, fasci obliqui e potenti di luce futura che tagliano la notte in prismi di oscurità al fosforo, ogni sezione, ogni faccia riflette punti di vista opposti e complementari, in impossibili geometrie di pensiero – le pareti dai colori confusi, il fascino della decadenza, gli uomini in uniforme nera, ubriachi, che inneggiano al nulla, un vecchio giradischi immobile, immagini ripetute, un angolo del soffitto con tubi e fili elettrici scoperti, una serie di lampadine colorate che non riesco a capire come accendere, l’alba ha un profumo di foglie cadute e bagnate, svela le danze dei rami proiettate durante la notte, sospiro tra le lenzuola, mi giro e tu non ci sei.

martedì 26 gennaio 2016

sborrare (2009)

c’è stato un momento. eri steso su un prato e guardavi le foglie degli alberi oscillare e brillare nel sole. e hai sentito il bisogno.

il bisogno si è trasformato in un’idea. quell’idea era una ragazza. quell’idea era un contatto. erano lunghi discorsi. erano capelli profumati. erano dita intrecciate. erano un corpo e uno sguardo.
hai cercato quell’idea intorno a te.
non sei riuscito a trovarla.
oppure quando la trovavi l’idea non voleva saperne niente di te.
poi l’idea è diventata un’immagine. la vedevi sui giornali. la strappavi con cura. la tenevi fra le mani.
poi hai trovavo un modo per raggiungere l’essenza di quell’immagine e la tua stessa essenza.
la prima volta che hai sborrato.
è stata un’illuminazione. e una condanna.
hai collezionato immagini. hai collezionato donne. con ognuna di esse intrattenevi lunghi discorsi. ti perdevi nei loro capelli. scoprivi le gioie del sesso. con ognuna di loro scopavi  e scopavi. ognuna di quelle donne ti insegnava qualcosa e avrebbe fatto di tutto per amarti.
ogni volta che sborravi era una sensazione unica. il cuore colmo di gioia. le tensioni del corpo che si placavano. la paura che passava. il demone del sesso che ti abbandonava. la calma nella pelle. i colori brillanti della stanza.
hai continuato a sborrare. a guardare le immagini. a cercare l’amore.
hai incontrato ragazze. hai assaporato le loro labbra. con alcune hai scopato. con altre hai condiviso qualcosa, parti di vita. silenzi e sogni, rancori e incomprensioni.
nessuna di loro raggiungeva la tua idea.
ognuna di loro era parte di quell’idea.
ti sei legato ad unica persona. hai messo da parte l’idea e hai cercato di renderla reale.
non ci sei riuscito.
sapevi che ogni donna che ti muoveva qualcosa dentro era un frammento di quell’idea.
e in nome di un unico amore dovevi rinunciarvi.
sapevi che l’amore non era unico. che la bellezza non era unica.
sapevi che potevi amare qualcosa di ciascuna donna.
le labbra. i capelli. il modo di parlare. quello di camminare. i silenzi. il rossore sulle guance. la maniera di vestirsi, un gesto delle mani. le unghie. le risate.
sapevi che le emozioni più belle erano quelle inaspettate, i regali vibranti e improvvisi.
ho saputo amare in questo modo.
ed è stato meraviglioso.
poi hai dimenticato l’idea e ti sei immerso nella vita reale.
la vita reale te lo ha messo nel culo.
sei tornato all’idea.
e ai sogni.
e alle illusioni.
sei tornato a scrivere poesie d’amore.
ed essere felice per cose che molti ritengono inutili.
quando l’unico fine è scopare.
quando ti insegnano che le donne servono solo a questo: a scopare.
e tu ancora cerchi.
e ancora ti perdi dentro i loro occhi.
e ancora immagini quanto tu possa essere speciale per ognuna di loro.
mentre naufraghi nella solitudine. e nel bisogno d’amore.
fragile e lucente tra lacrime e sorrisi.
nel profondo del tuo dolore hai scoperto tutto quello che avevi abbandonato.
le foglie che brillano nel sole.
il caldo dell’aria.
i pensieri delicati.

le sue mani strette fra le tue.

lunedì 25 gennaio 2016

fotografia numero sette

Il letto di una stanza di ospedale, lei distesa, i capelli scomposti, forse addormentata, in una luce tenue, mi avevi insegnato la vita e adesso mi mostravi il modo in cui si moriva. Ti sei svegliata, mi hai riconosciuto, ci siamo guardati, senza parlare, ho posato le mie labbra sulla tua fronte, l’odore dei tuoi capelli, volevo chiederti scusa, per tante cose, i pensieri erano lenti, si sono fermati quando hai chiuso di nuovo gli occhi e ti ho vista andar via. Per sempre.

Un uomo davanti ad un pianoforte, lo sguardo concentrato sullo spartito, i tasti bianchi, quelli neri, una matita fra le dita, pagine di note, pagine di silenzi.

Le rughe sul volto, i sorrisi, gli ultimi istanti di luce.

I fiori, solo loro, come ricordi.

E La terra.


A riempire questo vuoto.

giovedì 21 gennaio 2016

JAMES TISSOT

Sul fiume, gli occhi languidi di una ragazza, una margherita fra le labbra, le guance rosee, acqua grigia, riflessi bianchi, i lunghi capelli ramati, abiti di altri tempi, il contato delle dita sulla stoffa, la pelle nascosta, l’attesa femminile di una scoperta.

Fanciulle distese sull’erba, lo splendore della primavera nei pallidi fiori bianchi e rosa degli alberi, il fruscio delle vesti e dell’aria, sguardi sospesi aspettando che l’amore fiorisca.

Un piccolo divano di velluto viola, la moquette che ricopre il pavimento di una stanza esagonale, il silenzio e le luci soffuse, una donna nuda, avvolta in una ricca vestaglia con motivi floreali, le linee piene e morbide del corpo, il suo sguardo è un invito in attesa di risposte.

Le donne non hanno mai smesso, mai smesso di amare.

Lei ha un vestito bianco, lungo, un ombrellino da passeggio dello stesso colore, appoggiato sul braccio, nastrini gialli, è ferma, sullo stipite della porta, i suoi occhi scrutano la tua anima.

Lei è seduta, il corpo ricoperto da una leggera veste azzurra, aperta sui seni, dove fioriscono i suoi sentimenti in petali rossi e cremisi, trasparenze velate sulle sue braccia, le gambe incrociate, un libro aperto, posato sulle ginocchia, i suoi bracciali, i suoi occhi, ti entrano dentro per arrivare al fondo del tuo essere.

La locanda dei tre corvi, in legno, su una palafitta, affacciata sul mare, i velieri in lontananza, una donna guarda verso l’orizzonte invisibile, avvolta in uno scialle, i richiami dei gabbiani, nel cielo terso d’ottobre, l’aria fredda, due uomini e un nano seduti, dietro di lei, un bicchiere di assenzio fra le mani dell’uomo anziano, un cappello a cilindro in testa, il suo braccio appoggiato su una cassa di legno, l’oppio e le sue meraviglie.

Il ponte del Calcutta, la forma arcuata del legno, le sedie, la ringhiera di ferro, due prostitute appoggiate, i ventagli e i cappellini, silenziose, assorte, mi siedo in disparte respirando l’aria salmastra, le linee delle loro schiene, frasi d’amore mai dette.

Le lanterne rosse riflesse sull’acqua, la danza delle geishe, gesti innaturali in fluide sequenze, seduto a gambe incrociate, una bambina appoggiata sulla spalla, quasi addormentata, un bicchierino di porcellana pieno di un liquore di riso, lo stomaco brucia, la mente ondeggia, la luna splende oltre veli di nubi, una musica silenziosa, un silenzio musicale, labbra come fiori sul punto di sbocciare.


Le tende rosse aperte, un lampadario con candele accese, nella stanza buia, oltre, lei nel centro di una sala, nel suo vestito più bello, nero, le mani fasciate da guanti, neri, che le arrivano al gomito, i capelli raccolti sulla nuca, il suo sguardo, che ha scelto te.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...