sabato 26 maggio 2012

Blue light



La stanza in cui viveva a diciannove anni, era il 1992, una stanza piccola e lunga con un letto, un lavandino e una finestra sul fondo, al terzo piano di una pensione ad Amsterdam nel quartiere a luci rosse. L’odore pungente della marijuana era una caratteristica di quella pensione, si sentiva ovunque, lungo le scale ripide, nell’ingresso, dove una malinconica signora olandese accoglieva tutti con una gentilezza lucente ed era così rassicurante il suo sguardo quando le chiedevi la chiave della tua stanza ed eri talmente stravolto che neanche ricordavi il tuo nome o la città da cui venivi. E sognavi, ragazzo mio, disteso su quel letto dalle coperte verdi, sognavi quello che sarebbe accaduto, un domani, in quello che stupidamente chiamavi futuro, perché era ancora un gioco meraviglioso immaginarsi la vita e scivolare nelle tue dorate malinconie e oziare per ore e ore, sotto l’effetto dell’erba, sdraiato su un prato o sulle tue lenzuola e vagare per la mente ed espanderla e guardare la pioggia cadere e poi allontanarsi nel silenzio, era ancora bello guardare le ragazze e seguirle e fantasticare sulle loro labbra, sui capelli, cercare la bellezza nei loro occhi e poi, con un sorriso, lasciarle andar via.

C’era un bagno in comune, alla fine del corridoio e potevi incontrare gli altri ospiti e salutarli e sorridere e vedere sempre facce tranquille, senza ombre di rancore e c’era una ragazza dai capelli neri, ad un paio di porte dalla tua e avevate parlato, tante sere, seduti davanti ad una bustina di buon hashish, bevendo tisane alla menta e fumando e i silenzi e ancora gli sguardi e le scopate, certo, perché scopare fa parte dell’ordine delle cose ed è un bisogno e una gioia e un desiderio e a volte una dolce attesa e a volte solo un’illusione del tuo corpo e poi vi salutavate e ognuno continuava il suo percorso e poi ti incontravi di nuovo e sembrava veramente che non ci fossero legami o problemi, ma eri ancora giovane ragazzo ed avevi la libertà dei giorni e delle notti senza tempo, senza orari, senza ordini e ti guadagnavi la vita, quel poco che ti serviva, per la stanza, le droghe e il cibo, suonando per strada, nei locali con una mente ancora pura, non corrotta dal denaro, perché eri nel pieno della tua grazia e potevi ancora sognare, ragazzo, sognare e vivere senza pensare che ci fossero differenze, senza pensare al risveglio, a quando te ne saresti andato, a quando tutto sarebbe stato diverso.

Steso su un prato guardo le nuvole passare.

Possano i tuoi sogni essere quelle nuvole.

domenica 20 maggio 2012

I bisogni di un insetto



Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico.
Non fumo, mi dispiace – rispondo.
Allora che me la vai a cercare?
No, non ho questo vizio.
Io ce l’ho invece…

Il tossico si allontana, i vestiti di uno straccione, la faccia scavata e distrutta dalla roba, i lineamenti irriconoscibili, il ragazzo che è stato un tempo si è perduto tra le strade di labirinti mentali, l’uscita è stata una siringa e uno schizzo di sostanza, l’architettura del reale è cambiata, i nuovi progetti mostravano una enorme ruota nella quale girare e girare, alcuni vicoli bui, poche prospettive, il cerchio non conosce fine, è l’illusione dell’eternità e la sua rappresentazione.
Il tossico parlava con voce strascicata, trascinava le gambe, attaccato alla mano un cartone di vino scadente.
I bisogni del corpo di un insetto. Trovare la sostanza e assumerla.

Scarafaggi e vermi strisciavano sulla strada, la calura del pomeriggio era insopportabile, la luce era accecante, il silenzio era pesante e sembrava colare dagli edifici, il cielo era un miraggio, il disegno di una mente privata di qualcosa, strisciare e cerare, strisciare e cercare, i bisogni di un insetto.

Si staccavano dal soffitto e calavano verso il basso. I residui mentali avvolti in bozzoli, la metamorfosi, la paranoia sarebbe diventata una splendida farfalla, i suoi colori avrebbero illuminato il mondo di nuove lucenti meraviglie, nel freddo della terra i vermi scavavano le loro putride strade, strisciavano in profondità, ciechi e freddi, viscidi e molli.

Finivo la birra seduto sui gradini di una fontana. La gente camminava intorno. Il tossico continuava il suo giro. Una farfalla si posò sulla mia mano. La guardai. Era bellissima.

sabato 12 maggio 2012

freewheelin' #4


C’era una bambina con un vestito viola, in primo piano, di spalle, lo sfondo della foto era sfuocato, prismi rossi legati a fili bianchi che scendevano da una porta e riflettevano la luce del tardo pomeriggio irradiando la stanza di scintille, il calore del corpo e della pelle, l’ascensore che saliva, saliva, saliva senza fermarsi, il tempo divenne un vuoto lento e un battito regolare e un respiro sempre più profondo, le parole che nascevano dopo un orgasmo, l’acqua tiepida della doccia sui capelli, in un giorno d’estate, i sospiri e l’attesa, gli sguardi infiniti, la luce, la luce era ovunque.

martedì 8 maggio 2012

we love drugs



Le alte torri di vetro e metallo, le scie bianche, i tagli di luce nel cielo al passaggio di un aereo. Guardare quella scia da dietro i vetri del settantaquattresimo piano, seduto su una poltrona di pelle nera, con un bicchiere di vodka e acquatonica e pezzi di lime, in mano. Posare il bicchiere su un tavolino basso di legno nero e prendere il cellulare e chiamare il tuo uomo perché ti porti le tue sostanze preferite. Un viaggio in ascensore fino al piano terra, velocemente scendi e risali e osservi il mondo in linee e movimenti verticali. Seduto ancora sulla poltrona, nell’attesa del tramonto, dei colori violacei e intanto il cielo diventava di un blu così carico da cercare un qualsiasi modo per ricreare quel colore, sulla pagina bianca di un quaderno, attraverso l’elaborazione elettronica o meglio ancora nella tua mente, riprodotto in una visione, dopo l’assunzione della sostanza.

Le tre di mattina e le luci della città. Come moltitudini di scintille. Densità elettrica e pulsante. In volo sulle strade. Planando sulle voragini che si aprivano dentro i tuoi occhi. Vedevi e sognavi. Lungo il perimetro della visione i limiti erano malleabili e morbidi, si scioglievano e si trasformavano in nuove forme, accendevi un candela e il sole appariva.

Nel silenzio di una stanza bianca e calda. Nel silenzio di una stanza blu. Ti guardavi intorno senza riconoscere quello che vedevi, gli oggetti erano familiari ed estranei, erano vicini e impossibili da raggiungere, i colori si mescolavano, viaggiavano veloci le luci della città lungo le sinapsi del tuo cervello. Di nuovo notte. E giorno. E notte.

La pioggia che cadeva. L’idea folle di essere in un acquario.

Il suono ovattato che segnava la fine del

Giorno.

E notte.

Hai aperto il frigorifero bianco. Hai bevuto l’acqua limpida.

Seduto sulla poltrona, la sostanza sulla punta della lingua.

Uno sguardo oltre le vetrate.

Torri e cielo.


Metallo, silenzio e 

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...