mercoledì 28 maggio 2014

Santiago #10


Il teschio camminava fra le persone, il volto tatuato, il cranio dipinto di rosso, un’enorme medusa girava sull’asfalto, i suoi filamenti psichedelici brillavano nell’aria, gli spruzzi d’acqua, le bolle di sapone, dai colori liquidi, salivano verso il cielo, sulle colline sventolavano bandiere aliene, i vessilli dimenticati di antiche civiltà scomparse; davanti ad un totem composto da casse musicali gialle, alcune persone ballavano al ritmo della musica reggae e dub, le pulsazioni cardiache del basso, i capelli rasta e le piccole pipe di ceramica in cui alcuni ragazzi fumavano marijuana, nel sogno avevo incontrato L. e avevamo camminato nelle aule della nostra vecchia scuola, avevo parlato con delle persone degli effetti dell’acido lisergico, mi avevano detto che potevo comprarlo da un somalo ma non mi fidavo, A.  mi aveva portato una piccola quantità di una sostanza misteriosa che ancora non avevo assunto, per le strade di Santiago cercavo di comporre mappe mentali senza grandi risultati, i colori e i suoni delle parole, ho comprato un charango per mio padre, i murales suoi fianchi dei palazzi si muovevano inaspettatamente, le nuvole, nel cielo, erano vaghi ricordi di un tempo perduto, Teresa si chiedeva perché non le parlassi, non mi guardava ancora negli occhi, quando si fosse creato un contatto visivo avrebbe capito che non c’era bisogno delle parole, potevo esprimere tutto attraverso lo sguardo, era così semplice, in realtà, dirsi qualsiasi cosa, le nostre essenze trovavano la loro espressione più pura nel punto esatto in cui finivano le normali forme di comunicazione verbale.

mercoledì 14 maggio 2014

San Pedro #1

La città verrà distrutta all’alba – disse il vecchio, mentre pestava semi di cebil su una tavoletta di pietra. Mi fece fumare la polvere da una pipa di terracotta, mi fece stendere su una stuoia di paglia, all’interno di una capanna e poi ripeté – La città verrà distrutta all’alba - e allora fu il buio totale, freddo, silenzioso e poi le piccole luci delle stelle, prima dei semplici puntini luminosi, poi sempre più grandi, roteavano in caleidoscopiche forme brillanti, perfette nelle loro geometriche essenze e oltre le stelle, di nuovo, il buio assoluto e poi una linea di luce rossastra, come una ferita aperta nel cielo e la porpora colava da quella ferita e bagnava quel nero totale, colava e si espandeva e volai ancora più lontano e iniziarono ad apparire all’orizzonte i profili di una città, i suoi palazzi costruiti sulle nuvole, fatti di nuvole, edifici rossi, violacei, arancioni, su uno sfondo nero e improvvise lame di luce bianca e una strada che portava alla città, un lungo ponte, i pilastri color rubino e la luce continuava a irradiare da quei profili, a mutarli, in una lenta metamorfosi architettonica e la osservavo da lontano, la città era in fiamme e bruciava, i palazzi si ergevano e crollavano, tornavano di nuovo interi, crescendo veloci in forme infernali, era quasi l’alba e i colori erano visioni sconosciute, guardai ancora e ancora, sapendo che non sarei mai riuscito ad entrare in quei palazzi, a scoprire le meraviglie e gli orrori che racchiudevano, sentii la voce del vecchio ancora una volta, i battiti del suo tamburo, aprii gli occhi, un’ape immensa ronzava immobile nel centro della capanna.


giovedì 8 maggio 2014

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L'esplorazione poetica è esplorazione di un personale continente di inferno, e l'atto poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentir che solo in poesia si può cercare e trovare libertà. Continente d'inferno, a causa dell'assoluta solitudine che l'atto di poesia esige, a causa della singolarità del sentimento di non essere come gli altri, ma in disparte come dannato, e come sotto il peso d'una speciale responsabilità, quella di scoprire un segreto e rivelarlo agli altri. La poesia è scoperta della condizione umana nella sua essenza, quella d'essere un uomo d'oggi, ma anche un uomo favoloso.

giuseppe ungaretti

lunedì 5 maggio 2014

homesick #12

Il blu cobalto del cielo, in alto, tra le stradine vicino alla stazione Termini, le luci degli alberghi, ai lati, mentre camminavo senza una meta, seguendo ogni direzione che semplicemente mi ritrovavo davanti. C’era una moltitudine di stranieri intorno a me, di cui non capivo le lingue,  ne ascoltavo i suoni e osservavo come queste persone vivevano nella mia città, in quei territori squallidi e marginali in cui si erano ritrovati a passare le loro giornate. C’erano gruppi di ragazzi africani davanti ai call center o appoggiati agli angoli delle strade, mi sentivo a mio agio quando mi fermavo in mezzo a loro, in silenzio, ascoltando i loro discorsi.

Un uomo della Costa d’Avorio mi ha venduto una bustina d’erba, vicino a Termini, ho parlato con lui in italiano, gli ho offerto una piccola bottiglia di vino rosso e lui mi ha raccontato un pò la sua vita, adesso abitava in una stanza singola in un albergo poco distante, pagava venti euro a notte, con l’erba in tasca ho capito di aver allungato il suo soggiorno in quella camera proprio di un’altra protetta oscurità, con l’erba in tasca ho camminato ancora e ho visto puttane sedute sui motorini e una mi ha salutato e mi ha chiamato tesoro e io le ho sorriso e sono andato avanti e non so quanti giorni prima, dopo aver fumato un po’ di oppio nella cucina di casa, sono uscito e sono andato a fare un giro intorno alla stazione, sentivo qualcosa di luminoso e dorato nelle mie percezioni, qualcosa di caldo e sicuro, era il mio cuore ed era anche l’oppio e forse il paio di birre che avevo bevuto dopo aver fumato e ho incontrato lo stesso uomo della Costa d’Avorio ad un angolo della strada e ci siamo guardati e ci siamo capiti e allora sono andato avanti, vagando ancora ed è stata così bella la sensazione di aver abbandonato la paura e l’incertezza, tutte quelle cose oscure che mi hanno accompagnato nel corso della vita, quelle cose oscure nelle quali ancora mi immergo quando ne ho bisogno ma che ho imparato a lasciare fuori dalla mia esistenza quotidiana, è una porta chiusa che una volta aperta so bene dove conduce, le candele accese, i colpi di frusta, i segni viola sulla pelle. Una porta chiusa, ne posseggo la chiave, so quando aprirla e perdermici dentro, so come chiuderla, conosco la strada del ritorno. 

C’erano uomini sdraiati sui cartoni fuori dalla stazione, i loro vini, le loro sigarette, la miseria era ovunque, c’era ancora luce dentro di me e silenzio e così mi sono incamminato verso casa, il cielo viola, le stelle latenti, i lenti battiti del cuore, la bustina d’erba nella tasca della mia giacca. 


freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...