giovedì 17 gennaio 2013

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Puttane. Hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Mi sono sempre sentito a mio agio, con le puttane. Ne sono sempre andato matto. Quell'odore di stufato delle loro cipolline. Che cosa ha mai contato di più, per me? Allora si avevo dei buoni motivi per vivere. Ma adesso, incredibile, l'erezione del mattino posso scordarmela. Le cose che bisogna sopportare in questa vita. L'erezione del mattino, come una leva tra le mani, come l'escrescenza di un orco. C'è qualche altra specie che si sveglia con l'erezione? Le balene? I pipistrelli? L'evoluzione che ogni giorno rammenta al maschio dell'Homo Sapiens - casomai se ne fosse scordato durante la notte - perché esiste. Se una donna non sapesse cos'è, potrebbe anche spaventarsi a morte. Con quella non si può pisciare nella tazza. Bisogna forzarla all'ingiù con la mano, bisogna addestrarla come un cane al guinzaglio, in modo che il fiotto finisca dentro e non sul sedile tirato su. E se ti siedi a cagare, eccola lì, che guarda fedelmente il padrone. Eccola che aspetta ansiosa mentre ti lavi i denti - "Che cosa si fa, oggi?" - Non esiste cosa più fedele, nella vita, che le basse voglie dell'erezione mattutina. Niente imbrogli. Niente simulazioni. Nessuna menzogna. Onore a quella forza trascinante. La vita umana con la V maiuscola! Ci vuole tutta la vita a capire che cosa sia veramente importante, e quando lo capisci quella cosa non c'è più. Bene, bisogna imparare ad adattarsi. Il problema è come.

philip roth
il teatro di sabbath

mercoledì 16 gennaio 2013

Amsterdam #16



Era seduto alla scrivania, davanti al computer acceso, non aveva nulla in particolare da fare e la mattinata scorreva lenta. era da solo nella stanza, si erano da poco trasferiti, il lavoro andava a rilento, bisognava aspettare. Giocherellava con delle mollettine per i documenti e dentro di sé pensava al prossimo incontro di dolore e piacere, a come quelle mollettine sarebbero state perfette sui suoi capezzoli, la via dei suoi giochi segreti non era molto lontana, quelle donne, quelle ragazze da cui si faceva torturare, avrebbe voluto una persone speciale con cui condividere quel mondo, una donna da amare e per cui soffrire, in quei momenti, i suoi momenti speciali.

Ea morte era una presenza costante, non razionalmente, ma la vedeva, ogni tanto, muoversi sul fondo oscuro del suo cuore, ogni tanto poteva ascoltare la sua voce, una dolce melodia, la morte era una madre crudele e amorosa, la morte ci avrebbe accolti, un giorno, dentro di lei.

L’amore e le dita e il dolore e gli occhi e le carezze e le labbra e i colpi secchi e i piedi, i suoi piedi, inginocchiato a baciarli.

Adorare una donna era un atto divino, un antico rituale, l’essenza stessa dei rapporti umani. In troppi lo avevano dimenticato. Le antiche sacerdotesse tramandavano questo mistero. Pochi gli adepti che ne conoscessero l’esistenza.

Ore lente davanti al computer, la mente vagava lontana dal corpo, la mente era libera e prigioniera, sapeva che si stava allontanando, più scendeva dentro se stesso, più si allontanava da quello che aveva intorno. Fino a sparire.

Buio denso e quieto.

Fuori dall’ufficio, la luce del tardo pomeriggio, una sigaretta fumata troppo in fretta, i battiti del cuore, i piedi che si muovevano in una direzione ben nota, senza avere la forza di cambiare meta, all’apice del coraggio e dell’annichilimento, perché nel cuore non c’è luce che non possieda il suo buio.

sabato 5 gennaio 2013

Amsterdam #15



Vincent sognava di un vecchio barbone. Il barbone dormiva su una stradina, dietro la stradina c’era un parco. Aveva i vestiti luridi e quando camminava  puzzava così tanto che le persone si scostavano, chiudendosi il naso con le dita. La città nella quale abitava il barbone era una città di sogno, non c’erano canali, non c’era la pioggia. Non c’erano strette case a tre piani che sembravano caderti addosso. Il barbone si cacava addosso e il suo volto ricordava quello dei martiri cristiani in alcuni quadri dei grandi maestri italiani. Il suo volto era sporco eppure bellissimo.
Vincent si svegliò dal sogno, prese un foglio e cercò di fare un disegno di quel volto, più le linee si formavano sul foglio e più il volto del barbone svaniva dalla sua memoria, quella immagine onirica sembrava scomparire nello stesso tentativo di rappresentarla.
Vincent si rollò una sigaretta di tabacco forte e fumò.
Era da poco passata l’alba.
Vincent tossì.
Pensò alle tele, ai colori e all’assenzio.
Pensò che il giorno fosse un travestimento della notte.
Ma non volle crederci.

martedì 1 gennaio 2013

Amsterdam #14



Era seduto ad un tavolino, davanti ad uno dei canali del quartiere a luci rosse e beveva una lager e il sole ogni tanto usciva fuori dalle nuvole e illuminava una delle vetrine in cui qualche ragazza stava seduta o in piedi, lanciando dolci sguardi ai turisti o agli uomini solitari che ci passavano davanti e lui beveva lentamente la sua birra e aveva dei tatuaggi ormai bluastri, sbiaditi, sulle braccia e pensava alla sua giovinezza, ai viaggi in mare, ai paesi lontani in cui aveva conosciuto donne bellissime nascoste da veli dai colori magnifici e dalle fantasie delicate e floreali, ricordava i loro volti e i loro occhi, ricordava le loro mani quando sistemavano il velo, i primi sguardi, il suono arcaico delle loro parole, voci del deserto, rocce millenarie racchiuse nelle loro gole, i suoni venivano fuori spezzando quelle rocce, graffianti, duri, a volte, come se lottassero per frantumare una barriera di pietra che impediva loro di uscire e quelle stesse donne nascondevano corpi meravigliosi, la loro pelle era un segreto, i loro capelli un mistero da scoprire, ricordava gli oli profumati e i viaggi dell’epidermide, i sogni dell’oppio, quando si stendeva dentro una tenda, nel deserto, a fumare con altri uomini e le donne che portavano cuscini e accarezzavano i loro capelli e le loro barbe e piano scivolava nell’oceano interiore e navigava quieto dentro se stesso e le stelle e gli abissi e ancora gli occhi di una donna che diventavano sempre più lontani mentre due mani materne cullavano la sua testa, erano così remoti quei luoghi e quei volti, era così strano pensare al tempo passato e alle cose perdute e al fatto di essere ancora vivo e di aspettare qualcosa che, inevitabilmente, sarebbe stata la morte. Si accese un sigaro, guardò una nuvola, bevve un altro sorso di birra.
Aveva un tatuaggio del volto di una donna sul braccio. Un volto con un velo.
Lo accarezzò.
Le nuvole, per un attimo, si squarciarono d’amore.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...