martedì 29 dicembre 2020

Orgiva #19

 Disinfestazioni mattutine nella piazza anche se non c’erano ratti a spargere in giro epidemie bubboniche ma solo sorci dalle fattezze umane che popolavano gli angoli delle strade, con la loro pestilenza morale, la dipendenza dall’eroina, i vestiti stracciati - Le storie da raccontare nel teatro delle crudeltà dei Mendicanti Mendaci - C’era oscurità sotto la superficie lucente delle cose, diceva lo scrittore a Samara in un giorno di inverno mai esistito, il buio dell’anima e dell’abisso, atti aberranti e innominabili, stermini interiori, genocidi della psiche e frammentazioni di identità riflesse in volti, corpi, fisionomie in continuo mutamento - L’acqua stagnante nella tazza di un cesso - I limiti geografici di un paese che non si potevano superare, confini che non erano mai esistiti se non come linee su una mappa che nessuna mano aveva tracciato, l’Alcalde parlava dal suo trono di stracci e polistirolo, leggendo una lista di ridicole proibizioni, per aumentare le preoccupazioni di uomini e donne rinchiusi negli abiti usati dei loro amori di cuoio e colpi di frusta su natiche nude - Eravamo una generazione di privilegiati (me compreso) senza la minima idea tangibile di cosa fosse la fame, la miseria, la paura, l’esilio, la prigionia, la morte, l’orrore di essere vivi in un mondo destinato alla rovina e alla propria distruzione - Facili itinerari mentali durante il giorno, senza sapere dove andare, brevi detour artistici come esplorazioni delle mie possibilità umane (non molte, a essere brutalmente sinceri), esercizi spirituali nel non possedere, nel non attaccarsi a nulla (nemmeno al cazzo, ghignava la mia ombra) - Essenziali azioni quotidiane quando c’era il sole e il cielo brillava - Fra il fare e il non fare avevo scelto la seconda oziosa via, portava al cuore senza bisogno di tunnel sotterranei e a ciò che esso custodiva, ai sogni e ai loro insegnamenti, strategie inconsce di guarigione emotiva (non ce l’avrei mai fatta a liberarmi dall’impulso di essere dominato dai tuoi piedi, dai tuoi stivali di pelle, di rimanere a cazzo duro davanti alla tua fica aperta mentre ti masturbi ridendo e ripetendomi che non posso scoparti) - Poi una mano sui coglioni e il bianco liquido che scintillava sulla punta purpurea del mio cazzo, ho sborrato in una calda e lucente estasi, scattando foto dei miei piaceri perduti e santificati nell’iconografia di un erotismo di peccati medievali, un attimo di quiete, un respiro profondo, il ritrovarsi all’improvviso  in un mondo che ci accoglie e confonde senza che neanche abbiamo compiuto il tentativo di esserne parte e comprenderlo.

martedì 15 dicembre 2020

Cigarrones #17

 Dame cinco duros - biascicava Paul, strisciando per terra, nell’etilica imitazione  di qualche pezzente alcolizzato che aveva visto mendicare a Granada nel periodo in cui aveva vissuto lì. Per un momento avevo quasi pensato che fosse uscito fuori di testa, dopo tutto l’alcol e le droghe dei giorni precedenti (era stato il suo compleanno) e Tim, Alfie e gli altri avevano organizzato un party, gli Absolute Pantz avevano suonato con Paul alla batteria e Andy con una parrucca rosa in testa e io con la videocamera in mano a riprenderli e un boccione di rosso poco distante per darmi la giusta misura di quello che stavo facendo. Durante una delle canzoni, credo fosse Run rabbit run, c’erano stati un paio di minuti di panico, con tutti che stavano scappando in ogni direzione possibile perché qualcuno aveva urlato che stava arrivando la guardia civil e invece non era vero un cazzo e il tipo che aveva gridato (probabilmente sotto gli effetti di qualche sostanza psichedelica) aveva scambiato i normali fari di una macchina per i lampeggianti della polizia, poi la musica era ricominciata, più assordante e folle di prima e io avevo smesso di riprendere e avevo continuato a bere e poi non ricordo bene cosa sia successo, c’era Uncle Eddie che distribuiva in giro pezzi della sua space cake e io ne ho mangiato uno e poi quando l’effetto è salito ho sentito le gambe farsi molli, di gomma e i pensieri svanire e diventare colori e non ho potuto fare altro che trascinarmi verso la tenda dove dormivo e perdere quei pochi sensi che mi rimanevano.

Il giorno dopo o quello dopo ancora avevo trovato Paul di nuovo ubriaco (o forse la sbronza non gli era mai passata), doveva essere mattina tardi e lui stava bevendo una birra, gli ho chiesto se ne avesse un’altra e lui ha indicato una borsa frigo vicino al divano viola, mi sono seduto, ci ho messo una mano dentro e ho pescato una lattina, l’ho stappata e ho dato un sorso. La cerveza era tiepida come piscio. Allora mi sono ricordato che avevo nascosto (previdentemente) una bottiglia di vodka dentro il bus con gli strumenti musicali di Tim, sono andato a prenderla e ho preparato un paio di vodka tonic (per fortuna c’erano ancora alcune bottigliette di schweppes in giro). Niente ghiaccio, ma l’essenziale ce l’avevamo.

Io e Paul abbiamo continuato a bere tutto il giorno, ogni tanto lui intonava una canzone e la sua voce era calda e impastata ma anche molto dolce, seguiva il flusso della propria ispirazione fino a quando non si è messo a interpretare il Mendicate di Granada e a farmi rimanere a bocca aperta, sorridendo, per la toccante sensibilità della sua performance.

Poi la sera è arrivata insieme ad altre persone, alcune di esse si sono messe a suonare, la musica vibrava nelle sfumature lisergiche del tramonto, una ragazza mi ha passato un quarto di acido, qualcosa di leggero, giusto per attraversare la notte e con essa ogni domani che non avrei mai vissuto se non nella mia immaginazione, perché è solo il presente il tempo dell’uomo, come qualcuno più saggio di me aveva scritto nei suoi diari di cangianti e sempre mutevoli illusioni.


domenica 6 dicembre 2020

dream #101

 Strani messaggi elettronici e inviti inaspettati e poi dei corridoi e una sala e uno spazio aperto, una piazza e un concerto, Matteo che appare all’improvviso e ci guardiamo e ci abbracciamo, senza dirci nulla e la morte di Keith Jarret e qualcuno si siede a un piano, apparso chissà come e si mette a suonare la prima parte del Koln Concert e mi siedo vicino a Susana per ascoltarlo, fra il pubblico, poi mi alzo infastidito da qualche cosa e vago per le antiche inquietudini del cuore - Aule vuote di una università, un appuntamento con Maria a cui non sarei mai arrivato in tempo - Torno da Susana ma il mio posto è ora occupato da un altro uomo, trovo una sedia libera accanto a un muro e mi metto lì e c’è un bambino vicino a me che mi tocca la gamba, allora mi alzo di nuovo e lo faccio sedere e rimango in piedi e il concerto finisce e cerco Susana con lo sguardo ma non la vedo più - C’è ancora Matteo nel mezzo di una strada, ci abbracciamo un’altra volta e sembra che le cose si siano aggiustate e riprovo una vecchia sensazione che avevo perduto e dimenticato - Cerco di chiamare Susana al telefono per dirle di raggiungerci ma lei è triste e mi dice che si sente sola, la comunicazione si interrompe o forse non è mai esistita - C’è sempre un attimo di tregua prima di ogni risveglio.

sabato 28 novembre 2020

Orgiva #18

 Stavano di nuovo per chiudere i bar o quello che ne restava nella memoria delle persone, niente più colazioni, chiacchiere inutili, circoli idioti davanti a un bancone, intorno a un tavolino, a me sembrava una cosa buona, era come mettere un freno alla stupidità della gente e alla loro logorroica insulsa loquacità, alle loro fastidiose parole, soprattutto di mattina, quando il silenzio avrebbe dovuto essere un sorriso di comprensione reciproca sulle labbra chiuse  di tutti - Dovevo ammettere che le mascherine funzionavano a pieno, in questa ottica e che le distanze sociali ponevano due metri di sicurezza fra me e l’incomoda e disturbante presenza degli altri intorno - Ci sarebbe stato un coprifuoco durante la notte e questo significava meno rumore, meno chiasso, meno urla, significava strade vuote e locali chiusi, più la situazione della pandemia peggiorava, più il mio sogno di un mondo senza rompicoglioni diveniva reale.
Avevo “La Peste” di Camus sul comodino e ne leggevo qualche pagina ogni giorno, soprattutto se c’era il sole e qui c’era quasi sempre. Profondità morali ormai scomparse e dimenticate nelle sue parole. Avevo comprato un biglietto aereo per tornare a Roma, senza una reale intenzione, giusto per darmi una scadenza, il volo era a metà di dicembre, solo per mettermi di nuovo davanti alla possibilità di ritrovarmi a vagare nella mia città, di cui non me ne fregava più un cazzo. Rimaneva ancora parecchio tempo e sapevo che le cose, anche se adesso mi sembravano confuse e tristi, avrebbero trovato il loro modo di accogliermi dentro di esse e la vita mi avrebbe mostrato di nuovo la sua misteriosa maniera di trascinarmi con lei. Era un periodo di pausa, questo, di stasi, di introspezione e quiete, quando ero solo. E così avrei dovuto viverlo, senza troppi problemi e senza troppe domande.
Non molto da fare, dunque. Se non attendere, tenere la mente libera e i pensieri puliti. Sarcasmo e ironia nei momenti difficili. Il tempo da trasformare in respiri, le immersioni nello spazio interiore, le albe e i tramonti e il vuoto che ci ammanta e ci avvolge senza più il bisogno di inventare nomi per tutte le illusioni che lo travestono di decisioni che nessuno ci ha mai chiesto di prendere.

giovedì 19 novembre 2020

Lanjaron #2

 Io e Sara ci eravamo ritrovati all’interno di un palazzo che non conoscevamo, con la sensazione di essere come in un sogno, la testa leggera, il mistero di non sapere cosa sarebbe successo dopo, cosa avremmo trovato dietro il prossimo angolo e un uomo ci è venuto incontro e ci ha guidato fra corridoi in penombra verso il suo appartamento, un odore stantio di marijuana nell’aria e poi una porta che veniva aperta e delle stanze sono apparse, arredate miseramente e c’erano un mucchio di apparecchiature elettroniche sparse in quella che doveva essere la sala da pranzo e tendine abbassate e ho comprato una tastiera a Sara, apparentemente eravamo lì per questo motivo, lei l’ha provata, suonava bene, ho pagato l’uomo e ce ne siamo andati, ritrovando senza problemi l’uscita -. Poi eravamo seduti fuori da un bar, ad un tavolino, a prendere qualcosa da bere, abbiamo ordinato un carajilllo a testa, il mio con anice, abbiamo parlato e abbiamo riso, poi siamo saliti in macchina, avevo voglia di guidare e mi sono messo al volante, mi sono girato e ho baciato Sara, le ho messo una mano fra le cosce, aveva delle calze e le sue mutandine erano leggermente bagnate, mi è venuto duro quasi subito - Ho messo in moto con una erezione nei pantaloni e la strada ha iniziato a muoversi, c’erano riflessi lucenti ovunque e il mondo sembrava ancora brillare di tutte le gioie che la giovinezza promette solo perché  il tempo te le possa portar via.

lunedì 16 novembre 2020

Cigarrones #16

Non mi ricordavo il motivo ma mi ero ritrovato a camminare con Vittorio, Clarabelle e Glenn e stavamo andando dove era la sorgente dalla quale arrivava l’acqua che finiva alla fonte di Cigarrones (un tubo che usciva fuori da una roccia, con una pressione che sembrava quella delle ultime gocce di piscio quando uno si sgrulla il cazzo) - C’era stato un problema e Vittorio aveva una pala con sé e mi aveva detto che bisognava scavare un pò di terra per liberare i tubi o trovare l’acqua o qualcosa del genere, non che mi interessassero i dettagli (né tantomeno l’idea di mettermi a lavorare) ma era una bella giornata e avevo voglia di vedere un posto nuovo. Abbiamo seguito un vecchio sentiero, quello che attraversava le colline fino a Tablones e ogni tanto Vittorio si fermava e dava un paio di tiri dalla sua pipa (fumava erba) e raccontava qualche storia. Sulla cima della montagna che avevamo di fronte, stando a quello che diceva Vittorio, qualcuno aveva costruito una sorta di tempio buddista, per meditare, ricercare il vuoto, recitare mantra o forse più semplicemente assumere acidi in totale tranquillità. Mi venivano in mente monaci zen, giorni di nebbia, il tè verde servito in piccole tazze di porcellana decorate con motivi stilizzati, la calma dei pensieri e del cuore. Ogni inizio e ogni fine. Quando siamo arrivati alla sorgente, ci siamo accorti che era quasi secca, Vittorio ha spalato un pò di terra ma la situazione è rimasta la stessa, brutto segno, ho pensato, addio acqua dalla fonte, ora bisognava muovere il culo e andare con le taniche altrove. 

Poi siamo ridiscesi, camminavo dietro agli altri guardandomi intorno, dove sarei arrivato? Dove avrei trovato un posto in cui valesse veramente la pena fermarsi e vivere?

Vittorio aveva cominciato a raccontare un’altra storia, mi piaceva ascoltarlo, difficilmente si ripeteva, la luce del giorno era ancora forte e le nostre ombre si erano perdute chissà dove.

mercoledì 11 novembre 2020

Giorni di anarchia e masochismo (2010)

 La sborra che hai nei coglioni non so se c’entri qualcosa con dio o con il sesso o con l’amore, è un peso, credo, un peso che ti porti appresso e che ogni tanto devi lasciare andare o almeno è così per me, è un’energia negativa che ti incasina il cervello e dopo qualche giorno te ne devi liberare, in un modo o nell’altro e più passa il tempo e più ti si gonfiano le palle e inizi a pensare in maniera strana e a guardare le donne in maniera strana, molti scambiano il sesso con l’amore, può essere, in alcuni casi, ma sono casi molto rari, pensaci bene, abbiamo questo piccolo foro sulla punta del cazzo da cui esce fuori energia sotto forma di una sostanza bianca e appiccicosa, pensaci bene, molte volte le donne rimangono incinta e questo è solo il frutto di una follia momentanea, dell’incapacità degli uomini di trattenersi dentro una fica, è così che la razza umana va avanti, l’amore non c’entra nulla, è un momento di pazzia, uomini e donne si incontrano, scopano, è solo una questione animale, è scritta nella nostra natura più antica, è l’unico modo per mandare avanti questo spettacolo del cazzo, la nostra riproduzione non ha nulla a che fare con il funzionamento sociale o quella stronzata della famiglia, è solo istinto, istinto e follia.


Pensa a quante famiglie dimmerda hai intorno, gli uomini castrati, una volta che si sono sposati, le donne che prendono il potere, i coglioni gonfi, le scopate che diminuiscono, questo è il vero controllo, la vera schiavitù, le donne hanno una maniera particolare di asservirti ai loro voleri, la vita diventa un inferno, se devo essere uno schiavo allora lo sono realmente, fino in fondo, mi inginocchio nudo e prostrato e obbedisco, per questo credo che i rapporti sadomaso siano molto più sinceri, c’è una donna dominante, c’è un uomo sottomesso, in quel momento non ci sono maschere o se ci sono, sono vere, grottesche e magnifiche, c’è uno scambio di potere e molte volte i ruoli si invertono, è una esperienza profonda e unica, con le persone giuste, quelle più difficili da trovare - Le vedi quelle famiglie, quei mostri che camminano nei centri commerciali, li vedi i padri che guardano i culi delle ragazzine adolescenti, mentre spingono il passeggino del figlio senza che gliene freghi un cazzo di niente, certo, certo, ci raccontano che c’è l’amore, che ci sono i buoni sentimenti, quante stronzate, quante stronzate che ci raccontano, li vedi gli uomini al guinzaglio delle proprie mogli, li hai tutti intorno, donne che usano i figli come mezzo di comando, che diminuiscono le scopate e i coglioni si gonfiano e la mente e il corpo aspettano solo di schizzare, di liberarsi da quel peso, li vedi i tradimenti, gli stupri, le violenze, li hai sotto gli occhi, pensaci, è un sistema sbagliato, l’energia non è libera di muoversi come vuole, non si è liberi di scopare come e quando si vuole, giocando, scherzando, amandosi, senza stronzate, senza interessi, senza nulla da ottenere che non sia estasi e gioia, li vedi quei padri che spingono le carrozzine e vanno a fare la spesa e la sera sono tristi e le mogli parlano di questo e di quello e poi al letto niente da fare, un'altra giornata è passata e le famiglie continuano a formarsi e nuove file di schiavi in catena, giorno dopo giorno, al lavoro, a casa, nella stanza da letto - Ispirazioni anarchiche e passioni masochistiche, davanti allo specchio, un idiota ghignante, i miei occhi puri, il dolore che vibra nel corpo, il piacere che esplode, le manette ai polsi, vadano a fare in culo le chiese e i matrimoni, sulla croce ci sono stato e non ho mai goduto di più.

lunedì 9 novembre 2020

Orgiva #17

Luci nella montagna e odore di pioggia nella notte e le piantagioni di marijuana di Nick nascoste chissà dove - Provavamo canzoni in una stanza, mentre lo scrittore cercava qualcosa da bere, i ricordi di serate passate a suonare e improvvisare con amici svaniti nel tempo - Gli incontri che si ripetevano in ordine casuale nelle vie ancora assolate di Orgiva - Alex, Paul, Sebastian, Carol, Clarabelle, Brian - Apparizioni oniriche in un sogno all’interno di un sogno dal quale non si poteva fuggire, se non nel continuo ripetersi di un illusorio risveglio dopo l’altro - Stazioni di rifornimento in costruzione e tossici traballanti sulle gambe di gomma in attesa della prima pera della giornata, c’era un’educazione alla miseria fra queste strade e vicoli che sembrava perfetta per i derelitti che vi si strascinavano nelle ore che la ragione aveva dimenticato di trasformare in un’attesa senza motivi e speranze - Il cuore tendeva sempre a indurirsi e le parole a diventare cattive e ce ne voleva di fatica a renderle di nuovo mansuete e le emozioni e i pensieri con esse - Sdraiato sul letto a respirare lo scrittore stava apprendendo velocemente come scivolare accanto alle ombre dei miserabili e ad assomigliare a una di loro, prendeva appunti sui bordi luridi dei marciapiedi, poi il fotografo catturava figure inesistenti e le rendeva reali in composizioni monocromatiche - Prova a muoverti in questa oasi di disperazione senza aiuti chimici o etilici, suggeriva il fantasma di Angelica, senza sostanze che ti facciano partire il cervello per le sue danze incontrollate - O forse sarebbe meglio lasciarsi trascinare da questi balli selvaggi e finire incoscienti in un letto o in un cesso, con la testa fra le mani e la lingua, come quella di un cane, moribonda fra le labbra secche e spaccate? - Vociare di stelle e frammenti di infinito e un biglietto aereo per un ritorno a una normalità distrutta e abbandonata, la casa di mio padre, i dischi, le chitarre, un’accogliente solitudine, il silenzio - Qualcuno avrebbe dovuto ringraziare le divinità dei Muri e delle Porte, che almeno la possibilità di sbattere fuori da uno spazio personale tutto quello che ti disturbava te la davano ancora, ma i rumori e le parole degli altri cercavano sempre di insinuarsi fra di esse e nelle crepe delle nostre percezioni, tentando di strisciarci dentro, sussurrava Stephen, un filo paranoico - Respirare, respirare, respirare - Avevo un folle documentario da montare e un ennesimo romanzo da concludere, in un’altra città e non qui avremmo messo ordine in questi tumulti artistici, in un altro passato che avrei trasformato in malinconiche fotografie mentali - La luce del tramonto era meravigliosa e nessuno ti avrebbe mai detto che non era la sua solitudine a risplendere nel profondo dei tuoi occhi ma solo la bellezza che ognuno di noi possiede nei misteri del proprio cuore.

lunedì 2 novembre 2020

dream #100

 Città di sogno che appaiono e svaniscono in un crepuscolo di luci acide, enormi edifici di un’età dimenticata, cattedrali di un medioevo emotivo, di una barbarie ultraterrena, giganteschi animali di pietra sulle facciate di un tempio mesopotamico, poi strade e vie e stazioni degli autobus deserte - ero già stato qui, in un’altra vita, in un altro viaggio onirico e ancora sentivo la paura di perdermi, di non sapere dove andare - non c’era nessuna libertà, nessun desiderio di scoprire, solo l’esigenza quasi fisica di trovare un modo per tornare a casa, dovunque essa fosse - avevo indirizzi invisibili e ricordi di luoghi in cui avevo abitato e che volevo raggiungere senza sapere come - la febbre bianca, le ferite sui palmi delle mani, il silenzio di un chiostro autunnale avvolto da una leggere nebbia sospesa, il lieve fruscio delle foglie che iniziavano a cadere, nessun pensiero, nessuna aspettativa, nessun desiderio - gli ultimi respiri che trascinavano con loro le memorie del passato, sulle quali dissolversi, sulle quali sedersi per contemplare ciò che siamo stati e ciò che non avremmo mai potuto essere.

venerdì 30 ottobre 2020

madre e figlia (2010)

 Quando la figlia usciva di casa, il sabato mattina, per andare a scuola, la madre entrava nella sua camera e si metteva a rovistare tra i vestiti, nelle borse, nei cassetti alla ricerca di qualcosa che potesse spiegare gli strani comportamenti della ragazza. Al telegiornale dicevano che gli adolescenti facevano abbondante uso di sostanze stupefacenti, canne, alcol, coca e una galassia multicolorata di pasticche. Ogni tanto la madre trovava una cartina e già questo le pareva un buon indizio per interrogare la figlia su quali sostanze usasse. Il mutismo di lei era la risposta più frequente.

 

La figlia faceva quello che voleva. Aveva diciassette anni. Tornava la domenica mattina alle cinque, quando si degnava di rientrare a casa e non  rimaneva, come diceva lei, a dormire da qualche sua amica. La scuola era un passatempo settimanale. Era stata già bocciata una volta e per la seconda mancavano solo pochi mesi. La madre attribuiva le colpe al padre assente, alla società, ai professori, alle droghe. Mai una volta che si chiedesse se il suo modo di fare avesse avuto qualche effetto sul comportamento della ragazza. Se la sua incapacità di mantenere una decisione stabile avesse influito sulla confusione della figlia.

 

La donna riusciva ad arrabbiarsi con la ragazza perché spendeva troppi soldi e dopo tre giorni le regalava cento euro per un paio di scarpe. Poteva aggredire la figlia perché prendeva un Oki contro i dolori mestruali o il mal di testa e la sera per addormentarsi contava in un bicchiere le sue gocce di ansiolitico.

 

La donna aveva un cane a cui aveva trasmesso le sue stesse inquietudini, il suo stesso nervosismo. Per un  periodo era diventato il suo confidente, la sua sola compagnia.

 

Questo, quando le era morto il pappagallo.

 

La donna continuava a programmare idealmente la sua vita, senza riuscire mai a metterla in pratica, si rinchiudeva in abitudini e azioni ripetitive, senza capire che finché non avesse fatto chiarezza dentro se stessa, nulla sarebbe cambiato.

 

Si potevano incolpare gli altri per il proprio malessere, ma era la soluzione più facile. Nessuna medicina e nessuno psicologo potevano aiutarla. La felicità è qualcosa che esiste nel cuore di ogni persona e non dipende dagli altri. Il problema è che quasi tutti la cercano fuori di loro. Nel mondo, negli uomini, nelle donne, nelle cose, negli animali. Per questo la gente è infelice. Perché cerca nei luoghi sbagliati.

 

La ragazza tornò da scuola ed entrando in camera vide le sue cose spostate, un cassetto aperto, una borsetta in un luogo diverso da quello in cui si ricordava di averla lasciata. Andò dalla madre e iniziarono a litigare. La donna disse che doveva smetterla di fare come voleva, che quella sera non sarebbe uscita, che lei non le avrebbe dato un soldo. La ragazza la mandò senza tanti complimenti a fare in culo. Poi si chiuse in camera. Passò il pomeriggio a dormire. Verso le sette iniziò a prepararsi. A truccarsi. A vestirsi. La madre le chiese dove credeva di andare, lei le rispose dove cazzo mi pare. Poi prese la sua borsetta e uscì. La madre le corse dietro, sulle scale. In un ultimo disperato tentativo di controllo le disse di non tornare tardi. Alle cinque al massimo a casa.

 

Alle cinque di mattina.

 

La ragazza neanche la ascoltò, in cortile si accese una sigaretta, sentendosi sicura di sé, mentre fuori dal portone qualcuno la aspettava, per portarla lontana da lì, in qualsiasi luogo, che non fossero le strette pareti della sua stanza.

lunedì 26 ottobre 2020

freewheelin' #54

 Campi aridi asfissiati dal sole, minuscoli contadini in lontananza con una sacca di semi a tracolla, i servi del terzo millennio erano uguali a tutti quelli che li avevano preceduti, poi le sagome anonime dei centri commerciali e i parcheggi con gli eserciti di macchine schierate in attesa dei propri stanchi padroni - C’era chi comprava, chi possedeva denaro, conti bancari, contatti, stipendi, salari, eredità eucaristiche che qualche povero cristo avrebbe abbandonato davanti alle bocche spalancate e sdentate dei martiri della misoginia militante - Tutti a cazzo duro! Ora e sempre astinenza! - Le bottiglie di assenzio e le riunioni di maschi e scimmie arrapate - Fra la distrazione e l’anestesia io posso sopravvivere, diceva Susana, prima di togliersi i vestiti e scomparire in una stanza proibita - Le streghe volavano ancora nel cielo che si oscurava a occidente e qualcuno accendeva grandi falò nella notte che sarebbe giunta, poi racconti anoressici e distillati di erbe psicotrope - File di enormi edifici in spazi urbani che nessuno aveva avuto il coraggio di progettare, un paio di birre in un patio nascosto fra sorrisi sintetici e cenni d’intesa, una donna accavalla le gambe, non ha le mutandine e me lo fa venire duro - Profughi, migranti, reduci, esiliati dalle zone erogene di un sesso indecente - I nomi di ogni deriva, le poesie mai scritte di ogni gesto di resa.


giovedì 22 ottobre 2020

Orgiva #16

 Un lungo film mentale nelle stanze oniriche della mestizia, volevo mostrarlo a Sara, così mi avrebbe raggiunto in una camera buia - Doveva essere notte in qualche città sconosciuta del mondo o di quello che sarebbe venuto dopo - E c’erano stati inseguimenti, corridoi di scuole, travestitismi&parrucche, sequenze musicali, la cucina della casa di mia nonna, lo sguardo arrabbiato di una bambina - Avevo incontrato Maeve e Alfie seduti ad un tavolino del bar Mario, protetti dallo sguardo del fotografo, ci eravamo presi un tubo a testa e poi un altro e avevo ridato a Alfie, in una busta di plastica, i suoi libri di fantascienza in edizione economica, tra cui Philip K. Dick, Arthur C. Clarke e Isaac Asimov, li avevo tenuti con me per tutta l’estate e non ne avevo letto nessuno - Maeve mi aveva raccontato di quello che aveva fatto nei mesi passati, del nuovo truck che aveva comprato e in cui aveva deciso di vivere in uno dei terreni desolati vicino Cigarrones, Alfie rimaneva in silenzio, ogni tanto lo guardavo negli occhi, c’era una luce speciale nei suoi, l’amore, pensavo, o la chimica di qualche sostanza psichedelica ancora in circolo - Verso le sei avevo un appuntamento con Paul al bar Chico, quando sono arrivato lui era già lì, seduto su uno sgabello, in un angolo, mezzo sbronzo - Stavo imparando a riconoscere il suo stato di ubriachezza dal suo sguardo e al momento non mi sembrava messo tanto male - Abbiamo parlato di nuovo del documentario sul Dragon Festival, delle nuove scene che avremmo girato a Cigarrones o magari di spostarci a Beneficio e ricostruire lì il set di Cigarrones, incorporando nelle immagini tutte le grottesche figure che deambulavano in quegli spazi alterati che la ragione aveva finito per trasformare in aberrazioni linguistiche, troppi acidi, troppo alcol, troppe droghe in generale - Mi tornava in mente Francis Ford Coppola e il suo Vietnam personale mentre girava Apocalypse Now, ci avremmo pensato io e Paul a rinnovare quella esperienza estrema e lo avremmo fatto nella giungla di eucalipti che nascondevano Beneficio dagli occhi curiosi del mondo esterno (e della Guardia Civil), era il luogo perfetto per ricreare il tempio (al suo posto avremmo usato un tipi) dove Kurtz (la cui parte sarebbe andata a Wibbs) si era rifugiato , lasciandosi impazzire nel proprio delirio di potenza - Avevo finito il mio secondo tercio e Paul aveva attaccato il suo terzo, non avevo voglia di sbronzarmi più del necessario, stava diventando sfiancante tutto questo alcol e anche noioso, la luce stava calando e alcuni uomini, tra cui uno anziano, giocavano a carte a un tavolino vicino a noi, ho pensato a mio nonno, alla vecchiaia e alla solitudine, che era quanto di più sincero ognuno di noi possedesse - Ho abbracciato Paul, gli volevo bene, ho pagato da bere per me e per lui e me ne sono tornato a casa, la sera, come quando ero un ragazzo, aveva iniziato ad avvolgere i miei ricordi di malinconie dorate e sognanti.

martedì 13 ottobre 2020

Orgiva #15

Il Semaforo aveva riaperto o forse non aveva mai chiuso ed ero stato solo io a non uscire di casa per giorni, le fotografie da controllare che neanche ricordavo di aver scattato, gli appunti da rileggere, quelli scritti da un’altra mano, un’altra ombra schiacciata dal calore bianco sui muri di case abbandonate - Le bottiglie di vino a formare composizioni primitive in un angolo della cucina, la prima luce del giorno che sfiorava le tende tirate della sala da pranzo (l’appartamento non era moderno e ancora possedeva nomi per le diverse stanze), poi le immagini in movimento di abitazioni in cui non avrei mai più vissuto se non nei pomeriggi che volgevano alla sera dei miei ricordi, volti perduti nella memoria, i pensieri di un bambino solitario e la loro colorata meraviglia - Paul mi aveva cercato e ci eravamo incontrati al Semaforo, lui era seduto su uno sgabello a parlare con Bob e Stephen, io mi ero messo al bancone e avevo ordinato un tubo - Paul mi ha fatto cenno di avvicinarmi quando mi ha riconosciuto, gli ho sorriso e ho spostato il mio sgabello vicino al suo - Il documentario sul Dragon Festival era rimasto fermo per un paio di mesi, non avevamo fatto altre interviste e il montaggio si era bloccato nelle nostre menti, la storia non proseguiva, si era essiccata come il rio Guadalfeo durante l’estate, c’era ancora una Big Picture da qualche parte di quello che volevamo realizzare ma nessuno dei due sapeva dove fosse e forse era meglio così, ci saremmo lasciati trasportare dal flusso di una narrazione invisibile, che voci e volti in stati di alterazione avrebbero raccontato al ciclopico occhio della videocamera e poi la musica sarebbe arrivata quando le parole fossero finite e forse anche danze estatiche sotto la luna, i ricordi di esaltazioni elettroniche e chimiche, i vuoti che le droghe lasciavano nella memoria e che nessuno dei presenti in sala aveva intenzione di colmare - Poi le improvvise aperture emotive di un melodramma alcolico con amanti e prigioni di sentimenti e lacrime e sofferenza, quella del cuore, quella che faceva più male - Le forme di autotortura erano innumerevoli e ognuno di noi sapeva essere il migliore carnefice di se stesso, per tormentare il proprio corpo e la propria anima - Mandiamo a fare in culo tutto l’apparato produttivo, economico e commerciale di fare film, avevo suggerito, ordinando un altro tubo e iniziando a sentire la testa più leggera, vediamo come le sequenze si uniranno e distruggeranno da sole, come le vendette finiranno per essere atti d’amore clandestino - Ci sono stanze d’ombra che dovremmo arredare con le forme oscure dei nostri piaceri proibiti, sussurravo in un orecchio a Sara, mentre le legavo i polsi alla spalliera del letto - Stavo camminando lungo la strada che dal ponte portava a Orgiva, l’avevo fatto decine di volte, prima del Grande Caldo, prima che esso diventasse uno stato mentale ed esistenziale, sembra di essere sempre sul punto di sciogliersi mi aveva detto una volta Maeve, prima di svanire in un tramonto etilico - Marce forzate di autocoscienza metafisica, io e l’altro a passo spedito lungo salite e pendii di psicosi altrui, dissertazioni filosofiche in codice, rappresentazioni teatrali incompiute,  discariche pubbliche di pensieri nocivi e tossici in totale collasso degenerativo - I piedi nudi di Sara che attiravano la mia attenzione mentre sentivo di nuovo i coglioni gonfiarsi - Respira, respira, respira - Antichi suggerimenti di vecchi monaci di cerimonie zen - Una capriola, un salto, un applauso - Una rissa fuori da un bar - Sara mi raccontava la sua vita, giorno dopo giorno, le piccole cose da fare appuntate sulla sua agenda, la vedevo alzarsi, tentare di entrare nei ritmi della vita quotidiana, poi spogliarsi di tutto e sprofondare nei suoi istinti, nelle sue paure, nei suoi misteri - La prendevo a schiaffi, la legavo, la masturbavo, poi la osservavo di nuovo, seduta a leggere, a dipingere, a smarrirsi nel mondo al di fuori di questa casa - Ero seduto in disparte, in un fotogramma muto di una pellicola ormai sbiadita e dimenticata, ho guardato oltre i bagliori di un giorno in rovina, i primi fuochi venivano accesi, le ultime sensazioni svanivano accarezzando il profilo del tuo volto, ci penseranno i tuoi occhi a guidarmi al di là di questo lento cadere, i tuoi occhi come lo specchio di un cielo striato di lividi e angosce e infinito candore.


sabato 3 ottobre 2020

senza titolo

 La prima luce del giorno con la sua quieta presenza faceva svanire i cupi pensieri della notte, i circoli viziosi di parole che non portavano da nessuna parte, i labirinti di frasi che non avevano via d’uscita ed era così che ci si imbastardiva gli uni contro gli altri, come se non ce ne fosse abbastanza di merda in questa vita e poi la tristezza nella voce e nel cuore di mia madre, mentre parlavamo al telefono e la paura di invecchiare e di dimenticare anche se non esisteva nessuna paura ma solo la resa, giorno dopo giorno, a ciò che sarebbe venuto e poi svanito e ancora le case della mia infanzia, quelle che non vedrò mai più e la presenza di mia nonna, dentro di me, quando sono disteso sul letto a respirare e lascio che lei mi parli come quando ero un bambino e immagini che sfumano sulla cresta di onde lucenti e sguardi e ricordi e emozioni - La luce della mattina è un dono che si ripete davanti ai nostri occhi, se solo fossimo capaci di cogliere la sua bellezza senza porci domande, senza pensare, come qualcosa di divino che ci appartiene ed è solo il riflesso di quanto di più umano splende al nostro interno, se solo fossimo capaci di rimanere in silenzio a guardare questa meraviglia nascere e trasformarsi, il mondo e i misteri che esso cela e insegna diverrebbero così i colori e le melodie di una danza che i sensi imparerebbero al di là di ogni stupida ragione.

venerdì 2 ottobre 2020

freewheelin' #53

 Un minuscolo proiettore portatile con dentro una microscopica pellicola avvolgibile - piccole immagini pornografiche prendevano vita su una parete di una casa familiare con mia madre e mia sorella in silenzio da qualche parte ad aspettare notizie di disastri dimenticati e qualcuno aveva rubato le mie fotografie e aveva lasciato cornici vuote da riempire con i resti di vite perdute - iconografie di santi e martiri e il fotografo che catturava fuggenti e fulgidi attimi di luce, prima che il sole si vada a nascondere dietro le cime di montagne azzurrine, gli suggeriva lo scrittore e lenzuola che durante la notte si riavvolgevano su se stesse, come nastri di musicassette abbandonate in scatole di scarpe polverose e il corpo inquieto di Susana, all’alba, che vibrava di caldi piaceri onirici e proibiti - il sangue e la luna e antichi rituali in valli nebbiose e umide e la polizia del subconscio che ricercava i superstiti delle moderne rivoluzioni spirituali - era lo spazio interiore quello in cui avremmo continuato a essere liberi e puri, al di fuori di esso non esistevano altro che catene e sbarre e prigioni invisibili - comportamenti, abitudini, dipendenze, partite a scacchi con la morte in pomeriggi alcolici e annoiati - una Alcatraz del cuore, dei sentimenti, dei pensieri - la quiete degli alberi mi sussurrava il punto di contatto fra dimensioni e direzioni diverse che si appartenevano e completavano, un gioco di specchi, una casa di riflessi, un susseguirsi di istanti dilatati in visioni parallele, i lenti respiri prima dell’aurora, quando ogni illusione si lasciava sedurre, smarrita e indifesa nell’esistenza e in ogni nome con cui, insolenti, l’avremmo chiamata.

lunedì 28 settembre 2020

dream #99

 Una stanza, ero steso sopra un letto ed è arrivata Marta e si è messa vicino a me, mi ha salutato, erano anni che non la vedevo, poi ci siamo alzati e abbiamo parlato un pò, mi ha detto di raggiungerla quando mi fossi sistemato, poi è scomparsa - Un’altra stanza, ero davanti a un computer ad osservare immagini pornografiche - Un bagno, molto grande, con la doccia, ero nudo con i coglioni gonfi e legati, lei mi parlava e si divertiva a eccitarmi - Sono davanti a una finestra aperta, mi affaccio e nel cortile di sotto ci sono parecchie persone, riconosco i volti di alcuni vecchi compagni di scuola, li saluto agitando la mano, c’è anche Ade fra di loro, alza lo sguardo e mi sorride - Cammino per le stanze e i corridoi di un appartamento enorme, non c’è nessuno, mi faccio una doccia e penso che dovrei masturbarmi - Sono in una camera con delle altre persone e sembra che due di loro mi stessero cercando, hanno occhiali scuri e mi dicono che sono in arresto, che devo seguirli, mi prendono sottobraccio e mi portano via - In un corridoio i due uomini si allontanano da me per alcuni secondi, c’è il dettaglio veloce della maniglia di una porta e la mia mano che la abbassa, poi sono fuori, in una strada mentre corro cercando di scappare dai miei inseguitori ma loro mi raggiungono e mi bloccano - Mi sono nascosto sotto un furgone, sperando che loro non mi vedano - Cammino lungo strade di notte, in una città sconosciuta, mi sento perduto, vedo le insegne al neon di un locale apparire dal buio, fotografie mentali, non ho assolutamente idea di dove andare.

giovedì 24 settembre 2020

Cigarrones #15

To the next dream - diceva Sebastian, ogni volta che ci salutavamo alla fine di un nostro incontro ed era in quella dimensione liquida e fluttuante, sempre in trasformazione che spesso ci vedevamo.
Era notte ed ero già abbastanza ubriaco ed ero seduto su un divano rosso mezzo sfondato, un pò in disparte, a guardare le stelle o qualcosa che stava brillando nel cielo, Tim, Paul e Alfie stavano suonando e alcune persone stavano parlando e come al solito non me ne fregava niente di tutti quei discorsi e allora mi ero allontanato e Sebastian mi aveva visto, sedermi sul divano rosso mezzo sfondato e si era avvicinato e mi aveva chiesto se poteva farmi un ritratto e io gli avevo sorriso e gli avevo detto di si.

Sebastian era un artista, un pittore e anche un uomo molto dolce e sensibile, delicato e gentile, un giorno mi aveva giustamente domandato che cazzo ci stessi a fare a cucinare per Wibbs e consorte, visto la sua evidente rudezza, gli avevo detto che questo era il punto e che così, a volte, va la vita.

Lui ha preso un pezzo di cartone dalla polvere della terra scura e da una borsa ha tirato fuori dei pennelli e un tubetto di vernice nera, lo ha aperto e ha spremuto fuori un pò di colore, poi ha iniziato a dipingere, quasi in maniera frenetica, impulsiva, mi guardava, dipingeva, poi mi guardava di nuovo, io cercavo di rimanere fermo senza ciondolare, nel frattempo alcune gocce di vernice hanno iniziato a cadere sulla terra scura ed è come se Sebastian stesse avendo un orgasmo e stesse eiaculando la sua arte ovunque e dopo aver finito e avermi dato il mio ritratto, mi ha ringraziato, dicendomi di averlo liberato e io gli ho sorriso in silenzio. 

Poi ho dato una lunga sorsata dalla mia bottiglia di vino rosso, le stelle vibravano nel cielo, senza nomi che potessero creare nuovi inganni e nuove illusioni, to the next dream - ha detto Sebastian, prima di svanire nel buio e nei misteri della notte e in tutto quello che nessuno di noi avrebbe mai conosciuto di essa e dio ciò che alla sua fine sarebbe successo.

giovedì 17 settembre 2020

...

"He remembered Alejandra and the sadness he’d first seen in the slope of her shoulders which he’d presumed to understand and of which he knew nothing and he felt a loneliness he’d not known since he was a child and he felt wholly alien to the world although he loved it still. He thought that in the beauty of the world were hid a secret. He thought the world’s heart beat a some terrible cost and that the world’s pain and its beauty moved in a relationship of diverging equity and that in this headlong deficit the blood of multitude s might ultimately be exacted for the vision of a single flower."


cormac mccarthy

all te pretty horses

lunedì 14 settembre 2020

Orgiva #14

Avevo incontrato Paul davanti alla gelateria italiana, era sdraiato per terra, apparentemente senza sensi. Mi ero chinato per vedere se ancora respirava, lui aveva aperto gli occhi, senza riconoscermi. Poi si era messo seduto, l’accendersi di una scheggia di luce all’ombra delle sue pupille dilatate, una frazione di tempo in cui la mia immagine sfuocata aveva fatto scattare qualcosa nelle sinapsi instabili del suo cervello. Mi aveva riconosciuto. 
L’ho aiutato ad alzarsi, gli ho chiesto come stava, parlava confusamente, ci siamo incamminati verso la chiesa e un posto dove potesse pisciare in tranquillità. Si voleva svuotare la vescica proprio davanti all’entrata della casa di Dio, gli ho suggerito che non era la migliore delle idee, lui ha sbattuto le palpebre, l’ho preso sottobraccio e l’ho portato in un angolo meno visibile accanto ad un muro, alla destra della Sacra Dimora. L’ho lasciato da solo per un paio di minuti a sbrigare le sue faccende urinarie, mi sono seduto su una panchina e ho atteso. Paul è tornato verso di me, con uno sguardo enigmatico. Voleva bersi una birra ma era domenica e tutti i bar di Orgiva erano chiusi, poi mi ha chiesto che ora fosse, quasi le otto di sera, gli ho detto, mi ha guardato in maniera interdetta, a quanto pare pensava che fosse ancora mattina. E il giorno? mi ha domandato dubbioso, domenica, gli ho risposto. Come non è martedì? Ha detto lui, no Paul, è ancora domenica, gli ho sussurrato con un sorriso sulle labbra.
Abbiamo passeggiato un altro pò, vagando in bilico su emozioni smarrite. Ogni tanto si accasciava al suolo, si accendeva una sigaretta e mi raccontava di lui e di Martha, poi si metteva a piangere o rimaneva in silenzio. Abbiamo trovato un piccolo negozio aperto, lui ha comprato un litro di Cruzcampo, ci siamo seduti su delle scale , quelle che portavano alla piazza e ci siamo passati la birra.
Abbiamo parlato un altro pò, non che ci fosse molto da dire, per lo più lo ascoltavo o cercavo di dirgli qualcosa di divertente per tirargli su il morale, ogni tanto lo abbracciavo o gli massaggiavo il collo, quando iniziava a sentirsi di nuovo triste  e a singhiozzare. 
L’ho salutato quando la luce ha cominciato a diminuire e questo sogno a trasformarsi in un altro. Susana mi aspettava a casa, fra lenzuola viola e oli profumati, una bottiglia di vodka mezza piena nel frigo, ho accelerato il passo perché non ci fossero più distanze a dirmi cosa fare.

giovedì 3 settembre 2020

Cigarrones #14

Non so come era iniziata e tantomeno sapevo come sarebbe finita eppure mi ero ritrovato a camminare con Adrian e Wibbs e stavamo andando a trovare Vittorio e avevo con me una bottiglia piena di Soberano e uno degli acidi di Uncle Eddy e faceva caldo e le sensazioni del deserto e quelle del sole e dell’aria mi  accarezzavano la pelle e quando siamo arrivati da Vittorio, lui stava fumando erba con la sua pipa, scegliendo canzoni e sorridendo come se niente fosse importante e niente potesse turbarlo e ci siamo seduti da qualche parte e ho aperto la bottiglia di brandy e versato un bicchierino a ciascuno dei presenti, di cui non ricordo i nomi e i volti, credo ci fosse Clarabelle e Graham e abbiamo brindato e ognuno sembrava felice e ho lasciato la bottiglia nel mezzo di un tavolo immaginario e ho tagliato l’acido e ne ho presa una metà e l’atra me la sono messa in tasca e ho sorriso e ho atteso.
Era quasi il tramonto e mi sentivo il corpo leggero e stavo tornando da dove ero venuto, non ne sapevo il motivo, perché ogni decisione che prendiamo non è altro che un trucco della nostra mente e allora mi sono fermato nello splendore improvviso di un istante e mi sono guardato intorno e i pendii delle montagne respiravano, i colori si muovevano lenti, meravigliosi, in un riverbero costante di luce divina, perché stavo camminando? Dove stavo andando? Dove stava andando ognuno di noi? Non c’erano risposte e mai ce ne sarebbero state, oltre a quelle che la morte ci avrebbe dato, le onde del tempo ci trascinavano con loro attraverso i misteri di questa vita e di quelle che sarebbero venute dopo. 
Mi sono seduto a osservare la natura che mi circondava e a cui appartenevo, non c’erano direzioni da seguire al di fuori di quelle che mi avevano portato in questo istante di assoluta perfezione, c’era una canzone che il vento e la terra mi stavano insegnando, la sentivo nel cuore e in ciò che in esso si nascondeva, poi il silenzio e la quiete del cielo hanno avvolto con la loro bellezza ogni cosa e di tutto quello che ho sempre creduto essere reale non è rimasto altro che polvere di stelle, quella di una sensuale notte, ammantata di sogni sempre più fuggevoli,  ho camminato lungo la frattura dei mondi, nulla mi sembrava vero e nulla era mai stato così nitido e vivo nel manifestarsi davanti al mio sguardo, ho vagato in questo vuoto danzante come fosse un atto d’amore, per arrivare in quel luogo dove origine e fine si perdono in un respiro di eternità.

martedì 1 settembre 2020

Orgiva #13

 Nel pomeriggio ero uscito di casa e faceva ancora caldo, mi ero incamminato verso il fiume, il Guadalfeo, con l’idea di attraversarne il letto ormai secco e poi tagliare per i campi aridi e arrivare al women’s field, dove mi avevano invitato per una cena spagnola. Prima del ponte, la maglietta già fradicia di sudore, appiccicata alla schiena, Vittorio mi ha superato con il suo furgone (library service) e ha accostato al bordo della strada, aspettando che lo raggiungessi. Mi ha fatto salire dalla sua parte perché l’altra porta non funzionava, mi sono seduto sul sedile anteriore sinistro accanto a Charlie, il suo cane, che ne occupava più della metà - Una musica punk infernale usciva a tutto volume dalle casse, Vittorio si è messo al volante, un drink con un liquore ambrato e ghiaccio fra le gambe, mi ha sorriso e ha messo in moto. Non abbiamo parlato durante il breve tragitto fino a Tablones, ogni tanto lo guardavo, poi voltavo lo sguardo verso il finestrino e quello che scorreva fuori di esso, non molto, a dire il vero, colori desertici, una luce ancora forte, i profili delle montagne. Dopo cinque minuti siamo arrivati davanti al bar de El gordo, ci siamo fermati, ho chiesto a Vittorio se volesse una birra, lui ha sorriso, siamo scesi e siamo entrati nel locale. Faceva fresco dentro, l’aria condizionata era in funzione, ci siamo seduti al bancone, lui ha preso una Amstel, io una Alhambra. Altri due uomini erano seduti vicino a noi, sugli sgabelli, uno di loro era Andy, viveva in un bus rosso a due piani in un pezzo di terra lunare non lontano da lì, recintato da una rete metallica, che lo faceva sembrare una specie di campo per i lavori forzati di qualche landa primitiva dimenticata dalle divinità. Andy aveva avuto (e ancora aveva) dei problemi con alcol e coca (e chissà quali altre sostanze), si innervosiva subito, parlava troppo e non si fermava mai. Me ne sono accorto quando ci siamo seduti fuori, Vittorio voleva fumare un pò di erba e lui ci ha seguiti, sedendosi alla mia destra e iniziando un monologo interminabile su non so bene cosa, in un misto di rabbia, delirio personale, teorie cospirative, ricordi di usi e abusi di droghe varie, festival, ricette a base di speed e centinaia di lattine di birra (special brew). Non sapevo come staccarmi da questo torrente di chiacchiere soffocanti, Vittorio guardava da un’altra parte, fumava la sua pipa, sorrideva e giustamente non gliene fregava un cazzo di quello che Andy stava dicendo, ogni tanto annuiva, più a sé stesso che al logorroico inglese. Amavo Vittorio, era veramente uno spirito anarchico. Ho continuato a sorseggiare la mia birra cercando una via d’uscita da tutte queste stronzate che non mi andava assolutamente di ascoltare, erano buone per qualche minuto perché stimolavano la fantasia dello scrittore ma poi finivano solo per rincoglionirlo. Mi sono alzato di scatto, in un colpo di scena da psicodramma etilico, dopotutto c’era una cena a cui ero stato inviato e non volevo arrivarci troppo sbronzo, ho salutato Vittorio (dopo aver comprato una bustina d’erba), sono rientrato nel bar per pagare, mi sono bevuto uno shot di Soberano giusto per affrontare l’ultimo pezzo di deserto, poi sono uscito e me ne sono andato. Andy continuava a parlare. Solo Charlie, il cane, sembrava interessato alle sue frasi sconnesse e inutili.

domenica 30 agosto 2020

...

"Sometimes I would awaken and find him working in the dime light of votive candles. Adding touches to a drawing, turning the work this way and that, he would examine it from every angle. Pensive, preoccupied, he’d look up and see me watching him and he’d smile. That smile broke trough anything else he was feeling or experiencing - even later, when he was dying, in mortal pain.

In the war of magic and religion, is magic ultimately the victor? Perhaps priest and magician were once one, but the priest, learning humility in the face of God, discarded the spell for prayer.

Robert trusted in the law of empathy, by which he could, by his will, transfer himself into an object or a work of art, and thus influence the outer world. He did not feel redeemed by the work he did. He did not seek redemption. He sought to see what others did not, the projection of his imagination."



patti smith

just kids



giovedì 27 agosto 2020

Orgiva #12

 Il caldo mi stordiva durante il giorno e così me ne stavo chiuso in casa, nudo, con il cazzo duro, a volte, a guardarmi allo specchio - disteso sul letto, gli anelli di metallo, le tue scarpe rosse con il tacco, le tue mutandine nere, le mollette per i capezzoli, elastici vari, un piccolo vibratore, i miei feticci erano sparsi un pò ovunque, li usavo, li nascondevo, li ritrovavo, lasciavo la mia immaginazione libera di esprimersi, giorni di anarchia e masochismo li aveva chiamati lo scrittore, giorni di follia controllata, di danze senza regole sui confini della normalità, sempre ammesso che ce ne fosse una - ghignava il mio riflesso da qualche parte e poi me ne andavo sul terrazzo a fumarmi un porrito, le palle legate sotto al pareo che iniziavano a gonfiarsi, a farmi pensare a te, a quando saresti tornata, non avrei eiaculato fino a quel momento, giochi mentali, fantasie erotiche ricoperte di pelle, latex, cuoio - frustini, manette, bende, corde - c’era tutta un’alchimia erotica fatta di vestiti, oggetti e parti del corpo che mi mandava in estasi, un personale teatro di esaltazione dei sensi, di piaceri e proibizioni, con ombre maschere e luci sulle assi polverose di un palco itinerante, il buio in una sala inventata dai sogni, il mio corpo in languide posizioni oniriche, mentre la tua voce mi diceva cosa fare e io la ascoltavo rapito, fuggendo lontano, oltre me stesso e tutto quello che non ho mai osato essere.

mercoledì 26 agosto 2020

senza titolo

Ci è stato donato un tempo che conoscerà una fine, nel modo in cui lo percepiamo ora, in questa lunga attesa che chiamiamo vita, in questa meravigliosa malinconia dorata che è il nostro stesso esistere. Mi capita spesso di pensare alla morte, con un profondo rispetto per quell’ultimo respiro, per tutti quelli che lo hanno preceduto, per il momento in cui si varcherà una soglia e una luce, identica a quella che splende nell’oscurità dell’anima, ci avvolgerà in una infinita bellezza.Dei giorni andati, delle illusioni della giovinezza e di quelle della vecchiaia, degli amori traditi e perduti, di ogni singola parola, di ogni sguardo, di ogni schiaffo e di ogni carezza non rimarrà nulla. Assolutamente nulla.
Di ogni ricordo, di ogni volto scomparso, di ogni notte insonne, di ogni alba, di ogni tramonto, di ogni poesia, di ogni litigio, di ogni gesto di gentilezza e violenza non rimarrà nulla. Assolutamente nulla.
Il passare dei giorni scivola lento sulla mia pelle, nel mio cuore, in tutto quello che esso racchiude, questo luogo così prezioso, così speciale. Nella solitudine che mi accompagna da sempre, nella rinuncia a ogni desiderio e aspettativa, un sentiero ha trovato i miei passi e io continuo a percorrerlo senza guardarmi più indietro. 
Perché è dove siamo destinati ad arrivare che tutto questo ha avuto inizio.

martedì 25 agosto 2020

Orgiva #11

Le colazioni alla terraza Castillo, con il fumo delle sigarette che creava figure astratte nell’aria, fra le dita di donne annoiate, il loro parlare interminabile, già a quell’ora, quando le loro bocche avrebbero dovuto essere ancora chiuse o al limite desiderose di succhiare un cazzo in erezione, suoni marini, scivolose sensazioni di ebbrezza erotica e sullo schermo della televisione passavano le immagini di pandemie mediatiche e lo scrittore si era alzato alle cinque di mattina per rileggere i suoi romanzi con occhi onirici, seconde stesure, laboratori di personale rielaborazione catartica, seguendo il ritmo delle sue visioni notturne e non c’era nessuno per strada, a quell’ora, nella piazza, non c’erano voci, né grida di bambini in stato di avanzata fibrillazione ludica, non c’erano cani, madri e vagabondi in giro e in questi momenti di silenzio ringraziavo la vita per la sua quiete, sapendo bene che non era questa la vita, ma solo il suo lato nascosto, timido e pacato, come me, al riparo in una casa vuota, con i libri e le foto e le tue scarpe con il tacco da baciare e leccare nei momenti di esaltazione masochistica (senza il bisogno di aggiungere la presenza di un laccio intorno ai miei coglioni gonfi) - O Dei della masturbazione, innalzerò altari di feticci in vostro onore e davanti ad essi mi inginocchierò a cazzo duro, vi adorerò nelle mie preghiere onanistiche, madre del cielo apri la tua fica d’aria e nuvole e lascia che gli uragani della passione ti turbino dentro - E nulla restava, lo sapevi bene e le divinità rissose con te, di questi orgasmi senza gioia, mai raggiunti e spinti lontano, nessuna bianca sostanza, nessun figlio perduto, nulla rimaneva del teatro del fottere&gridare, se non illusioni di un’intesa perversa e sfuggente e ferite e lividi viola e la tua pelle come una terra di misteri irrisolti, un campo di una guerra che mai conoscerà una fine, bandiere di resa bruciate nel fianchi, fra le gambe, nelle viscere - Bevevamo liquori in locali persi nel tempo, il tintinnare dei brindisi, il contatto dei tuoi piedi sui miei, sotto il tavolo, di nuovo a cazzo duro, ogni movimento, ogni penetrazione, come se fossimo gli ultimi amanti di una città dimenticata, in questa notte di stupende ossessioni vestite di cuoio e sospiri.


sabato 22 agosto 2020

Lanjaron #1

Viali alberati e vecchi alberghi, le ombre degli alberi a comporre mosaici vibranti sui marciapiedi e sull’asfalto delle strade, dove scivolano automobili degli anni cinquanta e battono il tempo i tacchi di donne disinvolte e sorridenti, il fotografo seduto a un tavolino, a bere birra e prendere appunti sul taccuino dello scrittore, i bagni termali e le stanze con folti tappeti orientali, le superfici cromate di bolidi futuristici, biplani in fase di decollo lisergico, quando i colori diventano stati emotivi, un’estetica cromatica di sensazioni visive, che poi qualche professore dell’Università Balinese avrebbe trasformato in immagini e teorie pittoriche, all’interno dei libri di testo di guerriglia architettonica - La corrispondenza psichica con lei, le parole che ci lasciavamo scivolare dentro, le scopate che occupavano gran parte delle nostre notti, fino all’alba di un nuovo giorno e di una nuova erezione, le sue urla di piacere e dolore che colpivano i muri della stanza mentre le schiaffeggiavo le natiche con naturale disinvoltura, i suoi occhi in cui mi immergevo e nei quali scoprivo una meraviglia dopo l’altra - Le mattine sul divano, appena svegli, che già ci scambiavamo la pelle e i suoi brividi, il cazzo duro a ogni ora, le risate e i silenzi, i film visti nel nostro cinema mentale e di nuovo la luce, fuori dalla casa, che mi indicava dove dirigermi per scattare foto e  catturarla in esse, le pagine di un diario nascosto, le frasi di Anais Nin e i deliri erotici di H. Miller e poi Parigi, svanita in un giorno di pioggia, nei riflessi in movimento sul vetro di una bottiglia di assenzio, un’alba fredda e omicida e le insegne degli hotel per miserabili, le puttane sui boulevard di un romanzo strappato da mani in stato di ebbrezza animale, non avrei mai finito di scoparti, di sprofondare nell’abisso dell’anima e in quello che la carne delle tue cosce aperte creava e distruggeva, ti afferravo per i capelli, con violenza e splendore, mentre ti cibavi del mio cazzo e ti spingevo la cappella fra le labbra fino a toccarti la gola - Danzavamo ubriachi in una lenta deriva dei sensi, era una vita che avevo perduto e poi ritrovato e non me ne fregava un cazzo di cosa sarebbe successo dopo, bevevamo ogni notte e poi scopavamo, le stelle bruciavano, i segni viola, gli attimi di estasi sospesa che precedono ogni liberazione, vengo come una marea di sogni oppiacei fra le tue labbra e a esse dedicherò poesie di selvaggia passione, cuore che gridi, indomito e pulsante, fra queste lenzuola sporche di sperma e sudore, dita nel culo e momenti d’amore, epidermidi violate, colpi di frusta come carezze proibite.

domenica 16 agosto 2020

Motril #2

Stazioni degli autobus, come si ci trovassimo in un sogno, l’attesa della partenza, le destinazioni che appaiono improvvise su uno schermo ad alta definizione, negozi di bisogni inutili, alle 15.00 sarebbe arrivato il mio contatto da Orgiva, fittizio o reale, non aveva nessuna importanza - In quanti orifizi devo amarti, diceva lo scrittore, disteso sul letto, il cazzo in erezione, la pelle ricettiva ad ogni minima sollecitazione erotica, sono i tuoi capelli, il tuo culo, i tuoi piedi, i tuoi occhi attraverso cui posso vedere la tua anima a farmelo venire duro, ad ogni ora del giorno e della notte, la violenza di ogni gesto di passione, la sconfitta, la gioia sublime e transitoria di ogni orgasmo, sospiri disciolti negli anfiteatri della mente, composizioni orgiastiche ed estasi dionisiache - Qualcuno parlava in arabo nelle strade, perché le coste del Marocco non erano così lontane, poi il particolare di un palazzo che ha iniziato a risplendere in una onirica e luminosa consapevolezza di trovarmi dall’altra parte dello specchio, dove le tue unghie hanno lasciato segni indelebili sulla pelle e i tuoi denti marchi inconfondibili  e lo sguardo di una donna anziana nel quale sprofondano tutte le nostre paure, case in penombra in cui sono stato bambino e poi le parole che non ci siamo più detti, le risate, le lacrime, Leonard Cohen che canta i suoi versi e una Marianne svanita nel tempo che lo ascolta distratta, le nostre muse, i nostri demoni, le colazioni sull’erba, i tuoi disegni, le tue lettere, le mattine a guardare i colori dell’alba da una terrazza vuota, i tuoi amanti, le tue bugie, ogni sorriso che hai tentato di proteggere in un frammento di felicità, ogni illusione cha ha danzato nell’infiammarsi di un tramonto, ogni pellicola che non abbiamo visto, ogni poesia che abbiamo dimenticato di scrivere, il lento rollio di quanto ci resta da vivere, qui, altrove, in nessun luogo - Ho accarezzato il tuo volto, ho visto la mia sborra colare dagli angoli della tua bocca, quello che non sono, quello che non sarò mai, quello che ho sognato di essere, quello che neanche le tue labbra hanno saputo chiamare con un nome che non fosse il mio.

giovedì 13 agosto 2020

Motril #1

Minuscole molecole d’acqua che evaporano in secondi sospesi, odore di sporcizia e strade in putrefazione estiva, le strutture di cemento tremolanti nella luce accecante del giorno, la mia camicia floreale, la macchina fotografica appesa al collo, gli occhi che seguono riflessi e intuizioni visive - Si formavano così mappe mentali che nessuno avrebbe mai conosciuto perché inventate e disegnate dalla mia immaginazione, gli artisti del furto si muovevano veloci nei vicoli di memorie liquefatte, sussurravano il tuo nome negli angoli e davanti a porte abbandonate e André era seduto a un tavolino di un bar di tossici&flaneur, a pensare al prossimo festino per cocainomani depravati e travestiti teutonici, i suoi amici in attitudini frocesche e costumi di colorata e bizzarra allegria etilica, mi ero fermato a bere una birra con lui, mentre mi raccontava i suoi sogni e i prossimi progetti musicali con il suo accento francese e i capelli lunghi da bohémien sfatto e gaudente - Ho preso un pullman per Motril e una volta arrivato ho vagato lungo vie in avaria, ho scattato foto e ho avuto un bianco orgasmo nella mattina silenziosa di una stanza segreta e tutto è tornato a brillare, fuori e dentro di me e durante la notte il mio doppio aveva girato per i vicoli vuoti del Barrio Alto e un’ombra si era avvicinata e mi aveva offerto i suoi servizi e poi ero sul piccolo terrazzo di casa a fumarmi un porrito e dopo disteso sul letto, scivolando verso un confortevole e inaspettato oblio, senza voci, pensieri, volti e corpi, senza ossessioni feticistiche a farmelo venire duro - Lungo le strade le persone indossavano mascherine che nascondevano la loro bocca, non era mai troppo tardi per chiudere quella fogna e rimanere senza nulla da dire, finalmente, sospirava lo scrittore e dava un altro sorso dalla bottiglia di rosso, un rioja niente male - i film di Buster Keaton e la quiete delle prime ore della mattina, il momento migliore per mettersi a scrivere, quando Orgiva riemergeva dalla tregua onirica (o dalle battaglie nei campi dell’inconscio) e io ero ancora qui e altrove e in ogni luogo e in nessuna parte, c’era un margine di costante incertezza nel quale mi ero ritrovato a nascondermi, dopo ogni fuga, senza indirizzi, recapiti telefonici, identità prestabilite, la valigetta con le sostanze era dentro un armadio, al sicuro, insieme ai tuoi frustini e alle tue scarpe con il tacco alto, il cazzo mi si gonfiava al solo vederle, te le avrei fatte indossare solo per baciarle e leccarle, poi la tua testa fra le mie gambe, le mie mani che ti afferravano i capelli, con dolcezza e violenza, a dare ritmo ai colpi della tua gola sulla mia cappella, era un atto di resa e amore, quello che svelava e nascondeva la tua pelle, quello che ti farà piangere e godere quando i miei schiaffi cominceranno ad arrivare sul tuo culo fremente, a ricordarci tutto ciò che non abbiamo mai saputo come chiamare, perché nulla di quello che ci è stato insegnato è mai realmente esistito.

martedì 11 agosto 2020

El barranco del medio

Elettricità viola nel cielo a occidente, visioni delle coste d’Africa in sogni alcolici e marittimi, la bottiglia di gin poggiata per terra fra le storie smarrite di acrobati circensi e marinai e trafficanti d’oppio - Sulla linea dell’orizzonte qualcuno scriveva poesie con i resti della propria vita, perché rimanesse l’illusione di un movimento ondulato che solo altri occhi avrebbero potuto osservare per poi dimenticare e città costruite nelle albe di progetti architettonici di un futuro proibito, gli enormi palazzi distesi in verticale sulla spiaggia, i blocchi di vetro e cemento moltiplicati in aritmie distopiche, stanze e finestre e gli sguardi galvanizzati  dietro lenti scure dei turisti pornografici, le camice floreali aperte sul petto, catene dorate e crocifissi sanguinanti, uomini nudi impiccati ai pali dell’alta tensione, a penzolare con erezioni capitali, gli imperi che i genocidi avevano innalzato sulle macabre maschere dei dormienti, volti contratti in agonie e orgasmi spasmodici e qualcuno mi aveva dato una chiave e una pasticca di ecstasy e mi aveva indicato una porta e io mi ero girato e allontanato da lui e avevo camminato lungo confortevoli corridoi di morbide moquette marroni, passi silenziosi in un labirinto di manicomi mescalinici, gli sciamani del quarto millennio preparavano la loro antica medicina, nei loro occhi risplendeva la luce di un caleidoscopio di fulmini lontani, sabbia nera, rocce disegnate dal vento, dall’acqua, dalla spuma di un’eiaculazione cosmica - Il faro del porto tremolava e si sdoppiava e le onde respiravano e il loro suono cantava la storia stessa del mondo per farmi addormentare, tempeste nella mente e le prime gocce di pioggia e le nuvole basse che oscuravano i contorni di metropoli abbandonate nei giorni che verranno, libri pieni di polvere, vecchie mappe nascoste nelle bottiglie d’assenzio del secolo scorso, una camera d’albergo in cui uno scrittore si era suicidato, poemi erotici ed etilici che le tue gambe aperte componevano nel calore di una mattina di gioia e violenza, le immagini sbiadite degli amanti abbracciati in composizioni di libido stilizzata, i ricordi che svaniscono e ci lasciano nudi e distesi su letti disfatti dal tempo, foto d’epoca e noi smarriti fra grida, amplessi e sudore.   

sabato 8 agosto 2020

Orgiva #10

Questa è la mia Tangeri, pensava lo scrittore, mentre camminava in un’alba di speranze mai nate, non c’era nessuno per i vicoli, né tossici, né spacciatori, solo i loro riflessi su finestre impolverate e portemagiche ancora chiuse e numeri sopra di esse e formule alchemiche che aspettavano di essere scoperte e le prime luci  della mattina che accarezzavano superfici mobili e taglienti - Ogni giorno era diverso e uguale a sé stesso, la poliziapsichica cercava gli uomini arabi, per arrestarli e portarli in qualche luogo in cui avrebbero dimenticato chi erano e chi avrebbero dovuto essere, le mani sul calcio della pistola come se sparare e uccidere fosse mai servito a qualcosa - Grafie illeggibili sui muri perché gli psicoagenti non scoprano i nostri segreti, reti di traffici illeciti, laboratori nascosti in cui distillare nuove bevande allucinogene, il succo di San Pedro fermentato e distribuito in bottiglie senza etichetta, strade secondarie, sentieri nelle montagne - La festa in piscina da Clarabelle, tutti ubriachi, gli strani personaggi, i bizzarri volti, i travestitismi, tutti nudi nell’acqua, le strisce invisibili di coca, i vestiti floreali, la musica che esplodeva dalle enormi casse che Vittorio aveva portato, punk, reggae, techno, ero costantemente con un drink in mano, poi non c’era più nessuno intorno e io galleggiavo disteso su un materassino rosa, il cazzo duro stagliato contro il sole - Poi discorsi notturni su una terrazza che non avrebbero portato da nessuna parte, figli abbandonati nei giardini del mondo, padri assenti, scomparsi, perduti, in questa giostra di illusioni sarà ancora la tua mano a svegliarmi dai sogni senza fare rumore. 


mercoledì 5 agosto 2020

Orgiva #9

I colpi di una campana (e quelli di una frusta, che ancora stavo aspettando) nelle mattine di quiete e bianchi orgasmi nella mente, i volti delle case che prendevano forma, lucidi e brillanti, dai resti avvolgenti di notti calde e sinuose - Un appartamento in cui cercavo Maria senza trovarla, in un sogno, la sua stanza chiusa e un tentativo di chiamarla al telefono, alle quattro di mattina, un’antica sensazione di preoccupazione e ansia nello stomaco, di cosa potrebbe succedere a una persona amata quando è lontana da te, diventando un tuo doppio, una copia pulsante del tuo stesso cuore - Tutti i momenti in cui sono stati gli addii a dirci cosa fare, cosa dimenticare - Tutti gli anni trascorsi in abitudini in cui non esisteva più nessuna scelta, se non quella di lasciarsi andare una volta per sempre, fino a quando ogni viso familiare fosse sparito e con esso i ricordi e la dolcezza di un tuo sorriso e anche il peso imponderabile di ogni lacrima trattenuta, in modo che non fosse più il dolore a tenerci uniti ma solo il suo impronunciabile nome, l’eco del suo passaggio nelle vene, nel sangue, nei battiti del tempo che ogni ferita necessita per trasformarsi in una cicatrice di perduta bellezza - Le mie passeggiate solitarie, i personaggi che comparivano e si dissolvevano nello sguardo dello scrittore, proiezioni psichiche, mesmerizzazioni erotiche, quando i coglioni pulsavano e con essi le danze di gambe e piedi nudi, dorati, appartenenti ad esseri che non sapevo nemmeno come chiamare - Non avevo più interesse nell’amore, nel sesso, nei contatti fisici, negli sguardi, nei piccoli giochi di seduzione, era una commedia amara la storia dell’uomo accompagnata dalle dolci forme sempre in movimento delle donne, attimi sconosciuti in cui si univano corpi e destini e poi frammentazioni cosmiche e nuovi scenari galattici e tutto che finiva per ripetersi, decennio dopo decennio, senza che se ne capisse più il senso o la ragione - Un piccolo terrazzo da cui osservare il giorno diventare notte, non molto da fare se non rimanere in disparte, a osservare, a scrivere, a prendere appunti, a guardare i profili delle montagne oscillare nei colori del mondo alla sera, all’alba, ad essi appartiene la mia immaginazione, con loro finirò per fuggire di nuovo, in quel luogo dove il silenzio diventa voce e le parole suoni di luce.

lunedì 3 agosto 2020

Orgiva #8

Le luci e le ombre, gli angoli delle case, le facciate che risplendevano nel mezzogiorno, le proiezioni geometriche, le fotografie in bianco e nero, i tavolini dei bar, dove sedersi, ordinare birra e scrivere, i vicoli vuoti, dove l’immaginazione apriva porte senza bussare e popolava i vecchi quartieri con i fantasmi di tossici, spacciatori e puttane - gli incontri clandestini, le notti che ancora non avevo vissuto, le camere segrete che ancora non avevo scoperto - il vecchio Lee immobile davanti ad una parete di crepuscoli solitari, a battere le dita sui tasti di una macchina da scrivere invisibile e il vecchio Jack su una terrazza ondeggiante fra le stelle, a bere vino rosso e comporre haiku di stralunata bellezza - e i giorni che arriveranno senza fare rumore, senza dirti come riempirli - tutte le stanze in cui non sono mai nato, tutte quelle da cui per un atto d’amore non sono più uscito.


lunedì 27 luglio 2020

Orgiva #7

Rallentamenti temporali, durante il giorno, con le calde ore che si imprimevano nel bianco delle facciate delle case, ridisegnando le direzioni visive da seguire, in fotogrammi e istantanee, percorsi quotidiani che il fotografo ripeteva in diversi momenti di luce e ombra e gli strani personaggi che lo scrittore inventava, facendoli apparire e svanire, seduti sui gradini, gli occhi che invocavano un aiuto che non sarebbe mai arrivato, ci avrebbero pensato le sostanze a creare i loro tragitti, i bisogni a denudare l’anima, fino a quando solo l’essenziale fosse rimasto, dosi e iniezioni e poi la sera me ne andavo a bere al Viejo Molino e Pepe mi portava una cerveza e alcune volte i doppi dei personaggi diventavano reali e si sedevano accanto a me, raccontandomi le loro storie mentre rimanevo ad ascoltarle in silenzio - distrazioni erotiche ogni volta che le cosce di una donna si accavallavano, i piedi nudi sospesi nel vuoto di inibizioni e astinenze, erezioni permanenti, voci che sussurravano piaceri proibiti dalle porte socchiuse, quando camminavo di notte, fra i vicoli e c’erano figure dagli sguardi misteriosi che mi catturavano e sentivo il loro odore e ne seguivo la scia, dentro i corridoi, nelle stanze segrete, il rumore dei tacchi su un pavimento, una eco di tangibili pratiche rituali, movenze femminili,  il bagliore della luna nell’azzurro costante del cielo, il segno di un antico linguaggio per sacerdotesse elettriche - le passeggiate fino al Barrio Alto, gli incontri con chi conosceva bene cosa darmi, le proiezioni della mente su una parete di amniotica quiete, lei seduta a gambe aperte, mentre si accarezza le mutandine con la punta di un vibratore in funzione, premonizioni astrali in assenza di orgasmi - i liquori sistemati in un armadio di legno, un barattolo pieno di olio di canapa, il vino custodito in un baule di zingari fuggiti chissà dove, le vecchie riviste che parlano di ferrovie e poeti morti e alte montagne e viaggi su rotaie che attraversavano paesaggi naturali in movimento di colori e stagioni sconosciute, gli scompartimenti di legno, i libri da leggere, un diario su cui appuntare le proprie emozioni - la temperatura oscillava nel corpo, statiche posizioni orizzontali, pellicole degli anni cinquanta da archivi di cineteche smembrate, gli artisti in piazza, a saltare e far capriole, donne con bambini urlanti intorno, chiudi le tue labbra sul mio cazzo e succhialo lentamente, mani legate dietro la schiena in un atto di resa e perdizione - qualcuno leggeva ad alta voce il tuo nome, senza che nessuno osasse dire nulla, Angelica era morta, le sue pagine lasciate a marcire in una stanza buia, l’odore della datura che qualche bruja aveva bruciato in cerimonie di oltraggio al pudore e alla decenza, una donna perduta e mai più tornata indietro, la bocca senza denti, le lunghe unghie incrostate di sporco, entrava silenziosa nel patio del Viejo Molino, fantasma errante di sé stessa, Paul le aveva dato un pò di hashish, un giorno, mentre stavamo parlando di cinema e lui sorrideva in quegli attimi che precedono ogni singola caduta e poi me ne ero andato e avevo vagato e c’era stato un momento in cui non avevo più saputo chi fossi, una leggera brezza che sospirava senza domande, senza risposte, fra le flebili aspettative che anche le stelle finiranno per oscurare.


domenica 19 luglio 2020

Cigarrones #13

Ombre e luci. Striature. Tigri e Zebre. Graffi visivi. Seduti ad un tavolino nel patio immobile di un cortijo ridente, Nick e Stephen provavano le loro rispettive parti, alternando improvvisazioni a dialoghi presi dal copione che lo scrittore teneva fra le mani, i tempi erano quelli giusti, le pause, le voci, i ronzanti monologhi interiori di Stephen, flussi di coscienza lisergici e rallentati dall’olio di hashish che stava fumando, lo scrittore ne aveva avuto giusto un assaggio durante la mattina e sentiva il suo effetto espandersi e trasformare la realtà in un cuscino malleabile e surrealista di percezioni morbide e ondeggianti - Capitano! Mi addormenterei su questi dolci mari di sogni d’arabeschi e minareti perduti, in attesa delle danze e delle pietre preziosi, delle stoffe, dei piedi nudi di qualche donna coperta di veli e segreti - e qualcuno continuava a portare birre e bicchieri di sol y sombra con hielo e poi le riprese da dentro il furgone di Nick, i passaggi visivi - il buio frammentato - le linee di bianco vibrante - i paesaggi in movimento del deserto e dei suoi ricordi di guerre civili mai combattute - c’era Sam Peckinpah in qualche casa diroccata a sbronzasi con Sergio Leone mentre Quentin Tarantino preparava cocktail a base di agave e succo di San Pedro, giusto per proiettare in Technicolor  il film di questi scenari selvaggi e atavici e ancora il documentario sul Dragon Festival che qualcuno avrebbe dovuto portare a termine, con interviste e soprattutto con la pazienza di sedersi nell’oscurità di una camera silenziosa e iniziare a montare le sequenze girate le settimane precedenti in stati di alterazione psichica progressiva - ci penseranno le divinità del suono e della visione a darti questo spazio e a lasciarti libero di vivere nel flusso della creatività per qualche mese, la Natura sarà sempre pronta ad aspettarti con le sue canzoni di quiete e malinconia dorata e potrai scrivere e riposarti e bere birra ghiacciata o cuba libre sul terrazzo affacciato sulla piazza della Commedia Umana, afferra i sogni di questa estate che sta trasformandosi in vento e polvere e musica, scendi dal palco e siediti sulla nuda terra, ascolta la voce del mondo, quella che parla direttamente al tuo cuore e a tutto quello che in esso si cela.  


venerdì 17 luglio 2020

Cigarrones #12

Il vento spazzava via i pensieri o li faceva turbinare in amplessi aerostatici, le nuvole scivolavano sulle cime delle montagne come enormi e lenti e striscianti lumache - profili medievali di animali alchemici - macchine in ogni direzione, le prove del gruppo rock psichedelico di Alfie nel truck di Tim, attrezzato per improvvisazioni lisergiche ed esibizioni di creatività sonore spontanee, Maeve preparava i suoi costumi di scena, copricapi con tubi che oscillavano nel vuoto della notte, antenne cilindriche capaci di trasmettere e ricevere messaggi e codici di divinità aliene e dimenticate - la tenda volteggiava nel buio in una folle danza di spazi flessibili e pieghevoli - avevo iniziato a stancarmi di tutta questa instabilità percettiva, mi ero alzato e mi ero andato a stendere sul divano viola nell’area in cui una volta alla settimana allestivamo il nostro mercatino di allucinazioni e sogni infranti, le lamiere battevano le mani, applaudivano oscene all’arrivo della mia figura onirica, le cosce nude di Emma che me lo facevano venire duro, quando le accavallava o si piegava in avanti e le vedevo il culo e le mutandine nere infilate nel mezzo, occhi azzurri invitanti, erezioni sotto gli alberi, lungo il fiume, fra le rocce - le passeggiate fino a Orgiva, gli incontri con  i bizzarri personaggi che si muovevano fra le sue vie, le mattinate passate a scrivere o a lavorare sulle mie fotografie all’interno del patio del Viejo Molino, le birre con Paul, il vino alla sera con Lolo e Alfie e chi capitava fra noi, le lucenti risate alcoliche, i giorni che svanivano nel tempo, racconti perduti fra le dita, i misteri di ogni direzione smarrita, il diario di un vagabondo, le memorie di un lunatico, i libri di fantasie proibite e lussuose astrazioni, un cinema abbandonato, un film da realizzare nella propria mente, gocce sotto la lingua di sostanze sperimentali a base di psilocibina, il silenzio a correggere ogni parola infranta e dolente, spoglie verità su letti di significati assenti e fuggiti nell’oscurità di anime inquiete, di corpi mai esistiti e solamente indossati.


giovedì 16 luglio 2020

Cigarrones #11

La quiete dei pomeriggi dopopranzo in campeggio, insieme ai miei genitori, le mani sul viso di mio padre, in una piscina, quando mi insegnava a stare a galla, le  dita di Zebedy sul mio volto in un identico momento e tutti gli anni andati, i profumi, i colori e le sensazioni, tutto quello che dobbiamo imparare a lasciar passare, perché nulla di questa vita ci appartiene e più ci aggrappiamo ad essa e  più forte sarà il dolore per ogni separazione.

Lorenzo dormiva sulle sponde del fiume e accudiva vecchi cani malati e c’era una purezza celeste nei suoi occhi o forse era solo il trucco di un magnifico ingannatore e continuavo a ricercare la solitudine, le voci della natura, tessuti sonori invisibili fatti di cinguettii, fruscii, gorgoglii, crepitii - meditavo in stati di meraviglia trascendentale, vagavo, mi riposavo, era bello farlo in questa valle e non trovarmi fra palazzi e asfalto, anche se qualcosa di quella vita stava chiamandomi di nuovo, forse avrei solo dovuto oscillare fra scenari bucolici e altri bukowskiani, quinte campestri e poi architettoniche, poesie di vuoto e luce, tangibili o mentali, con le vecchie strutture di pensiero che sembravano così difficili da distruggere, assumevo microdosi di LSD per corrodere le sbarre psichiche che ancora mi imprigionavano in abitudini che non erano mai state le mie, anche se a esse avevo creduto e gli avevo dato peso e sostanza fino a renderle reali, attraverso comportamenti e azioni e la loro costante ripetizione.

Sasha arriva con la sua bicicletta, si ferma a parlarmi, non so quanto di questi dialoghi verrà trascritto o ricordato, sono le parti mancanti a rendere credibile ogni romanzo, suggeriva lo scrittore, quelle in cui è l’immaginazione del lettore a completare il lavoro di chi si è messo a battere le dita sui tasti - direzioni impreviste, quelle in cui sono i tuoi piedi ad andare avanti e dove il cuore impara a danzare seguendone il misterioso movimento.


domenica 12 luglio 2020

Cigarrones #10

Vagare nel deserto, riposarsi nelle oasi inventate dagli occhi, miraggi, cammini secolari fra le pietre, le promesse dorate delle dune - i tossici inglesi nascosti in camion arrugginiti, i resti proibiti di festival andati distrutti fra deviazioni lisergiche e bombardamenti militari - pianteremo degli alberi per dimostrare che l’anarchia è morta, sentenziavano gli uomini senzasorriso, i semi della rivolta li nasconderemo nelle istituzioni gitane, pensavano i sovversivi nei loro vestiti rosa, poi macchine rubate e abbandonate, furti esistenziali, di stile, scrittori come vagabondi tra le pagine della cultura beat - ogni cosa si mischiava, si illuminava, perdeva i suoi confini tattili, le linee dei disegni si facevano più confuse, come quelle dei corpi e poi le fotografie scattate in bianco e nero, la profondità improvvisa di una sessualità animalesca, le giovani ragazze non possedevano nulla al loro interno se non  il riflesso dello splendore delle loro apparenze - ero stanco di discussioni, di dipendenze, della ruota, della scimmia che saliva sulla schiena e ti diceva cosa fare - i pezzi di un documentario incompiuto giacevano confusi sul pavimento della sala montaggio cerebrale, mascherine sul volto, banditi&briganti, alcuni di loro sepolti nella valle, i depositi delle armi, le bombe, i fucili in spalla, iniziava a fare caldo e l’atteggiamento imperialista dei figli di puttana britannici aveva cominciato a scassarmi il cazzo - luoghi di quiete per scrivere, per osservare il silenzio, per sedersi e respirare senza troppe voci intorno - progettavo la prossima fuga, senza paura, senza preoccupazioni, i giorni che si susseguivano avevano un peso di ore che evaporava fra sogni e ricordi e una bellezza il cui riverbero mi accarezzava il cuore - pochi orgasmi, nessun contatto sessuale, le fantasie danzavano ancora oltre le mie stesse distrutte abitudini - salutavo l’alba, mi sbronzavo se l’estasi dionisiaca lo voleva, guardavo oltre le montagne, i profili di un mondo di cui avevo dimenticato l’esistenza, le moschee del passato, i fulgidi minareti di una fede perduta.


lunedì 6 luglio 2020

La resa (2008)

Lo sai che bisogna riuscire ad ammetterla.

La resa, una parola giusta per l’occasione.

Un’immagine. Un corpo orizzontale.

Uno scenario. Una discarica, un corteo di topi.

La musica.

Un pianosequenza. Niente tagli. Avvicinarsi lentamente a quel corpo.

La calda voce di Elvis. Una canzone. I can’t help falling in love with you

La resa.

La mandria di uomini oltre il recinto, a testa bassa per le strade, con il sudore che impregna l’aria di un tanfo nauseabondo.

I loro occhi bianchi, i vestiti firmati, le teste ciondolanti.

E’ troppo anche per me, rimanere seduto in questa stanza, senza riuscire ad esprimermi.

Le giornate di sole, il mare e la musica. La sabbia dorata, il riflesso delle onde e una pistola in una tasca. I vestiti degli anni venti, le donne erano bellissime e la notte mettevano scarpe con i tacchi alti. Le vedevo danzare all’interno di caffè pieni di fumo, sulle note del tango argentino, fra bicchieri di anice e assenzio. La notte era magica, come le tue gambe e i tuoi capelli, i tuoi piedi volteggiavano su un pavimento di disegni azzurri, seduto in un angolo ti guardavo ballare, mentre una fiamma bruciava una zolletta di zucchero su un cucchiaino d’argento. Si fumavano sigari cubani e sigarette dai nomi orientali.

Più tardi si usciva dai locali, si saliva su vecchie automobili e si andava verso il mare. La sabbia era fredda, l’aria aveva un buon profumo. Sentivi il sudore che si asciugava sulla pelle, tu avevi lo stesso odore della notte e le tue labbra erano giochi che non riuscivo a smettere di fare. 

Poi le dita che risalivano fra le gambe.

La resa, una parola giusta per l’occasione.

E le ombre che ci abbandonano e le stelle e il loro ardere e lenzuola fresche e una stanza con un balcone da dove vedere la luna.

Un’immagine. Due figure orizzontali.

Uno scenario. Le dune e l’argento.

La musica. Miles Davis.

Il montaggio. Una serie di stacchi, i particolari del corpo. 

La resa.

Di nuovo ad un tavolo a bere chardonnay ghiacciato. Occhiali da sole e cappello di panama. Qualcuno in un bagno con una siringa e una fiala di morfina. Torni da me con i tuoi occhi a spillo. Magra e impenetrabile. Mi soffi da vicino il tuo amore. Da dietro le lenti oscurate ti guardo. Finisco lo chardonnay ed esco dalla stanza.

Il tempo passato è una serie di sogni in bianco e nero. E dolci labbra senza più calore.

Poi uno spazio asettico e nessun abbraccio. Una voce mi assicura che non soffrirai. Non posso dire nulla, una sigaretta incollata al labbro. Guardarti da dietro quella porta è una dolore che non so fare mio. Guardarti come uno scheletro, con i tuoi piccoli scatti d’ira, i tuoi occhi lontani. La voce mi rassicura e dice che devo andare e dice che non ci sarà sofferenza. Come posso credere a queste bugie, quando la sofferenza è tutto quello che adesso conosco.

I brividi nella pelle.

Un ago che vorrebbe accarezzarla.

Un amore che non troverò più da nessuna altra parte.

Ti guardo per l’ultima volta e sento un vortice nello stomaco che risucchia tutto. Mi giro e gli occhi sono vuoti e lucidi. Entrando in macchina non so bene dove andare.

La musica è finita.

Le danze e la luna.

Le labbra e l’argento.

Tutto scivola e muore.

Questo il senso ultimo del nostro essere.

La resa.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...