giovedì 31 agosto 2017

dream #72


L’ascensore è bloccato al piano terra e ha le porte chiuse, le funi di acciaio che lo fanno funzionare, invece, continuano a muoversi, così ne arriva un altro che si ferma proprio sopra il primo - sono nel cortile del palazzo dove abita mia madre e ci sono alcune persone che stanno parlando, guardo in alto verso il nostro appartamento e c’è un incendio con le fiamme che escono dalla finestra della mia vecchia camera, dico a qualcuno di chiamare i vigili del fuoco, poi sono per le strade intorno al palazzo, camminando, le vie sono stranamente deserte, è quasi sera, c’è un vicolo buio in cui non voglio passare, torno dentro al cortile e la facciata interna del palazzo comincia a sgretolarsi, tutto questo è reale? Mi domando e intanto inizio a sollevarmi dal suolo – è successo qualcosa di tremendo nel mondo e ci sono dei superstiti, io sono uno di loro, ci sono degli strani esseri che ci inseguono e che vogliono catturarci, c’è paura e smarrimento, io e gli altri camminiamo per dei boschi e ci rifugiamo in una specie di albergo abbandonato, ci sono parecchie stanze vuote, io mi sistemo in una molta grande al secondo piano, le pareti sono ricoperte di damasco rosso, entrano due ragazze, si sdraiano vicino a me, una inizia a sussurrarmi qualcosa nell’orecchio, l’altra mi slaccia i pantaloni – cammino per un sentiero in una vallata, ho caldo, mi rendo conto di non avere più niente con me oltre ai vestiti che indosso, trovo un’amanita muscaria accanto a una albero ma non la raccolgo – sono di nuovo nell’albergo, nella hall ci sono molte persone che stanno discutendo fra di loro, cercano di organizzarsi, salgo verso la mia stanza ma qualcuno ha preso il mio letto e non trovo più la mia roba, cerco uno spazio libero nelle altre camere ma sono tutte occupate – le valli hanno colori meravigliosi che pulsano lentamente e sfumano in tonalità calde e brillanti, le osservo con una grande pace nel cuore, paesaggi di quiete e bellezza, volarci sopra mi sembra la cosa migliore da fare.

venerdì 25 agosto 2017

fotografia numero undici

La strada rifletteva le luci rossastre delle insegne verticali dei cinema, le persone camminavano lungo i marciapiedi e attendevano sguardi di intesa, c’erano miriadi di sostanze proibite da comprare, decine di stanze in cui rinchiudersi per trasformare l’oscurità in estasi. Le automobili scivolavano lente sull’asfalto e qualcuno mi aveva chiesto di scrivere un articolo su questa città, avevo preso la mia borsa e la custodia della macchina da scrivere e una stanza in affitto per una settimana. Dalla finestra al secondo piano osservavo un mondo di misteriose figure appoggiate agli angoli dei palazzi, di denti d’oro e fumo di sigarette, di posaceneri pieni e locali in cui sedersi su alti sgabelli e bere bicchieri di liquori e scambiare occhiate con donne dalle voci roche e le gambe accavallate.
Avevo ucciso uno scarafaggio sul pavimento di legno e preparato la siringa per una dose, poi tutto era diventato più lento e confortevole, avevo atteso e galleggiato, poi ero sceso per strada e avevo osservato il mondo dei riflessi sulle superfici, sempre più convinto che quella fosse la realtà e il resto solo un’illusione.

L’uomo alla porta chiede dei soldi, una mano glieli allunga, un sipario che si apre, un nero che suona la chitarra e l’armonica, gli occhiali scuri, il sussurro di una pistola nascosta sotto la giacca, ordiniamo da bere, io e la mia ombra, qualcuno mi sfiora con il suo gomito, un segnale, seguo la donna dietro una porta, una luce fioca, un tavolo, qualcuno che mi chiede cosa voglio, il fruscio delle calze, una mano che mi perquisisce, l’odore del desiderio, quello della paura.

martedì 22 agosto 2017

dream #71


Una casa per le vacanze dalle pareti bianche, alcune persone mi invitano a un party e mi propongono di andare con la loro macchina, gli dico che preferisco arrivarci in bicicletta, nella casa c’è anche Lynn, in una delle stanze, non la vedo ma so che è lì – sto pedalando e mi ritrovo su una strana strada di asfalto grezzo, poi sono in mezzo a un gruppo di case e mi accorgo di essermi perso, poggio la bicicletta accanto a un albero e cerco qualcuno a cui chiedere delle informazioni, su un muro è attaccata una mappa, la osservo cercando di capire dove è il party ma non riesco a trovarlo, torno indietro e la bicicletta è scomparsa, un ragazzo mi raggiunge e mi dice di andare a casa – sono in una stanza, suonano alla porta, la apro ed entrano due ragazzi, ci sediamo a un tavolo, rimaniamo in silenzio a guardarci, poi uno di loro mi dà una scatola, la apro e arriva Marta, si mette a parlare con i ragazzi, guardo dentro la scatola, c’è il mondo con tutte le sue illusioni.

domenica 20 agosto 2017

Llanidloes #4

C’erano dialoghi che andavano trascritti e forse rielaborati oppure lo scrittore avrebbe potuto crearne di nuovi e cambiare le bocche che li pronunciavano e inventare bizzarri personaggi per i palcoscenici psichici che prendevano vita durante la notte. Le quattro mura di una cucina, i biscotti di burro e skunk e le confezioni di birra appoggiate sul pavimento, la doppia descrizione di uno stesso evento fatta da due persone distinte mentre le loro voci si sovrapponevano creando una duplice visione nella mente.
Warren era seduto su uno sgabello, davanti al bancone dell’Old Mill e Charlie Pepper gli parlava del suo ultimo lavoro, lo scrittore ordinava una pinta di porter e guardava le strane fotografie che riempivano le pareti del locale. C’erano poesie e monologhi e appunti scritti nelle pagine di un libro nero e lui teneva quel libro nascosto da qualche parte e la sua immaginazione lavorava su possibili performance e rappresentazioni sceniche e sarebbero bastate poche sedie e un tavolo e la luce dei riflettori puntata sul volto degli attori, qualche bottiglia e le loro improvvisazioni, per renderle reali.
Il fumo di una sigaretta invisibile stretta fra le dita nervose di una mano in crisi di astinenza, le ricette mediche, la morfina liquida e le pasticche di Tramadol e ancora delle ombre, sedute poco distanti, che tessevano oscure trame alle spalle dello scrittore. C’erano delle persone dentro una stanza, bevevano vino e parlavano e i loro discorsi alcolici divenivano sempre più disordinati. Le lettere di mio padre, poche parole, il suo ultimo disco che ascoltavo nelle mattine invernali. Le ore sospese e gli incontri con la memoria, come tornare indietro, il modo in cui rivedere la propria esistenza, solo un semplice testimone degli errori e delle esperienze vissute, ogni cosa sembrava sul punto di ripetersi per poi cambiare impercettibilmente e in quelle minime differenze, quelle continue variazioni, c’era la possibilità costante di scrivere qualcosa di nuovo. Afferravamo ogni minuto e lo espandevamo negli anni passati, camminavamo su quel crinale di tempo, albe e tramonti, echi di giovinezza, promesse tradite, le rughe intorno agli occhi, lo sguardo dell’adolescenza e tu, nuda in una vasca, che attendi i brividi della pelle e le carezze di una mano che ti ami per quello che sei.


venerdì 18 agosto 2017

dream #70


Sono davanti alle scale di un palazzo, le salgo e c’è un portone, lo apro e cammino per un corridoio fino a una porta. Dietro di essa rimbomba una musica ad alto volume, la porta è socchiusa, la spingo leggermente ed entro. So che c’è qualcuno dentro la casa ma non so chi è, so che questa è la casa di Mike ma lui non è qui, ho paura e me ne vado via velocemente, la musica continua a essere altissima – sono dentro Babylon, la sala per ballare assomiglia a una grande caverna, ci sono alcune persone, cerco il mio macbook air su un tavolo ma non lo trovo, penso che qualcuno me lo abbia rubato, vedo Carl e gli dico che il mio portatile è sparito, lui mi guarda e mi dice qualcosa, sembra minaccioso e arrabbiato con me – sono davanti a un divano, in ginocchio, una padrona è al mio fianco, indossa delle calze velate e una minigonna di pelle nera, dei colpi di una scarpa mi arrivano tra le palle, mi sento eccitato, penso che sia lei a farmi questo, poi mi giro, dietro di me c’è un nano con abiti femminili, truccato, guardo la padrona, lei sorride e mi osserva – sono nella casa di mia madre, il nano mi confessa di essere mio fratello, è vestito normalmente, stento a credere alle sue parole, vado sul balcone e ci sono mia sorella e mio padre, cerco il telefono per chiamare qualcuno, come sono arrivato qui? Quanto tempo sono stato lontano?

lunedì 14 agosto 2017

Birmingham #3


Le telefonate da Birmingham, i produttori della BlackBombay che tentavano di contattarmi, il mio cellulare spento, muto, ucciso in un angolo del tavolino di legno nero, le ultime immagini che cercavo di cancellare dalla mente, le inquadrature psichiche che i sogni riproponevano in scenari impossibili, lavori lasciati senza una fine, tagli su sequenze che avevo smesso di immaginare, loro mi volevano ancora, contratti che nessuno aveva firmato, le lunghe limousine che attraversavano luci metropolitane e spazi di ombra e buio, gli occhiali da sole a proteggere sguardi tossici, le ragazze con le gonne corte, l’odore delle loro fiche era ovunque, ti risvegliavi in letti sconosciuti, le strisce già pronte sulle superfici lucide, la pioggia che rigava la città, i graffi sulla pelle, i lividi come ricordi d’amore, gli occhi pesti e la memoria che riscriveva le sue sceneggiature, personaggi in volti deformati dalle droghe, dialoghi notturni che l’alba faceva svanire dalle pagine e dalle bocche, le assi colorate di un appartamento, viola e rosse, il corpo nudo di una ragazza seduta su uno sgabello, i dischi poggiati per terra, gli enormi amplificatori, gli strumenti elettrici, alcune fotografie attaccate ad una parete, c’era sempre la sensazione di essere da un’altra parte, i pensieri che oscillavano sui limiti di percezioni alterate, gli sguardi in macchina e le labbra intorno ad un enorme cazzo, c’era da chiedersi chi avesse creato quell’estetica, come si fosse arrivati a quella maniacale ossessione per i dettagli, ci avevano pensato il denaro, i guadagni e l’illusione della ricchezza, c’erano uomini che avevano indossato maschere per rendere più reali le loro menzogne, c’era anche il silenzio, in alcuni momenti, quando potevi per un attimo guardare oltre gli obiettivi e le lenti, le luci e i riflettori, gli occhi persi nel nulla e la quiete e il vuoto in quell’assenza di rumore e prospettive, poi tutto tornava a girare, a complicarsi, te ne andavi per le strade ancora avvolte dalla notte, una sigaretta incollata al labbro, c’erano puttane che ti salutavano, spacciatori da cui non volevi più farti vedere, amici che il tempo aveva trasformato in manichini di un teatro abbandonato, le sale vuote, le poltrone piene di polvere, su quel palco avevi recitato molti ruoli, poco più di elementari improvvisazioni, ti stancavi presto delle parti e ripeterle settimana dopo settimana era stupido quanto inutile, eppure ti avevano pagato e avevi accettato quei soldi e ti eri dimenticato cosa fosse quel respiro che nascondevi nel petto, parole e frasi e gesti eclatanti per sconfiggere la paura, intere nottate davanti ad uno schermo, a modellare, rifinire, rendere fluide tutte quelle sequenze, la musica nelle orecchie, melodie scritte per portarti altrove, scosti le tende, guardi oltre il vetro, le luci rosse e intermittenti sulle cime dei grattacieli, il mare, oltre il cemento e il metallo, una mano che ti accarezza la schiena, dove sei stato in tutti questi anni? Non posso dirtelo, ho solo aperto una porta, poi ne ho chiusa un’altra e non sapevo che  fra di esse ci fosse questa infinita confusione senza ritorno.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...