sabato 29 settembre 2018

freewheelin' #38

Coltivatori di marijuana nascosti nelle valli del Cile, verdi onirici fluenti come chiome di alberi oscillanti nel vuoto, il fucile puntato allo stomaco, i soldati che inseguivano sovversivi travestiti da contadini, la stazione del treno, gli agenti in borghese seduti su panchine di cemento e paura, nelle stanze della Grande Villa si incontravano uomini provenienti da nazioni sconosciute, i giovani fumavano hashish e costruivano incomprensibili strumentazioni meccaniche in grado di controllare i respiri, i cavi, gli elettrodi, la paranoie che alcuni insaziabili insetti rendevano reali sulle pareti, negli angoli, negli interstizi di piani temporali obliqui e sul punto di sciogliersi, i minuti e i secondi gocciolavano in ritmi di eternità che nessuno avrebbe più seguito, le vie colorate di Valparaiso, un cammino che sarebbe finito con il tuo ultimo respiro, la strada verso casa, gli incontri che ti avrebbero trattenuto, i fantasmi con graziosi occhi, lucenti e chiari, il silenzio era l’ultima barriera, la difesa che i monaci ti avevano insegnato, i giardini di pietra e quiete, i nodi delle cortecce come occhi immobili, i sospiri fra i rami, un uomo seduto in disparte, i treni che il vapore disegnava attraverso stazioni di mattoni e ferro, le mani tese, le dita che accarezzavano bagliori di luce, le superfici in movimento, la meraviglia, quel giorno in cui il mondo era attraversato da fili di pura energia, camminiamo per tornare da dove siamo venuti, sapendo bene che non arriveremo mai.

venerdì 28 settembre 2018

Artist Valley #5

Ero in uno spazio interiore, geometrico e tridimensionale, con griglie colorate di dati  in movimento che qualcuno stava trasmettendo al mio cervello, sembravano appartenere a un’antica e ormai scomparsa civiltà precolombiana, erano informazioni che oltrepassavano il normale piano logico razionale per espandersi in universi di telepatica comunicazione. Mi domandavo se fosse possibile incontrare altre persone in questo luogo privo di apparenti confini fisici, dove si potevano scambiare pensieri senza ricorrere all’uso del linguaggio verbale, quali segreti avevano scoperto ed esplorato i sacerdoti mesoamericani attraverso l’uso della psilocibina? Quali imperi della mente avevano costruito di cui le rovine che si trovavano nelle giungle non erano altro che una copia di pietra e gravità? 
Ero immerso in questa nuova dimensione, cercando di decodificarla e capirla, quando Roland è entrato nella stanza e si è seduto sul letto vicino a me, era impaurito e aveva bisogno di parlare, allora ci siamo presi per mano e lui ha iniziato a tranquillizzarsi e io ho lasciato quel luogo del passatopresentefuturo per ritornare all’esterno di me stesso, le proporzioni della camera erano ondeggianti, con la costante sensazione di vederle respirare, continuavo a controllare l’aria che arrivava e usciva dai miei polmoni e in questo modo c’era sempre qualcosa di familiare a cui potessi ricondurre la mia attenzione, i disegni sul pavimento si muovevano come sotto la superficie dell’acqua e sul soffitto si creavano leggere composizioni di fumo, modellandosi in astratte figure, io e Roland abbiano cominciato a chiacchierare, anche se trovavo difficile esprimermi attraverso le parole, sembravo essermi scollegato dal canale che trasformava i pensieri in lessico, potevo osservare le sinapsi che si occupavano di questo lavoro sdraiate a rilassarsi su una spiaggia cerebrale di sabbia bianca mentre i flussi di immagini sinestetiche costruivano altri codici i cui materiali andavano ad organizzarsi in avanzate architetture di complesse semiotiche aliene. 
Il volto di Roland si trasformava leggermente secondo dopo secondo, era divertente osservarlo, in alcuni momenti mi sembrava come una specie di gallo, poi un neonato, poi ancora una creatura fiabesca, abbiamo iniziato a giocare in questo modo, attraverso maschere e costumi e suoni e musica e guardandoci dentro e aprendo in maniera semplice e naturale gabbie comportamentali e culturali, non c’erano più distinzioni sessuali in lui, quindi la sua parte femminile si esprimeva in maniera libera e creativa, io assecondavo il suo modo di fare, sentendomi fluido e non imbarazzato, ci stavamo conoscendo in una maniera così rapida e meravigliosa che avevo cominciato a sentirmi come alla presenza di un vecchio amico, nel senso di qualcuno che ti conosce da tanto tempo e con cui puoi intenderti alla perfezione con una semplice occhiata. 
Inventavamo personaggi e ci muovevamo leggeri su queste pagine di fantasia, ho steso un tappeto sul pavimento e ho acceso una lanterna, mi sentivo un marinaio, poi una specie di califfo, nella sua tenda, mentre prepara un narghilè, seduto fra i suoi cuscini e il profumo dell’incenso, Roland è arrivato con del tè e una specie di tunica che si era arrotolato addosso e abbiamo continuato a parlare, poi mi sono sdraiato sulla schiena e ho semplicemente respirato e lui ha messo una mano sulla mia pancia e una sul petto, ho sentito il calore dei sui suoi palmi e lui mi ha chiesto perché il mio cuore fosse chiuso e se ci fosse un modo per entrarci, gli ho sussurrato che era un luogo speciale, potevo veramente osservarlo e percepirne la solidità, aveva smesso di sanguinare, aveva smesso di farmi soffrire e fino a quando avrei potuto lo avrei lasciato così, questo non significava che non avrei più amato, solo che lo avrei fatto in maniera diversa. 
Poi siamo rimasti in silenzio ad ascoltare la musica, melodie indiane, piene di grazia e gioia per il dono della vita, continuavo a sentirmi leggero, non c’era nessuna fretta, nessuna paura, nessun desiderio. 
Ho aperto gli occhi e le travi del soffitto ancora ondeggiavano leggermente, colme di grazia e incanto, come morbidi sogni di legno avvolgente. 

giovedì 20 settembre 2018

Artist Valley #4

Il centro del quadrato era anche la punta di una piramide vista dall’alto. 
Una donna discuteva di quanto il mercato dell’aglio fosse ormai in mano ai cinesi, si stavano impadronendo di tutto, i bastardi e c’erano nuvole violacee che si muovevano nel cielo mentre ero seduto a guardarle attraverso una finestra, un cappello di lana infilato in testa e le cuffie nelle orecchie, i Chemical Brothers che potenziavano gli effetti dell’acido e ogni cosa era chiara e nitida e il pensiero scivolava senza blocchi, spostavo l’attenzione ed ero una sola cosa con ciò che si manifestava nella mente, non c’erano distinzioni, non c’erano intrusioni, la bellezza estatica delle forme in movimento superava ogni immaginazione, i ricami floreali di un tappetto danzavano in coreografie sublimi, avrei potuto passare tutta la mia vita in questo modo, in un trascendente rapimento dei sensi, il flusso del tempo mi trasportava con sé in maniera concreta, secondi e minuti e atomi di eternità, la musica era un vascello a vele spiegate su un oceano di melodie liquide che toccavano il mio essere e il mio spirito come pure scintillanti emozioni, la bianca luce della morte/vita e la chiara consapevolezza di essere qui e ora, in un attimo espanso oltre i limiti del giorno e della notte e del loro infinito alternarsi, i paesaggi che svanivano in visioni interiori e gli psiconauti che parlavano di mondi al di là dello Spazio e spore aliene atterrate sulla Terra e sorrisi e occhi che diventavano come varchi negli universi femminili che mi passavano davanti, la quiete del silenzio a gambe incrociate, il respiro dell’acqua in ruscelli e piccole cascate, lo scintillio della luce nelle molecole che racchiudevano il vuoto, qualcuno si era seduto nella posizione del loto sotto un albero di sogni, illusioni e risvegli, c’era ancora un ultimo bagliore da amare, una delicata voce da ascoltare, il volto di uno specchio solitario, il coraggio di chi ha imparato ad aspettare, i tramonti che abbiamo sussurrato nella nostra giovinezza, tutto quello che è passato e che i ricordi accarezzano per rendere il destino meno crudele, i leggeri brividi lungo la schiena, sulla pelle e fra le dita e i baci scambiati fra le risate d’argento delle stelle, ogni fiore che abbiamo visto sbocciare non è altro che l’armonioso suono della bellezza e del suo incanto dai mille colori.

venerdì 14 settembre 2018

flashback #1 - effetti visivi

Gli effetti visivi sono i primi ad apparire, le superfici delle pareti e degli oggetti iniziano a muoversi, creando schemi geometrici o semplicemente liberi dalla normale percezione. Lo spazio può curvare, le linee diventare ondulate. Sono rimasto meravigliato dalla bellezza di queste forme, avrei potuto passare un intero pomeriggio a osservare i ricami floreali di un tappetto appeso alla parete. Ogni dettaglio era in movimento, come se danzasse in un’armonia propria (everything is broken up and dances). I quadrati sulla coperta creavano strutture ad incastro, oscillando in una leggera brezza, i disegni sulla moquette erano come mossi da un moto ondulatorio marino, la porta respirava, le ombre sul soffitto erano pure intuizioni architettoniche. 
Sono stato seduto su una poltrona ad osservare il cielo, ascoltando i Chemical Brothers, le nuvole formavano composizioni meravigliose e i colori pulsavano in tonalità azzurre, violacee e purpuree. Questo stato di estatica contemplazione è solo la superficie dell’esperienza, quella da cui si è sviluppata tutta l’arte psichedelica: la musica, il cinema, i manifesti. Le distorsioni auditive e visive, i tagli veloci e senza conseguenze logiche del montaggio, le enormi lettere che perdevano le normali proporzioni alfabetiche nei poster di quel periodo. Negli anni sessanta l’acido è stato uno strumento di potenza inaudita dato in mano a una generazione di ragazzini, è stato poi sfruttato dal mercato dell’epoca che ne ha intuito le potenzialità commerciali e poi è stato sostituito, commercialmente, da altre droghe e altre mode.

giovedì 13 settembre 2018

Artist Valley #3

Il modo in cui Diva mi ha abbracciato, prima di andare via e ne ho sentito il  corpo e il cuore battere e il respiro e poi la voce scivolare nel mio orecchio ed espandersi nella mente e nelle emozioni di pochi secondi, in un sussurro mi ha chiesto se volessi l’ultimo acido e le ho risposto di si, poi mi sono allontanato per sparire in una macchina e muovermi verso strade e curve e asfalto e immagini veloci ai lati dello sguardo e poi un parcheggio dove un branco di hippies aspettava terra organica per le proprie piantagioni di marijuana e i loro occhi erano strumenti di precisione emotiva e potevo guardarci dentro e scorgere vite che ricreavo poi, attraverso la scrittura, nella mia immaginazione.
Ben ha bussato alla porta del mio cottage, gli ho aperto e mi ha invitato nel suo, l’ho seguito e lui e Diva erano nel bel mezzo di una esperienza lisergica e mi sono seduto a gambe incrociate su un tappeto e li ho osservati e ho parlato con loro e stranamente mi sembravano perfettamente comprensibili i discorsi che facevano, le loro menti infrangevano barriere razionali che avevo abbandonato da tempo e allora ho avuto un pensiero improvviso, che tutta la mia vita, tutti i giorni che avevo passato su questa terra non erano stati altro che un susseguirsi di stati di coscienza personali ed esistenti soltanto nella mia testa, era più nitida adesso questa sensazione, soprattutto quando conoscevo gente nuova, era come se mi aspettassi che loro sapessero tutto di me e invece ogni volta dovevo raccontargli la mia esistenza da capo, quella storia sempre uguale a se stessa che ripetevo a sconosciuto dopo sconosciuto, fino al momento in cui avessi trovato l’ispirazione e il coraggio di stravolgerla completamente e diventare anche io pura finzione letteraria. Sarebbe stato un meraviglioso traguardo quello di perdersi fra le proprie frasi ed essere parte di questo romanzo che andava avanti da oltre venti anni, frammentato, disperso, in cui la voce dello scrittore continuava a parlare, ricordandomi tutto quello che era successo e il modo di ricollegarmi a ogni singola memoria ed esserne parte nelle immagini della sala proiezioni cerebrale e Diva disegnava una linea ondulata su un grande foglio bianco e cercava di spiegarmi che quello era il tempo e dove, su di esso, si trovavano i decenni e quel tratto di penna curvava e girava e s’intrecciava con quello precedente, mi sono versato un altro bicchiere di vino rosso e rollato uno spino d’erba e ho continuato la nostra conversazione, poi mi sono addormentato e risvegliato in un sogno in cui ero uscito fuori dal mio corpo e avevo visioni e le mie mani cambiavano forma e dimensione e poi una sequenza girata dall’alto in cui la macchina da presa si avvicinava a un incidente, con corpi inermi sull’asfalto coperti da un lenzuolo e poi i baci che Aisha mi ha dato in un’altra notte di improvvisa e stravagante bellezza e la maniera in cui mi ha sedotto, così diretta e dolce e le sue labbra erano i giochi di una ragazza lucente e poi il modo in cui ho visto la sua anima, la mattina dopo, fra i riflessi dorati del giorno e quelli dei suoi occhi. E poi il silenzio del cielo e delle nubi e il grigio dell’aria che nascondeva i colori e le forme e un altro saluto e le ore passate con Maria a Dublino e ogni momento in cui non sono stato in grado di amarla nel passato, ogni momento in cui me ne sono dimenticato, sapevo che era ancora parte di me e che lo sarebbe sempre stata e che un domani, fra le calde onde dei giorni che si infrangeranno sul mondo, io sarò ancora accanto a lei. 

domenica 9 settembre 2018

senza titolo

Qualcuno doveva aver alterato la linea degli eventi, facendo confusione fra passato e presente, incanalando il flusso della vita in un loop di avvenimenti senza senso, avevo ancora il coraggio di scrivere e questo significava disporre le parole nell’ordineche io volevo, gli ingegneri del suono modificavano gli ambienti acustici per creare simulazioni mentali di rumori inesistenti, flussi di macchine e richiami di uccelli, gruppi di persone e frusciare di alberi e immagini di strade che non mi avrebbero portato in nessun luogo e per questo bellissime e perdute e ancora sogni e voci di donne dai capelli di argento e città della memoria e dell’abbandono e i rifiuti sull’asfalto, gli avanzi di cibo, le bottiglie vuote, i mozziconi di sigarette, gli stracci, i materassi sfondati, i vuoti della notte nei pensieri del sonno e il tuo sorriso che non riuscivo a dimenticare, gli sguardi che avevo accolto nel mio cuore, i canti che avevo intonato per cercare di farlo guarire, ogni giorno che portava con sé tutto quello che non sarebbe più stato, le parole che ci siamo scambiati lungo le vie di pomeriggi dorati, gli alti silenzi come mura di prigioni abbandonate, sapevo ancora come toccarti senza nemmeno sfiorare il tuo corpo, sapevo ancora come arrivarti dentro senza neanche sentire l’odore della tua pelle, c’erano i tuoi occhi come porte spalancate sul mondo, c’era tutto quello che avevo attraversato, solamente oltrepassando le tue palpebre socchiuse, i segreti che ci siamo rivelati, le promesse che sapevamo bene non avremmo mai mantenuto, c’è un universo di perfetta solitudine in ogni respiro che mi attende, una morte inevitabile in ogni passo che rinunciamo di fare, eppure siamo ancora qui, in un gioco di inganni e riflessi e non ho più paura, amore mio, a dirti quello che provo, perché è solo in questo modo che continuerò a perderti e a ritrovarti per sempre.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...