mercoledì 22 aprile 2015

freewheelin' #22

I tossici seduti nel tram, i movimenti rallentati dall’eroina, le palpebre scure e pesanti, le parole strascicate, l’ombra di un veliero sull’enorme facciata gialla di un palazzo, i riflessi di luce delle antenne, prendiamo coscienza di quanto è stato già fatto, di quanto non accadrà mai più, di tutto quello che non avremmo dovuto ripetere, giorno dopo giorno, scaviamo solchi sempre più profondi, alcuni arrivano alla giusta distanza, perché siano in grado di entrarci in piedi, dentro la fossa, uno sguardo al cielo che diventa piccolo e insignificante, i fucili che sparano a salve, in segno di saluto o di resa, qualcuno sta piangendo? Qualcuno che prega? Il rumore di un vento leggero che attraversa le foglie, gli occhi limpidi di una bambina e le sue minuscole dita che giocano con le mie, cercando di afferrarle, in quel tempo lontano, di promesse e colorate illusioni, camminavo dalla spiaggia verso la casa, la pelle abbronzata, i capelli lunghi, il sentiero saliva dolce tra cespugli di mirto e rosmarino, alcune ragazze passavano, sorridendo, nei loro minuscoli costumi, i capelli ancora bagnati, ne potevo sentire l’odore, ci guardavamo, ci scivolavamo accanto, c’erano lucertole immobili, stese sopra le grandi pietre, intrappolate dal sole, nella casa qualcuno stava cucinando, arrivavano odori, il vino bianco ghiacciato dentro al frigo, lei era sdraiata sul divano, sembrava addormentata, le labbra leggermente socchiuse, le ho accarezzato i capelli e poi ho guardato lontano, oltre il suo volto, nel luccichio irraggiungibile del mare, vele enormi e gialle spinte dal vento, brillavano nell’azzurro gli occhi limpidi di una bambina che cercava di afferrare le mie mani.




venerdì 17 aprile 2015

...

- E che, dovrei fidarmi solo della brava gente? La brava gente si fa comprare e vendere ogni giorno. Tanto vale fidarsi, occasionalmente, di qualche cattivo, non ha né più né meno senso. Voglio dire che non scommetterei né sugli uni né sugli altri.
- Wow, Doc. Questa è pesante -. Denis restò seduto a fumare avidamente il suo spinello, come al solito. - Cosa significa? - chiese dopo un po'.

thomas pynchon
vizio di forma

giovedì 16 aprile 2015

senza titolo

Le gemme sugli alberi avevano iniziato ad aprirsi. I colori si espandevano, sfiorando l’aria. Il lieve contatto delle tue dita sul mio petto, mentre dormivi, la testa nell’incavo della mia spalla, ti accarezzavo i capelli, non avrei voluto tenere niente con me, lasciare su qualche spiaggia, qualche spiaggia sotto il selciato, la mia identità, perdermi nel mondo, i pensieri sarebbero state vele, lucenti nel sole, a spingermi lontano, a solcare gli oceani del tempo, da dentro, potevo seguire e disegnare mappe sconosciute, i tuoi occhi, in un giorno di primavera, erano gemme sul punto di nascere, c’era luce e un dolce profumo, saresti rimasta seduta nella posizione del loto a succhiarmi il cazzo?

Strade, persone, circoli viziosi della mente, strani labirinti da cui molti non erano più capaci di uscire, a ognuno il suo caos, a ognuno la sua rinuncia. Fili invisibili ci legavano, mentre ci trascinavamo verso un’uscita inesistente, era tutto qui, immediato ed eterno, in ogni respiro, erano qui le notti e i giorni, le stelle e gli universi, ad occhi chiusi, in silenzio, un’antica maschera, vecchia e ricoperta di crepe, una mano sulla corda dorata, il sipario rosso si chiude, nella sala non è rimasto più nessuno, gli applausi sono echi di gioventù, scompari in un vortice di nebbia, a contare le orme che ti separano dalla prossima fine.

martedì 7 aprile 2015

Haight-Ashbury (2006)


Eravamo quattro o cinque persone dentro una stanza. Le pareti erano colorate con strani disegni di fiori, animali, arcobaleni, funghi. Oltre a delle scritte enormi che si annodavano su se stesse. Ero nella stanza da quasi una settimana o forse di più (difficile dirlo) e passavo il mio tempo (quando non ero sotto l’influsso di qualche droga) ad osservare i fiori o suonare la chitarra o recitare qualche verso di alcune poesie che avevo scritto i mesi precedenti. Avevo un intero libro nero pieno di poesie scritte dalla mia mano. Parole che seguivano parole che seguivano altre parole.
La stanza serviva per dormire (quelle rare volte che ci riuscivo), per lavarsi e per mangiare. Il resto della vita era per le strade. Era chiacchierare con le persone, fumare erba insieme, scopare, rimanere distesi sotto la luna, assistere sotto acido ad un concerto.
Nella stanza non ero sicuro che le persone fossero sempre le stesse. Le facce mi sembravano ogni volta diverse, anche le parole o i gesti, ma speravo con il tempo di farci l’abitudine e quindi di poter riconoscere qualcuno o qualcosa. Ogni giorno mi presentavo con un nome diverso. E anche gli altri sembrava che si fossero cambiati nome e faccia durante la notte. O forse più semplicemente stavano facendo il mio stesso gioco.
Quando mi alzavo, di solito sempre con qualcuno al mio fianco (che fosse uomo o donna aveva veramente poca importanza), mi fumavo sempre una sigaretta. Poi mi lavavo, tiravo su qualche vestito e poi bello e colorato me ne andavo per le strade.
Il sole era la divinità più importante.
Arrivavo al parco dove mi bastavano dieci minuti per rimediare un pò d’erba, trovare qualche ragazzo o ragazza che stesse già fumando e mettermi accanto a loro a rollare il mio spino personale. Che poi naturalmente avrei passato al mio vicino, come lui avrebbe fatto con me.
Quando avevo voglia di stare un pò da solo mi alzavo e facevo due passi per il parco. C’era sempre qualcuno che suonava. Chitarre, bonghi, flauti, armoniche. La musica era quella dei doors, di jimi hendrix, dei grateful dead, dei jefferson airplane, di bob dylan.
Si parlava di vibrazioni, capivo esattamente cosa significasse quel concetto, ma non ero sicuro che quelli che non avevano mai provato l’acido potessero capirlo.
Le capsule di LSD avevano nomi esotici. Purple haze, Orange sunshine, White lightning.
Venivano vendute come se nulla fosse, non era difficile trovarle e il viaggio era assicurato.
Cercavo di non farne più di un paio a settimana, ma a volte non dipendeva dalla mia volontà, a volte iniziavo a viaggiare senza nemmeno saperne il motivo (si vede che qualcuno aveva sciolto un pò di LSD nel bicchiere d’acqua o di punch che stavo bevendo).
A volte mi ritrovavo in luoghi sconosciuti, con persone sconosciute. Avvinghiato a un corpo o riverso in una pozza di vomito o magari sdraiato su una panchina. Non era difficile fare amicizia, c’era sempre energia nell’aria, voglia di provare nuove esperienze e conoscersi.
Un giorno in cui ebbi più soldi del solito (avevo aiutato ad organizzare un concerto, mi avevano pubblicato alcune poesie su una rivista, avevo dato una mano ad un amico a vendere dell’erba) presi in affitto una camera in un piccolo hotel. Avevo finalmente una stanza tutta per me, pagai un mese di affitto anticipato. I soldi finirono subito, ma per lo meno avevo la certezza che per un mese me ne sarei stato per i fatti miei.
Avevo bisogno di solitudine per scrivere qualcosa di nuovo e poi più che altro avevo bisogno di riposo. Il mio corpo accusava il continuo trangugiare droghe, cibo di merda e alcolici e chiedeva una piccola pausa.
Con i pochi soldi che mi erano rimasti (dopo le spese della stanza) comprai parecchia frutta, parecchie bottiglie d’acqua, un paio di libri in edizione economica e un quaderno sul quale scrivere. Progettai di mangiare soprattutto verdura e pesce, ma dato che non avevo molti soldi era una cosa difficilmente realizzabile. Sarei andato avanti a frutta (arance più che altro) e poi la vitamina c era indispensabile per uno psiconauta.
Dopo due giorni di isolamento zen ero di nuovo per strada. Perdio mi dicevo, hai ventanni, due giorni sono più che sufficienti per il riposo, devi vivere, vivere, fare tutto quello che ti passa per la testa. Non me lo ero stato a ripetere due volte, la lucidità mentale (con tutti i suoi pensieri razionali, le sue preoccupazioni) già mi infastidiva, trovai qualcuno che mi vendesse un pò si mescalina, poi raggruppai un paio di amici e ci andammo a fare un viaggio nel deserto.
Passammo tutta la sera e la notte e l’alba persi nelle nostre visioni. Tornati sulla terra, ci rimettemmo in macchina e qualcuno guidò fino alla città.
La mia stanza era ancora lì. Entrai e sbucciai un paio di arance, provai a scrivere qualcosa ma niente da fare. La sera avevo sentito che ci sarebbe stato un concerto di hendrix, decisi di andarci. Rimorchiai un paio di ragazze, ci facemmo di acido e andammo a sentire il dio.
Quella notte capii la vera potenza della musica di jimi, quando bruciò la sua chitarra mi sentii parte di una cerimonia, senza contare le visioni che quella scena mi provocò. Le fiamme erano alte e assumevano sempre forme diverse, ad un certo punto ebbi anche paura, pensando che l’intero salone dove si teneva il concerto stesse andando a fuoco. Ma poi il sorriso di una delle ragazze mi rassicurò.
Dopo il concerto le portai in camera e facemmo una stupenda orgia in cui godetti come un pazzo. La mattina dopo, mentre le vedevo ancora addormentate nella stanza, scrissi due lunghe poesie. Le firmai e mi misi di nuovo tra i due angeli.
Quando finì l’affitto della camera stava per finire anche l’estate e io dovevo muovermi di nuovo, presi su tutta la mia roba (non molta a dire il vero) e mi incamminai lungo la spiaggia per vedere il mio ultimo tramonto (avevo ancora un pò di mescalina che avrei consumato quella notte stessa). Sarei ripartito senza niente. Ormai ero dell’opinione che non avevo più bisogno di cercare le droghe perché erano loro a trovare me.
Ebbi delle visioni meravigliose quella notte e il mio viaggio fu molto riflessivo, mi persi in molte considerazioni, credetti di avere afferrato parecchi significati, mi sentivo illuminato da qualcosa di divino, non sapevo esattamente cosa fosse, la mia coscienza aveva ottenuto qualcosa di sacro, forse solo la semplice consapevolezza della propria infinità.
Quando mi svegliai la mattina, feci dei lunghi respiri di ringraziamento e mi incamminai lungo la sabbia.
La luce tenue dell’alba illuminava quel che restava delle mie impronte. Mentre il mare, dietro di me, dolcemente le cancellava.




sabato 4 aprile 2015

le alte torri #8



L’ago entrava nella vena e la sostanza si mischiava con il sangue e maree di tempo iniziavano a trascinarmi oltre il presente,  tornavo indietro, attraversavo oceani in cui le onde erano minuti e ore e intere settimane e arrivavano lente e calde e mi sommergevano e c’erano i tuoi occhi, in un momento imprecisato, che si accorgevano di me, le palpebre che piano si alzavano mentre muovevi la testa verso il mio volto e ti ho amata da subito, da questo primo istante, le tue labbra disegnavano parole che non potevo capire e qualcuno raccontava di un sogno che lo perseguitava - all’interno di un aeroporto un bambino è in piedi nell’attesa di qualcosa, quello stesso bambino su una delle terrazze dell’aeroporto, una donna appoggiata ad una ringhiera che si gira e gli sorride, un uomo che corre - il vecchio una volta mi disse che era possibile assistere al giorno della propria morte, ancora i tuoi occhi che mi cercano, sto correndo verso di te, la voglia di abbracciarti brucia, c’è un bambino che ci sta guardando, non avrei mai pensato di crepare fra le tue braccia, davanti ai tuoi occhi, una volta sveglio, sono ancora lì.


giovedì 2 aprile 2015

freewheelin' #21

Non si arrivava da nessuna parte. A trattenere desideri e bisogni, a lasciarli esplodere nei giorni di riposo, settimana dopo settimana, creandosi un sistema, un metodo, poi le cose ricominciavano, a volte più brutte di prima, nulla era cambiato, tutto si ripeteva, le passeggiate della mente, la portavo a pisciare, legata al guinzaglio, perché non scappasse via. La fotografia di una stazione ferroviaria, il vapore scomparso dei treni, un’altra fotografia, i colori che sfumavano nel caldo e nell’ocra, tenevi un bambino fra le braccia, l’immagine sacra di una giovane donna, il suo sguardo dolce, fisso nel mio, le notti che cercavano l’alba, il respiro profondo dei corpi abbracciati, i tuoi occhi erano tornati a sorridere, ce n’era di bellezza nel modo in cui mi guardavi, c’erano tutte le donne della tua famiglia in quegli sguardi, non si arrivava da nessuna parte, soliti pensieri che girano a vuoto, il futuro e i programmi, era già tanto toccare il domani con un sorriso mite sulle labbra, ce ne sarebbero state di cose da fare – pesava ancora il passato? Gli errori e gli sbagli? Potevamo anche iniziare tutto da capo, quello che mancava era la giovinezza, non perché fosse necessaria ma perché se l’erano portata via con l’inganno, così come l’energia, la voglia di scoprire, un rimedio contro la malinconia delle illusioni sbagliate, piccoli passi, fino al letto, in cucina, da una sedia ad un’altra, rimanere ancora abbracciati e lasciarsi trasportare dalle onde, ricordi, spiragli di luce, parole sussurrate, echi e lontananze, i fili d’argento tra i tuoi capelli, a intrecciare storie che parlino di te.



freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...