venerdì 25 maggio 2018

Manchester #2

Gli occhi che ti fissano dopo il risveglio, gli agenti asiatici travestiti da idioti in astinenza di tempo, le prime ombre, allungate e distorte, il vuoto nelle camere cerebrali, le pareti da pitturare con memorie liquide e informi, le alterazioni di codici genetici che i nuovi scienziati avevano dimenticato di trascrivere in formule esperienze dissociative, la mattina ci si alzava con il cazzo duro, pulsante dentro un anello di metallo, gli schedari nelle stazioni di polizia sotterrane in cui venivano rinchiusi gli ultimi scarafaggi psichedelici, innocue passeggiate lungo i canali e serie di fotografie che un occhio meccanico scattava in conflitto con la propria identità, le ginocchia nude che attendevano un ordine e un comando, i manifesti che le mani di qualche maniaco sociale aveva strappato dai corpi nudi delle case occupate, gli scheletri di metallo e cemento armato, una violenza di strutture e alchimie architettoniche, c’erano segnali disseminati negli angoli luridi di ogni città, una serie di punti strategici che solo i superstiti sarebbero stati in grado di riconoscere e connettere fra di loro, c’era un’immaginazione malata dietro questi piani di distopie universali e anche tutta una serie di stronzate che scrittori alcolizzati buttavano fuori dalle loro viscere bucate, era finita la magia delle parole e con essa il carattere selvaggio di romanzi incendiari, associazioni libere come se si lottasse per la propria sopravvivenza, non che avesse ancora importanza rispettare regole con cui prima o poi ci saremmo puliti il culo, eppure ci si avvicinava ancora, gli uni agli altri, pensavamo che gli orologi si sarebbero fermati, tutti simultaneamente, senza più ritardi, anticipi, gabbie temporali di linee e quadranti e generazioni di schiavi in abiti costosi davanti agli schermi della manipolazione, ci avrebbero pensato mani gentili a svuotare le ultime resistenze umane, qualcuno imponeva l’urgenza della riproduzione dalla sala comando di divinità di plastica e latex, era un buon giorno per perdersi in qualche visione di santi e martiri ed erezioni di dolore, la didattica di un incubo, le preghiere dislessiche di uomini rinchiusi in specchi di vanità bruciate.


giovedì 24 maggio 2018

Mescalito (2005)



la luna era alta nel cielo,

la sabbia del deserto fredda 

sotto i miei piedi nudi.

lo sciamano ci disse di non avere

paura

e di seguirlo nel posto che ci

avrebbe indicato.

le stelle vibravano nel buio,

sentivo i colpi del mio cuore

amplificarsi

nell'eco infinito della mia mente.

lo sciamano

ci disse di fermarci e di metterci a sedere.

dovete prenderne ancora - disse.

noi ne prendemmo sette a testa 

dal sacco

che aveva aperto al suo fianco,

poi ci sedemmo e lentamente

masticammo.

il silenzio era palpabile come la pelle

della notte,

i nostri corpi ondeggiavano

come flebili fiamme.

lo sciamano iniziò a battere le mani

su un piccolo tamburo,

cantò dolcemente alcuni versi

e io chiusi gli occhi.

...

 il nero venne invaso da filamenti

rossi che iniziarono a intrecciarsi

tra di loro,

scie luminose si mossero verso un punto

imprecisato dello spazio

e io le seguii.

non sentii nulla

quando iniziai a muovermi,

oltrepassando intere memorie

e prospettive future,

scivolando come una cometa purpurea

in un vortice di oceani marini.

...

mi ritrovai a camminare su una strada,

la luce era molto forte

e i contorni delle cose

erano leggermente sfuocati,

come se la luce stessa fosse emanata

dagli oggetti, dai palazzi e dai bordi dei marciapiedi,

le mie mani sembravano

contornate da un bianco splendore,

camminai nella solitudine di questo mondo

osservando incuriosito ogni cosa,

mi avvicinai ad una piccola fontana

e immersi una mano nell'acqua.

le mie dita si sciolsero in una moltitudine di colori,

vidi immagini liquefarsi nei tanti volti

che avevo conosciuto durante

la mia esistenza

...

la montagna sembrava avvolta da uno strato di nuvole

e l'odore della pioggia impregnava gli alberi e le piante

e l'erba che avevo intorno,

il profumo della terra si mischiava

con una sensazione di mistero,

mi incamminai lungo il sentiero

avendo nel cuore la sensazione di aver

già percorso quella strada,

di essere già arrivato in cima a quella montagna,

di aver respirato quell'aria,

di aver camminato su quella terra,

iniziò a piovere

...

aprendo gli occhi vidi le altre persone

sedute su una superfice

completamente nera

e immobile,

dallo sciamano avvertivo arrivare uno strano

ronzio,

provai a parlare ma mi trovai

inesorabilmente muto,

cercai di alzarmi ma il mio corpo era pesante

come una montagna,

ero una montagna - pensai

e vidi in lontananza una persona avvicinarsi verso di me,

potevo sentire gli alberi e i sassi e la terra

di cui ero composto,

qualcuno mi stava calpestando, la pioggia

batteva su tutto il mio

essere

cercai qualcosa di me stesso

e non trovai più nulla.

...

lo sciamano finì di battere le mani sul tamburo

e la sua voce si tramutò in una leggera brezza,

guardammo ancora la luna

e le fredde stelle

e un nuovo varco si aprì davanti ai nostri

occhi.

ci prendemmo per mano

e insieme

l'attraversammo.


lunedì 21 maggio 2018

Manchester #1

Intervalli di ore notturne, intermittenze nel sonno, un’alba grigia che attendeva fuori dalla finestra, nascosta tra i palazzi dai mattoni rossi e le scritte che ricoprivano le facciate dei negozi di pegni ed elettrodomestici ormai in disuso. Una mappa disegnata sul muro di un’enorme stanza, le tubature che componevano direzioni misteriose appese al soffitto, i locali sotterranei in cui la gente ascoltava musica, beveva e assumeva sostanze, i laboratori clandestini celati dietro le porte di anonime lavanderie, le scale antincendio di edifici in rovina, vie di fuga immaginarie da tossicodipendenze urbane e risvegli elettronici davanti a pagine bianche. C’erano nuove associazioni metropolitane che la mente trasformava in architetture del pensiero, pesavano minacciose le forme dei materiali edilizi, quelle da realizzare, quelle ancora limitate alla piatta dimensione di un progetto incompiuto, uomini manovravano macchinari futuristici e rendevano tridimensionali i deliri degli ingegneri del subconscio, poliziotti schierati ai bordi delle strade e blocchi di metallo ad impedire l’insurrezione del terrorismo dei gruppi armati del cemento, armi plastiche che si scioglievano fra le mani degli attentatori, i proiettili sparati dal trentaduesimo  piano di un albergo abbandonato, scritte al neon ronzanti e appartenenti a un lessico di violenza e astinenza, qualcuno cambiava la posizione delle lettere e trascriveva le proprie ossessioni in messaggi subliminali, tremori epilettici nelle mani tese di spettatori insonni, camere illuminate fra le ultime difese del buio, lo scrittore si era seduto su un divano sfondato, aveva chiuso gli occhi e aveva lasciato che la città vagasse dentro di lui, fra periferie di memorie e recinti di illusioni.

giovedì 10 maggio 2018

Birmingham #4

Trascorrevo le mattine nella libreria della città, era un edificio futuristico, linee e circonferenze che si intersecavano sulle facciate dei tre blocchi che ne costituivano i diversi piani, cromatismi azzurri, ardesia e gialli ed echi cilindrici a suggerire storie perdute di antiche navi e vecchi marinai. Intorno alla struttura principale c’erano pavimenti con geometrie di mattonelle arancioni e nere, reticoli psichedelici che vedevo pulsare e muoversi, alcune volte, quando gli effetti di certe sostanze erano ancora in circolo. C’era una zona con divani e poltrone, al secondo piano e mi sedevo lì a leggere un libro o un giornale e a bere una tazza di caffè. Intorno a me erano seduti altri miserabili, li riconoscevo subito dal volto e dai vestiti, perché erano simili ai miei, se ne stavano in silenzio, senza avere nulla da fare, la libreria era un buon posto per passare il tempo ed era gratuita e accogliente. Ogni tanto mi mettevo a scrivere, seduto su uno sgabello, davanti a una delle grandi vetrate. Osservavo la città, i palazzi, il cielo grigio e bluastro e le parole che si susseguivano sul quaderno nero, la mia mano che si muoveva da sinistra verso destra, automaticamente, trasformando il flusso mentale in linguaggio, sembrava una cosa semplice e naturale, chi aveva inventato questo modo di ricostruire e manipolare la realtà attraverso segni e combinazioni di essi? C’era la costante possibilità di ricreare tutto quello che mi circondava attraverso il mio personale punto di vista o semplicemente destrutturarlo e dargli un nuovo aspetto che fosse il linguaggio a modellare, ma non c’era mai niente di studiato o imposto in questo spazio creativo, erano la pura intuizione e la libera immaginazione a dare nuove sembianze al mondo, io mi limitavo a un processo meccanico, quello di mettere le parole su un foglio in un certo ordine.
Una ragazza orientale si era seduta sullo sgabello accanto al mio, aveva tirato fuori il suo computer dalla borsa e si era messa a studiare. Aveva una gonna corta e aveva accavallato le gambe dalla mia parte, se giravo la testa potevo osservarle l’interno delle cosce. 
Distrazioni erotiche e scenari sessuali come copioni sul punto di essere iniziati. La ragazza mi ha lanciato uno sguardo quando si è accorta che le stavo fissando le gambe e me lo ha fatto venire duro con i suoi occhi, ha arricciato le labbra e si è tirata un po’ più su la gonna. Non portava le mutandine.
Camminavo lungo i canali e sotto i ponti, in un labirinto di odori e percezioni, suoni e colori, poi apparivano improvvisi nelle aperture urbane bizzarri palazzi, dove utopie matematiche avevano cercato di ergersi da sole, divorando il vuoto con la presunzione di possedere codici architettonici che nessuno sarebbe mai stato in grado di capire, era lo Stupore Visuale, l’ultima corrente anarchica che stava ridefinendo e distruggendo in continuazione le idee metropolitane di massa, l’individuo era stato indottrinato per secoli dai Signori dello Sguardo ed era venuto il momento di dare vita a progetti allucinatori capaci di cambiare attimo dopo attimo, nelle infinite ragnatele che il cervello tesseva per catturare una qualsiasi dimensione in cui muoversi.
Mi ero seduto su una panchina e avevo stappato una lattina di sidro, la strada era lucida e c’erano barche ormeggiate lungo una serie di piccoli moli, la mia ombra scattava delle fotografie, cercando di cogliere il mio riflesso, non sempre ci riusciva, era il suo modo di scambiare le parti e condurmi in una delle stanze segrete in cui poteva farmi compiere i suoi rituali. 
La ragazza orientale si era seduta su una poltrona di pelle nera, aveva degli stivali e mi aveva ordinato con lo sguardo di leccarglieli. Avevamo una connessione mentale e non dovevamo parlare. Ero nudo, mi sono inginocchiato e ho obbedito al suo comando. Si divertiva a vedermi con il cazzo duro davanti a lei e a colpirlo sulla punta con il suo frustino.
I parcheggi sotterranei dove vagavo nelle ore di pioggia, ascoltando i suggerimenti delle macchine parcheggiate, per poi risalire in superficie e camminare attraverso le zone industriali della città, spazi ormai abbandonati, i perimetri di terra arida e le discariche circondate da reti metalliche. Alcuni vagabondi spingevano carrelli virtuali in cui avevano nascosto gli ultimi resti delle loro esistenze terrene, perché oltrepassato un certo confine non c’era più nulla di vero nei giorni e nelle ore, mi salutavano con un cenno del capo e io facevo lo stesso, poi tiravo fuori la macchinetta fotografica e iniziavo a scattare seguendo le indicazioni della luce sulle superfici. 
Un uomo di colore era fermo davanti alla serranda abbassata di un’officina in disuso, ci siamo scambiati uno sguardo di intesa, i gesti veloci, mi sono allontanato con una bustina in tasca, mi sono fermato a guardare una finestra prima di entrare in un palazzo, l’apparizione fugace di un volto, il flash di un sorriso, una porta si è aperta, ho seguito un’ombra per delle scale, aveva ancora stivali neri e un culo fasciato da una gonna che si muoveva in ipnotiche oscillazioni, il rumore dei suoi tacchi batteva il tempo degli inganni e quello delle illusioni del  mio cuore.

venerdì 4 maggio 2018

Aberystwyth #2

Avevo incontrato Lynn sotto la torre dell’orologio e non ero certo se si fosse tratto di un appuntamento onirico o meno, c’era quella stessa densità del presente, sempre sul punto di fuggire e trasformarsi in qualcosa di diverso e indefinito. Avevamo camminato e parlato, poi ci siamo seduti nel sole, fuori da un pub, continuando a raccontarci cosa era accaduto nelle nostre vite negli ultimi mesi. Mi aveva abbracciato e il contatto del suo corpo era diverso da quando ci eravamo salutati in una grigia mattina, più di un anno prima. Sapevo che adesso era contenta di vedermi. Il sole sembrava non smetterla di brillare mentre scivolavo nel verde dei suoi occhi, immergendomi nelle pupille e ritornando in me stesso, seguendo i suoi ragionamenti lungo i leggeri movimenti delle iridi per poi afferrare un ricordo, un’impressione, l’eco di qualche pomeriggio passato insieme in tempi e luoghi diversi. 
C’erano ancora frammenti di luce sulle onde quando ce ne siamo andati, due corpi che camminavano vicini, in attesa di quelle misteriose spinte che, come flussi marini, li facessero unire o allontanarsi per sempre.

martedì 1 maggio 2018

Llanidloes #13

T era rimasta incinta di Ken e nessuno lo aveva ancora detto a Michael e Rebbecca. Qualcuno sarebbe uscito fuori di testa quando avrebbe saputo la notizia e Rebbecca era la favorita. C’era un nuovo ragazzo che si occupava di Bryn Rhyg o che perlomeno si aggirava in quel luogo come uno spirito tossico in perenne balia degli effetti delle droghe. Bea ci era andata a dormire insieme ad altre persone e la situazione sembrava non essere cambiata: sporcizia, disordine, sostanze ovunque, decine di lattine di birra vuote, la pipa da crack posata sul tavolo. Eppure intorno c’erano una pace e una tranquillità che continuavano a sussurrare la loro presenza, erano le persone a non ascoltarle e a perdersi nei loro mondi di problematiche illusioni, per poi renderli reali attraverso parole e comportamenti. 
L’Old Mill stava andando a puttane, visto che T era più impegnata a farselo mettere dentro che a stare dietro al locale, c’erano state un paio di serate ben riuscite, con la musica, le pinte e le pasticche ma durante la settimana era una zona morta, le candele accese che osservavano il loro riflesso negli specchi vuoti di sguardi assenti e George che arrivava da solo, ordinando una lager e parlando con qualche fantasma del proprio passato.
Robyn aveva chiesto a Bea di andare in un locale per gay, a Newtown, sarebbe stata una bella occasione per vestirsi in abiti femminili e dare forme e colori alle proprie ossessioni, Bea aveva accettato divertita dall’idea di qualcosa di nuovo, anche se non proprio sicura di aver fatto la scelta giusta. 
È venuta a dormire da me, una notte e abbiamo scopato.
Poi siamo rimasti abbracciati sotto le lenzuola, respirando e sentendoci felici.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...