sabato 24 agosto 2013

homesick #4

Alcune sere tornavo a casa passando per Termini. C’era sempre un’umanità che camminava verso la miseria intorno alla stazione. Barboni che trascinavano i loro carrelli carichi di buste, coperte e misteriose oscenità,  gli alcolizzati che sprofondavano nei loro sonni etilici, buttati per terra, incoscienti, i vestiti sporchi, le macchie di piscio incrostato sui pantaloni. C’era anche una moltitudine di stranieri che girava per quegli spazi e molti di loro si muovevano in bilico sui binari della disperazione. Queste persone avevano capito che il  loro tempo a Roma sarebbe stato riempito solo da povertà e miseria, che l’illusione di una società migliore era l’incubo di ritrovarsi in una città nella quale non erano desiderate, dove nessuno voleva vedere la loro facce, queste persone erano destinate ad una inesorabile discesa verso l’umiliazione e tante di loro erano sdraiate su cartoni distesi sull’asfalto, con le coperte tirate fino alla testa, che cercavano di addormentarsi, altre parlavano o fumavano una sigaretta o davano una sorsata da una bottiglia di vino scadente, camminavo e scivolavo tra queste ombre, la notte era viola e il giorno dopo avrebbe piovuto, come sarebbe stato il loro risveglio? Il tanfo dell’urina poco distante, la macchina umana era così sadica nel suo funzionamento, era un continuo riempirsi e svuotarsi, senza sosta, fino alla morte. Poi la macchina si spegneva, i tessuti si deterioravano, un odore nauseabondo. Cenere alla cenere, polvere alla polvere.

Gli occhi vuoti delle finestre degli alberghi che si affacciavano su Via Marsala, guardavano impassibili le fila di miserabili sistemati gli uni vicini agli altri. Le stanze ridevano di loro e lo stesso facevano i letti con le lenzuola pulite, intatti e perfetti nella loro solitudine mentre la carne dei derelitti baciava il cemento in un atto di odio reciproco. I bagni  in camera e qualcuno costretto a cacare dietro ad un cassonetto senza neanche un pezzo di giornale per pulirsi il culo e io camminavo e scivolavo fra tutto questo, guardandolo, poi distoglievo lo sguardo e cercavo le stelle nel cielo ma il loro volto era nascosto da un manto viola e guardavo di nuovo la strada e poi un piccolo accampamento di miserabili contro uno dei muri della stazione, rifugi costruiti con teli di plastica e buste della spazzatura e qualcuno era fuori da una di queste tende improvvisate e stappava una birra e ho abbassato gli occhi e ho tirato dritto e la strada adesso non mi sembrava più così romantica, ma triste e sporca, indifferente e cattiva, senza prospettive, un ricovero per speranze distrutte, sono andato verso Via degli Equi e si sono accese luci e insegne e il vociare impazzito della gente che avevo intorno, pronta a divertirsi ad ogni costo, a sbronzarsi, a comprare un paio di grammi di una sostanza qualunque e ho continuato a muovere i piedi e c’era qualcosa in quel disperato bisogno di essere allegri che mi disturbava, non sapevo che farmene di quei sorrisi famelici, ho osservato di nuovo il cielo, mi piacevano gli aloni arancioni dei lampioni contro le nuvole violacee, poi ho chinato la testa, per terra c’era la siringa di un tossico, l’ago era ancora sporca di sangue.

C’era un silenzio così profondo nel mio cuore, quando sono arrivato sotto casa, che, prima di salire, mi sono seduto su un muretto e ho chiuso gli occhi. 

Poi le prime gocce di pioggia  hanno iniziato a cadere, a scivolarmi sulle palpebre e a mischiarsi  alle lacrime che mi rigavano il volto.


giovedì 22 agosto 2013

senza titolo


non c’è più traccia
delle orme che seguivo
si sono fermate davanti
ad un muro –
parlare con le pietre
era solo un altro modo di amarsi
cullando il dolore
come un figlio lontano.

rimango ancora
ad ascoltare le mie parole

con le pietre e il silenzio
e il vuoto del mondo
che continua a risplendere
di tutto il suo nulla.

mercoledì 21 agosto 2013

homesick #3

Alcuni pensieri erano diventati più concreti e il frigo di casa era quasi sempre vuoto. Cercavo di non bere alcolici, avevo un’ottima erba e mi limitavo a fumare un paio di canne disteso sul letto prima di addormentarmi. Mi immergevo nell’oceano interiore, erano discese calme, quiete, senza paure, ripercorrevo momenti passati della mia vita, li osservavo nella luce crepuscolare del tramonto, erano fatti lontani, accaduti quando la notte doveva ancora arrivare, poi si sarebbero oscurati, ci sarebbe stata una frattura, una scissione, quei fatti si sarebbero ammantati di ombre e io non li avrei più riconosciuti. E con la notte giungevano le stelle e le speranze, che con il tempo diventavano sempre minori, non perché non avessi più sogni o illusioni, solo che avevano smesso di essere importanti come prima, la vita mi sembrava più semplice, adesso, bastava respirare e concentrarsi sull’attimo presente e smetterla di proiettare la propria esistenza sullo schermo del futuro. 

Avevo trovato una strada.


lunedì 19 agosto 2013

homesick #2

Ci siamo seduti su un prato, io e Maria, sopra un pareo verde con disegni polinesiani. Ho stappato una birra e ho dato un breve sorso, avevo preso una pillola di zirtec qualche ora prima e una sonnolenza diffusa si era già impadronita del mio corpo. Lo zirtec e l’alcol non andavano d’accordo e quindi mi ero promesso di bere poco. Maria ha dato una sorsata più lunga, quando le ho passato la lattina, poi ci siamo guardati negli occhi, i suoi erano di un meraviglioso marrone, sembravano splendere, in alcuni momenti. Prima di sederci ci eravamo fatti un giro fuori dal Forte Prenestino, c’erano parecchie bancarelle con vestiti e roba da mangiare, da un freak con lunghi capelli rasta e barba da profeta ho comprato un paio di biscotti magici, preparati con burro, marijuana e hashish. Ne ho mangiato metà del primo mentre ero seduto sul pareo, l’altra metà l’ho  data a Maria. Aveva un buon sapore, speravo che l’effetto fosse altrettanto piacevole.

Sono arrivati alcuni amici e insieme siamo entrati nel Forte. Nel tunnel d’ingresso c’era un odore pungente di erba, persone sedute su panche, luci bluastre, ci siamo fermati a fumare insieme ad alcuni ragazzi, poi abbiamo continuato a camminare. L’aria era più fresca, usciti fuori dal tunnel, le nuvole nel cielo erano grigio come quelle del fumo delle canne, poi l’odore della carne alla brace e la sensazione della pioggia in arrivo, l’effetto del biscotto iniziava a farsi sentire ed era gradevole, lento e rassicurante. 

Su uno dei palchi montati in una delle varie zone del Forte un chitarrista suonava musica blues, poi divagava nel rock, poi sprigionava potenza elettrica da riff secchi e fulminanti, con il piede batteva il tempo su una grancassa, ha iniziato a piovere, poco, la gente ballava, lo spazio era saturo di energia umana e vibrazioni epidermiche.

Siamo saliti verso un boschetto, c’erano parecchie persone ammassate tra loro, alcune sdraiate per terra su larghi teli colorati, la musica reggae e i colpi del basso nello stomaco, nel cuore, dipendeva da quanto mi avvicinassi o allontanassi dalle casse, non pioveva più e frammenti di sole bucavano, come aghi tossici, le nuvole nel cielo, c’era una casa costruita su un albero, un sentiero che proseguiva oltre la gente che ballava, ci siamo fatti largo e lo abbiamo raggiunto, ho mangiato un altro pezzo di biscotto e lo stesso ha fatto Maria, ci siamo presi per mano e abbiamo continuato la nostra passeggiata.

C’erano case ricavate sui fianchi di collinette e nella pietra, potevamo solo vedere la misera porta d’entrata con una rudimentale canna fumaria che usciva fuori da un buco, c’erano piccoli orti e vasi con cactus sudamericani, ho pensato subito alla mescalina, poi bambini che giocavano, sereni, divertendosi con nulla, il sentiero continuava sotto gli alberi e c’erano altre persone e una generale sensazione di tranquillità, abbiamo fumato sotto un faggio seduti su una panchina di legno, davanti a una zona scoscesa che arrivava allo spazio di sotto, dove c’era il palco e una moltitudine di braccia in festa che ondeggiavano nell’aria, il sole adesso splendeva, le nuvole si erano allontanate, dei bambini scivolavano sulla terra lungo un pendio, ridendo come matti, sporchi e selvaggi, urlando tra loro, giovani spiriti dionisiaci nel loro splendore.

Siamo scesi nell’area del concerto e abbiamo comprato altra birra, c’era un gruppo ska ma le parole delle canzoni non mi convincevano, sembravano una farsa, la musica non era male e siamo rimasti ad ascoltarla.

Ha iniziato a piovere di nuovo, il cielo grigio e ci siamo spostati in una delle gallerie del forte, luci rossastre e fluorescenti colavano dai neon, graffiti e disegni acidi sulle pareti, sculture plastiche che venivano fuori direttamente dall’apocalisse, io e Maria fermi a cercare gli altri, mi si è avvicinato un piccolo bengalese, sembrava un bambino, ci siamo guardati, lui ha detto, erba? Io ho sorriso, che erba? Lui mi ha mostrato qualche cima di marijuana nella sua piccola mano, ne ho presa una ben pressata e l’ho portata al naso, aveva un buon odore, gli ho dato venti euro e lui me ha passate un altro paio.

Siamo usciti fuori dal Forte che ancora pioveva, ho comprato un ombrello da un altro bengalese e poi io e Maria ci siamo diretti verso la macchina di un nostro amico.

Continuava a piovere.

E la musica era ormai solo un placido eco nelle mie orecchie.



giovedì 8 agosto 2013

senza titolo


mi sono alzato piangendo, non solo per la stanchezza e il respiro rotto, non solo per le gambe dure come il legno e il cuore che batteva forte, non solo per i ricordi dei miei amori finiti, delle parole che erano scomparse, del tempo che non sarebbe tornato, piangevo soprattutto per loro, tutte le persone in miseria che vedevo ogni giorno, non mi ricordavo una simile povertà, un tale dolore, le immagini dei ragazzi africani stesi come bestie a dormire a termini, le immagini di una signora che dormiva su una panchina vicino al verano, con il suo cartone di tavernello, era pazza e sola e quando la vedevo il cuore si riempiva di una tristezza a cui difficilmente potevo dare un nome adeguato, le immagini delle persone che vagavano per le strade, sotto il caldo, cercando di vendere qualche stronzata per qualche spicciolo, le orde di disperati che si tuffavano sulla tua macchina per pulirti il vetro e più cercavo di farmi forza, di trovare un modo per adeguarmi a questa situazione più capivo quanto fosse difficile riuscirci, non funzionava l’indifferenza, non funzionava la bontà, non funzionava la cattiveria, loro erano lì, essere umani ridotti in miseria, erano ovunque, perché ci odiavamo tanto? perché non eravamo capaci di aiutarci? non riuscivo più a sopportare tutto questo e allora le lacrime sono iniziate a scendere ed era un vortice di emozioni incontrollate perché avevo la certezza che qualsiasi cosa avessi fatto non sarebbe mai stata sufficiente e shadat sulla spiaggia di santa severa mentre vendeva le sue birre mi ha raccontato che dormiva per strada, i viaggi fino ad acilia per prendere le birre, i piedi che gli sanguinavano, i vestiti lavati al parco e in tutta questa sofferenza c’era una dolcezza nel suo sguardo e cosa avrei fatto io al suo posto? era la domanda che avevo fissa in testa, che cosa avrei fatto io al posto di tutti loro e mi sembrava una presa per il culo così grande insegnargli l’italiano quando i problemi e la sofferenza che avevano erano così tangibili e reali, ma almeno cercavo di amarli, quello potevo farlo, di amarli veramente, con tutto me stesso fino al punto di non avere più le forze, l’energia, nemmeno di sentirmi vivo, di essere consapevole, il mio corpo continuava ad andare finché non è crollato, la mia mente si è rifugiata nei luoghi più belli che possiedo, quelli della mia anima, gli ho allungato venti euro a shadat e lui mi ha dato un paio di heneiken, era così lucente il mare quel giorno, le onde, i riflessi, il mio corpo dimagrito e stanco, era così bello avere una donna vicino che mi amava, che non sopportavo pensare al dolore della vita eppure era sempre lì presente, a volte dentro di te, a volte nelle persone che avevi intorno e allora mi sono tuffato sotto l’acqua e avrei desiderato scomparire, essere solo una scintilla di luce che muore sulla schiuma bianca delle onde.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...