Avevamo passato tutta la settimana a sbronzarci. La notte
era veramente un momento magico in cui qualsiasi cosa poteva accadere. Ricordo
che la bottiglia di rosso stretta nella mia mano era un appiglio sicuro. La mia
voce si modificava, si faceva più profonda, roca (forse a causa di tutte le
sigarette che fumavo), i miei discorsi erano sempre interessanti e io diventavo
il centro dell’attenzione. Sulla spiaggia la musica arrivava da uno stereo
oppure c’erano tre o quattro ragazzi ubriachi che suonavano (chitarre e bonghi)
e altrettanti che cantavano con voci decisamente stonate.
Mi limitavo ad immergermi nel flusso delle cose
senza preoccupazioni. Una sera non avevo retto (il mirto è una brutta bestia) e
quando le stelle avevano iniziato a farsi più vorticose mi ero spostato
leggermente dal sacco a pelo sul quale ero disteso e avevo vomitato. Ma la
ciucca sembrava non passare, mi ero rimesso in piedi e non so come ero arrivato
nella mia tenda dove molto verosimilmente ero svenuto.
La mattina era solo luce. E una leggerezza in testa
che mi proiettava verso fantasie impossibili. Rimanevamo così, io e gli altri,
allo stato bruto, distesi fuori dalla tenda. Chi su un’amaca, chi su uno
stuoino direttamente buttato sulla nuda terra, chi si alzava per andare a
cacare e chi non si vedeva proprio e ci chiedevamo (ma senza nessuna
importanza) che fine avesse fatto.
La luce penetrava le mie palpebre, la mia mente, il
mio pensiero razionale. Dopo due ore di questa estasi tornavo lentamente dentro
me stesso, nelle mie convinzioni, nella mia normale scontrosità.
Una doccia era il modo migliore per iniziare la
giornata, poi un pò di sole sulla spiaggia, un panino, una corona nel
dopopranzo. Se mi diceva bene (cioè quasi sempre) mi addormentavo all’ombra di
qualche albero fino a quando (verso le sei o le sette) il sole non iniziava di
nuovo a calare e io mi dovevo preparare per vivere un’altra notte.
In quel periodo non pensavo al sesso o forse non
c’erano ragazze che mi piacessero o molto più semplicemte non avevo voglia di
scopare e se il cazzo mi tirava me ne andavo sotto la doccia a farmi una sega.
Poi mi lavavo. I capelli, il corpo, tra le gambe.
Rimanevo tanto tempo sotto lo scroscio dell’acqua, fantasticando sui doni che
la notte mi avrebbe portato.
Le prime birre iniziavano a girare quando il cielo
era ormai violaceo e l’oscurità si vedeva avanzare. I colori cambiavano velocemente
e la birra scendeva nello stomaco che ruggiva di disapprovazione. La cena
consisteva in un piatto di pasta con un sugo improvvisato o in qualche fettina
fatta alla brace o in complesse ricette a base di tutto quello che trovavamo.
Non mi interessava mangiare bene, quello che volevo era l’estasi alcolica. Era
lo spirito di Dioniso. Era il dio che veniva a farmi visita.
Indossata la mia maschera potevo fare tutto quello
che mi passasse per la testa.
Potevo parlare, scherzare, ridere senza che me ne
importasse nulla del giudizio altrui. Esattamente come avrebbe sempre dovuto
essere.
Finita la cena erano le bottiglie di rosso a venire
aperte, qualcuno girava delle sigarette di tabacco (golden virginia) perchè
fumo non ne avevamo, un paio di sere però rimediammo un pò d’erba.
Non so come la busta con l’erba finì tra le mie
mani, la nascosi e sulla spiaggia, quando fummo tutti in circolo, iniziai a
rollare canne a raffica.
Fumavo e rollavo, facendole girare alla mia destra e
alla mia sinistra, intanto se il vino finiva qualcuno si preoccupava (molto
gentilmente) di aprire un’altra bottiglia.
L’ultima notte ero triste e malinconico, non tanto
per la partenza quanto per il fatto che il mio stomaco si era rifiutato di
accettare altro alcool. Avevo provato con una birretta, ma un brontolio
profondo e acido mi aveva persuaso dal continuare. Così, lucido, sulla
spiaggia, con tutti intorno fui colto da uno dei miei momenti di spaesamento e
profonda tristezza. Tutto mi appariva squallido e senza senso, la gente che
cantava ubriaca, quelli che ci provavano con qualcuna delle ragazze (mai
ritornare da una vacanza senza aver scopato), quelli che volevano a tutti i
costi divertirsi e ridere. Io me ne stavo steso da una parte a guardare le
stelle, sempre più scocciato dalle persone che avevo intorno, dai loro discorsi
e dalle loro risate. Poi qualcuno iniziò a salutare qualcunaltro (il giorno
dopo saremmo partiti), qualcuno si mise a piangere e io mi alzai in piedi e
dissi un qualcosa a proposito del fatto che dovevo andare al cesso. Presi il
mio sacco a pelo e me ne tornai in tenda, da solo.
Accesi lo stereo e misi su the dark side of the moon
dei pink floyd. Cercai di non pensare e di dormire ma fu tutto inutile, quando
arrivò us and them finalmente piansi. Terminate le lacrime scomparsero anche la
mia tristezza e il mio dispiacere.
Misi l’album da capo e mi addormantai.
La mattina dopo mi svegliai con marco accanto
(dormivamo nella stessa tenda), lo salutai, mi chiese che fine avessi fatto la
notte prima, farfugliai qualche stronzata, non mi chiese altro, dicemmo due
cazzate per farci una ghignata e iniziammo a preparare la nostra roba.
Poi, verso le cinque, qualcuno ci portò alla
banchina dove la nostra nave sarebbe partita tra non molto. Salimmo e ci
sedemmo ad un tavolino. marco mi chiese se volessi una birra, sentii il mio
stomaco cosa avesse da dire, meglio di no, risposi.
Lui se ne prese una e io da bravo bambino mi
succhiai un gelato.
La nave partì e noi salutammo dal ponte qualcuno che
era rimasto a terra, poi ci facemmo un giro per le sale e cazzarammo un po’,
incontrammo alcuni ragazzi che ci offrirono da fumare e ridemmo e scherzammo e
poi arrivò di nuovo la notte e noi ci addormentammo su una panca di legno
(ancora un pò stravolti) e ci lasciammo trasportare dal mare e proteggere dalle
stelle.
La mattina seguente vedemmo l’alba e un nuovo mondo
e tutto quello che ancora avremmo dovuto vivere.
Mi andai a lavare i denti e a pisciare.
Raccattamo la nostra roba e scendemmo dalla nave,
mio padre era venuto a prenderci, lo salutammo e salimmo sulla sua macchina.
Il viaggio di ritorno fu comodo e confortevole,
parlammo un pò con mio padre e poi io mi addormentai ascoltando la musica che
usciva dallo stereo della macchina (miles davis, credo).
Quando riaprii gli occhi eravamo sotto il palazzo
dove abitavo, mio padre stava parlando con marco, scendemmo e scaricammo la
roba, poi salutai marco e insieme a mio padre salii su casa.
Ecco di nuovo la mia stanza, le mie cose, i libri, i
cd, i miei sogni, le mie illusioni, le aspettative, l’attesa della gloria,
l’amore, il sesso, le dolci gambe da toccare, i piedi da leccare, le labbra
della fica da succhiare e riempire di saliva. La mia stanza e tutto quello di
cui avrei avuto così maledettamente bisogno.
Sussurai sono tornato e mi stesi sul letto chiudendo
gli occhi.