lunedì 31 maggio 2021

Orgiva #43

 Miguel ascoltava una canzone di Patty Pravo, seduto su uno sgabello, all’angolo del bancone del chico bar, fumava una sigaretta mentre sbucciava un’arancia e non c’erano parrocchiani ora a chiedergli da bere e lui si poteva riposare un attimo e starsene per i cazzi suoi e c’era odore di legna e c’erano bottiglie vuote e sedie e tavoli vuoti ed era una giornata ventosa e la luce sembrava risaltare lungo i profili delle cose e continuavo a parlare con Sara, a dirle che l’amavo, a desiderarla, a sentirla in ogni momento dentro di me e la sua bellezza mi colpiva ovunque e mi ritrovavo indifeso, nei miei sentimenti e nella voglia del suo corpo, volevo abbandonarmi ad esso, perdermi in esso, avvolgermi con il suo odore e smarrirmi una volta per tutte.

La mattina la andavo a svegliare, mi inginocchiavo ai bordi del letto, le accarezzavo i capelli, sussurrandole che era ora di alzarsi e questa mi sembrava una maniera migliore e più dolce di accogliere con lei il nuovo giorno piuttosto di entrare nel suo letto con il cazzo duro e la voglia di scoparla - Volevo adorarla, volevo amarla in una maniera totale, senza compromessi e non ci riuscivo e non sapevo quello che sarebbe successo e non volevo saperlo, non volevo sapere più nulla, di me, del mio passato, di quello che ero stato - C’era la possibilità concreta di dissolvermi in una donna, nel suo mondo, inconciliabile con il mio, così impetuoso, di venire rapito dai suoi misteri e questa volta non avrei posto resistenza a quello che mi si muoveva dentro, le fitte di dolore ed eccitazione a pensarla con altri uomini, a non poterla avere, a rimanere senza orgasmi in attesa che lei mi dicesse qualcosa, quanto sarei stato in grado di soffrire per lei? E di trovare in questa sofferenza una forma d’amore di splendente intimità? Era una resa incondizionata, le avrei baciato i piedi come fosse una divinità irraggiungibile e al di là di ogni fantasia avrei solo voluto vederla felice, accanto a me e nella distanza che un giorno ci separerà.

mercoledì 26 maggio 2021

Orgiva #42

 Parlavo spesso con mia madre al telefono e forse per la prima volta nelle nostre vite avevamo trovato uno spazio in cui raccontarci tutto, senza giudizi, apertamente - Poi tornavo in questa casa e dentro al mio cuore e c’era Sara ad aspettarmi e la vedevo come se fosse la prima volta e la sentivo nei miei respiri e c’erano prismi di luce nelle mie lacrime e una dolcezza infinita negli abbracci e nei baci rubati e nelle carezze e nei risvegli la mattina e lei mi parlava e io la ascoltavo e c’erano di nuovo davanti a me tutte le ragazze e le donne che avevo amato, nei miei ricordi, nei battiti racchiusi nel petto e una notte lei stava dormendo con me e mi ha stretto così forte che ho sentito il suo cuore risuonare nel mio e non potrò mai, mai, mai abbandonare il dolore che mi porto dentro, la sua bellezza, la sua malinconia dorata, la sua voce, i suoi colori così tenui e delicati, gli echi vibranti di ogni emozione trattenuta, di ogni orgasmo che mi sono negato perché non fossero i miei coglioni a portarmi da te, ma ciò che i sorrisi travestono di nude verità e poi le labbra e gli sguardi e il silenzio della mia solitudine, i miei luoghi oscuri, le mie sconfitte, è stato un giorno meraviglioso per amarti e proprio ora che ti ho perduta tu sei presente in ogni istante che dovrò vivere senza di te.

lunedì 24 maggio 2021

Orgiva #41

 Ero stato al telefono con Marco per quasi due ore ed era più di un anno che non ci  sentivamo e mi ha raccontato del lockdown a Roma e dei suoi figli, delle strade e dei musei vuoti, del lavoro scomparso, del nostro alcolismo e della nostra giovinezza e c’era una luce quieta nella stanza in cui mi trovavo e poi abbiamo finito di parlare e fuori dalla finestra, nella piazza, c’era Sara seduta a un tavolo accanto a un altro uomo e cercavo di immaginarli mentre scopavano, cercavo di rendere reale al mio cuore e al mio cazzo quella intimità che avevo condiviso con lei e che ora non mi apparteneva più. Cercavo nel fondo della mia anima un antico dolore, una tortuosa sofferenza e non l’ho trovata e non mi è venuto da piangere e allora sono sceso in piazza anche io, un’entrata in scena inaspettata, un ritorno improvviso al teatro della vita dal quale mi ero allontanato per qualche tempo e mi sono avvicinato al tavolino dove l’altro uomo stava ora parlando con una donna che pensavo di conoscere e che invece era solo una perfetta sconosciuta, l’altro uomo mi ha salutato con una stretta di mano e mi ha sorriso e anche io gli ho sorriso e mi ha invitato a sedermi e mi sono seduto e abbiamo bevuto una birra e abbiamo chiacchierato e non ho provato nessuna gelosia, nessuna paura e la luce del giorno era meravigliosa e ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovato in un luogo sospeso e familiare, senza sapere come ci fossi arrivato ed erano i giorni e le ore di una vita che non avrei mai creduto possibile ed era qui, intorno e dentro di me, in desideri oscuri e frementi come le tue mani, di notte, che hanno iniziato ad accarezzarmi, a sfiorarmi i capezzoli, a tirarli, mentre respiravo il tuo odore e sentivo la tua pelle così vicina e il cazzo mi è diventato duro mentre sapevo bene che non potevo baciarti, che non avrei potuto scoparti e questa frustrazione, questa consapevolezza arrivava fino alle profondità proibite del mio corpo, facendolo tremare, erano settimane che non mi toccavi, che non mi desideravi e così ho cominciato a gemere e mi sarei perduto completamente in te, in tutto l’amore che avrei potuto darti, in tutta la bellezza che ho rifiutato di possedere, se solo mi avessi sussurrato di volermi, perché è nella libertà di una totale sottomissione al tuo esistere quello che vorrei donarti, perché i tuoi sorrisi risplendano al mattino e i tuoi occhi brillino di una gioia che non sia solo il riflesso della mia.

domenica 23 maggio 2021

Senza titolo

 Cominciano ad arrivare come lente onde, le emozioni, i ricordi, il dolore, arrivano e si mischiano fra di loro e lambiscono questo posto oscuro e lucente che è il mio cuore e c’è ancora ognuno di voi in questo luogo, i vostri occhi, i sorrisi, gli sguardi, la vostra pelle, tutte le domande a cui non ho finito per rispondere, tutte le parole che non ci siamo più detti, i gesti di dolcezza improvvisa, gli schiaffi, le pause, i silenzi, gli addii che non ho mai avuto il coraggio di pronunciare.


C’è neve sulla cima delle montagne e il nuovo giorno apre ferite di luce nel cielo grigio ed echi di sofferenza nella mia anima, per i giorni andati e per le sconfitte, per le fughe e gli imprevedibili momenti di isolamento, per tutti gli attimi di cupa disperazione con cui la vita ha educato il mio caos, le calde onde continuano ad arrivare e io le ho chiamate amore anche se non erano altro che il ripetersi di una resa dopo l’altra, una disillusione a cui nessuno dovrebbe credere, è stata solo ogni lontananza l’unica capace a mostrarmi la differenza fra la realtà e il suo illusorio riflesso - Sulla spiaggia dorata dei miei respiri ancora mi siedo senza parlare, a guardare le onde arrivare, non possono più raggiungermi ora o toccarmi, in questa distanza c’è ogni cosa che ho dovuto abbandonare per poi impararla di nuovo, questo oceano di momenti scomparsi, risplende quieto di una bellezza impossibile da afferrare mentre la sabbia del tempo scivola senza fare rumore fra le dita di una mano invisibile, perché e solo nel nostro abbandono che troveremo la via per giungere dove mai abbiamo creduto di poter arrivare.


giovedì 20 maggio 2021

Orgiva #40

 Avevo incontrato Lolo lungo la strada che risaliva dal puente a Orgiva, stavo camminando lentamente, avevo bevuto un paio di birre e lui era in bicicletta e stava andando al pueblo per comprare alcolici, era l’ultimo giorno dell’anno e ci sarebbero stati festeggiamenti anche se non sapevo bene dove.


Poi eravamo al chico bar, Io e Lolo e c’era Paul accanto al bancone e ho comprato tre birre e ci siamo seduti a un tavolo di plastica, in penombra, abbiamo bevuto e parlato, senza nessun accenno al documentario, muovendoci nei luoghi dell’immaginazione, i miei preferiti.


Ero in macchina con Paul e Nick e stavamo andando verso Tablones e avevo il cane di Nick in braccio e non aveva un buon odore - La costellazione dei caravan, delle roulotte e delle tende era cambiata in Cigarrones e c’erano nuove persone, c’era anche un party da Vanessa e Wibbs quella notte ma non ero stato invitato e non mi interessava andarci (quante stronzate ti raccontano le donne per agganciarti), Tim stava suonando nel magic bus e sono salito anche io dentro e Paul si è messo alla batteria e qualcun altro al basso e la jam è iniziata e ho chiuso gli occhi e ho stappato una lattina di birra presa chissà dove, poi è arrivato un secondo Paul, con le sue sostanze bianche in polvere e ne ha distribuite un pò ai presenti, io me ne sono stato zitto, sorridendo in un angolo, il gioco lo conoscevo bene, al momento mi bastava la mia birra.


Abbiamo fatto un falò, dopo, con Tim che portava rami di olivo troppo freschi e io che osservavo le fiamme, poi il vento si è alzato all’improvviso e qualcuno ha detto che poteva essere pericoloso, che era meglio non lasciare il fuoco incustodito e mentre ascoltavo questa voce e mi chiedevo dove fossero Alfie e Maeve, sono arrivate Hannah e Debbie, mi hanno salutato e poi se ne sono andate al party, non le ho seguite, sono rimasto accanto al falò e anche Paul era lì, abbiamo continuato a bere, poi alcuni fuochi artificiali sono esplosi nel cielo e questo doveva significare che il vecchio anno era finito e il nuovo era iniziato, non che ne fossi sicuro e neanche mi interessava più di tanto, poi ho salutato Paul e mi sono incamminato verso Orgiva, quasi quattro chilometri da fare a piedi, un percorso che avevo compiuto parecchie volte e che adesso mi sembrava possedere il senso di un pellegrinaggio, di un viaggio al termine della notte, il fondo dell’anima l’avevo già raggiunto nei miei teatri della crudeltà e dell’osceno, il buio era sempre pronto ad accogliermi e io a rifugiarmi in esso.


Erano passati un paio di giorni e avevo di nuovo incontrato Paul al chico bar, aveva dell’hashish per me, ci siamo seduti in silenzio a un tavolino, un alhambra special davanti, guardando le foglie degli alberi muoversi nella luce e nell’aria, era pomeriggio e tutto sembrava rallentato, ogni tanto Paul mi raccontava una storia ed era tranquillo e non ubriaco e la sua presenza accanto era piacevole, come quella di un amico, come tutte le buone emozioni che mi ero lasciato alle spalle, perché fosse un dono la scoperta dell’amore e non un’abitudine dalla quale fuggire via,  sono stato giovane in giorni perduti e vecchio in notti che non vedrò mai più e qui e ora c’è un mondo che mi avvolge, dal quale sono attratto e dal quale mi nascondo, questa continua deriva, questo ridere che non saranno le tue lacrime a travestire di inganni troppo meravigliosi da poter svelare.

mercoledì 19 maggio 2021

Orgiva #39

 Gli accordi si prendevano intorno al tavolino di un bar, bevendo birra, soberano e sol y sombra, fumando sigarette di hashish e marijuana con le mani in disparte e la gente intorno che parlava una moltitudine di lingue diverse, inglese, francese, arabo, olandese e non che me ne fregasse un granché di quello che dicessero, erano solo suoni, a volte con un significato nascosto e altre con nessuno e così si decidevano i carichi, le consegne, i tempi, gli spostamenti, le strade da percorrere e ricordare - Poi la luce del tardo pomeriggio e ancora ferite nel cuore, la vedevo entrare dalle vetrate polverose dell’hotel Mirasol, mentre ero seduto su un logoro divano di pelle nera e c’erano piccole statue di donne seminude nella hall principale, quasi sempre vuota, con i sorrisi sbiaditi di fantasmi di viaggiatori ormai scomparsi impressi sulla tappezzeria fatiscente e una scatola nella mia stanza piena di oggetti proibiti e la valigetta con le buste di eroina che Chaz mi aveva portato - Indossavamo vestiti firmati, leggeri, di cotone, non sapevo che stagione fosse e neanche il nome da dare alle cose che un tempo avevo amato e non so perché io e lui finivamo sempre a parlare di vecchi film in bianco e nero e di registi defunti e poi c’era il rumore del vento, alcune notti e la valigetta sotto il letto, nell’attesa che il prossimo contatto arrivasse e solo allora sarei stato libero di lasciare la camera e andarmene e scomparire per poi riapparire in un’altra città, in un altro albergo, una nuova consegna, le solite bastarde abitudini di sempre ad accompagnarmi, mentre mi stringo un laccio di cuoio intorno ai coglioni e spengo la luce, per sottomettermi ai demoni del buio, ai loro corpi femminili e invitanti, ascoltando parole che solo il silenzio di una ossessione può ripetere nelle languide pieghe delle mie debolezze.

martedì 18 maggio 2021

Orgiva #38

 Eppure non avremmo dovuto accettare che la stabilità di questa vita fosse dovuta al denaro ma era quello che ci avevano insegnato e non era facile dimenticarselo e cercare altre strade che ci portassero lontano da questa ingiustizia, davamo importanza a una moltitudine di cose irreali, religione, società, governi, famiglie, progetti - Clarabelle mi aveva detto una volta che la nostra razza era la unica a costruire allucinazioni collettive e a crederci, era vero, erano tutte intorno a noi, prigioni senza sbarre visibili, desideri irrealizzabili - Danze sconosciute avrebbero dovuto aspettarci al termine della notte e con esse l’arrivo di un nuovo giorno di cui non avremmo dovuto sapere assolutamente un cazzo.


Avevo passato un giorno d’estate con Elena e Annie Rose e i loro figli ed era stato bello stare con entrambe e guardarle e sentirle parlare, erano attraenti ed era piacevole la sensazione di essere in contatto con loro, di essere parte di un leggero gioco di seduzione reciproca e di sapere allo stesso tempo che nulla sarebbe mai successo anche se negli occhi di ognuno di noi risplendeva il riflesso di una possibilità.


Frammenti di un soggetto  non scritto, nessun piano per il resto dei miei giorni in questo luogo (e chissà su questa Terra), nessun legame, niente che possa costringermi a guardarmi indietro per la stupida paura di andare avanti.

martedì 11 maggio 2021

Orgiva #37

 Era stata la festa di Frasco, che mi ero perso per andare a quella di Mariam, dove mi ero sbronzato, non tanto, giusto per la sensazione dell’ebbrezza e avevo parlato con Sebastian, scherzato con Lolo, suonato i tamburi, preso cura del fuoco e bevuto parecchi bicchieri di sangria. Poi si era fatto buio e un senso di confusione, come al solito, quando ero in mezzo a troppa gente, si era insinuato dentro di me. Ho parlato con una donna, poi con un’altra, poi con la scusa di andare a pisciare e con i favori dell’oscurità ho battuto la ritirata in silenzio. Ho guidato da Tablones a Orgiva senza problemi e una volta a casa mi sono sdraiato sul divano, c’erano ombre di altre persone sulle pareti e non mi interessavano, ho messo su Might Joe Moon dei Grant Lee Buffalo e sono arrivati i ricordi e le emozioni dell’adolescenza e dopo poco mi sono addormentato.


Mi piaceva scrivere nel Viejo Molino, bevendo una birra o un carajillo con anis e guardando Pepe mentre lavorava o si stappava una Cruzcampo Special e si fumava un’enorme sigaretta rollata a mano.


Mi ero masturbato su un paio di scarpe da donna che avevo trovato durante le mie peregrinazioni diurne, me l’avevano fatto venire veramente duro, avevo ancora un tanga nascosto da qualche parte per la prossima sega e anche questo mi sembrava un altro piccolo e delizioso regalo che la vita mi aveva fatto.


sabato 8 maggio 2021

Orgiva #36

 Il vento era tornato e con esso era arrivato l’inverno e c’era neve sulle cime delle montagne, la mattina, quando la bruma nel cielo si dissolveva e le notti gelide si trasformavano nel roseo vagito dell’alba ed ero contento di avere una stanza e un termosifone e di non dormire più in una tenda-yurt-casa-di-legno a gelarmi il culo e le palle e poi i sogni e le illusioni di scopate inesistenti, le esperienze erotiche della gioventù tornavano a ghignare e io le lasciavo fare, se ne sarebbero andate, a un certo punto e io avrei di nuovo visto le cose con chiarezza, le persone e i loro comportamenti e non c’era nessun luogo dove volessi andare  e  nessun lavoro che volessi fare, nessun appuntamento da rispettare, anche se a volte la gabbia tornava a mostrarsi, chiamandomi per nome, lasciando uno spazio fra le sue sbarre per farmi passare, la sicurezza, la quotidianità, il lento ripetersi delle abitudini, ero fuggito, la mia era la vita di un evaso, avrei cercato riparo in altri posti e se non ne avessi trovati mi sarei rifugiato nel giardino segreto della mia anima, a pochi passi, pochi respiri, dentro di me.


C’erano notizie che avevo smesso di seguire, epidemia&varianti&primivaccini, una trama mondiale in cui nessuno sapeva cosa fare e nella quale ognuno era rimasto intrappolato, ci si muoveva nel buio dell’ignoranza mediatica e qualche pazzo distribuiva file di numeri a cui la gente finiva per aggrapparsi, prima di cadere nell’idea che tutto stesse per cambiare e sicuramente non nel migliore dei modi.


Avremmo detto addio ai sorrisi, ai baci, ai giochi delle labbra, avremmo rinunciato alla nostra umanità in nome di una cura che non ci avrebbe salvato dal nostro stesso male, quello di esistere in questo mondo, rimanevano fotografie nella stanza, di quando passeggiavamo per vie assolate senza pensare a quello che sarebbe venuto dopo e poi gelide memorie di sere dipinte d’inchiostro e malinconia e il calore nelle mani e quello fra le gambe e un lieve sorriso, quando finalmente le immagini  e la loro sempre mutevole sostanza hanno cominciato a svanire e il profilo del tuo corpo a brillare di una luce che speravo aver dimenticato per sempre.

martedì 4 maggio 2021

Orgiva #35

I soldi continuavano ad arrivare, pezzi di case vendute a sconosciuti, eredità familiari, erano quasi cinque anni che avevo lasciato il mio lavoro come insegnante di italiano e da allora non avevo guadagnato più niente, non in termini monetari per intendersi, avevo scambiato energia e pazienza per un posto dove vivere e per il cibo, non che le dinamiche con la gente che avevo conosciuto fossero state tanto diverse da quelle delle teste di cazzo che mi ero ritrovato in ufficio, c’era sempre qualcuno che godeva nel dirti cosa fare e soprattutto come, il denaro non c’entrava, questo era chiaro, erano i giochi di potere quelli che interessavano alle persone.


Era difficile stare ad ascoltare John quando parlava ed era ubriaco, cioè tutte le volte che lo avevo incontrato, tendeva a biascicare le parole e a urlare e a raccontare cose che non capivo e credo che in passato avesse avuto una lunga dipendenza dall’eroina ed era venuto a Orgiva per disintossicarsi, chissà quando (e quale posto peggiore, pensavo dentro di me) e al momento viveva in una baracca e si vestiva come uno skinhead e i suoi occhi erano di una tristezza devastante e liquidi e anche se gridava le sue opinioni quasi mai nessuno le stava ad ascoltare, nel teatro alcolico che era il patio del Metal Bar.


C’era una scelta morale che questo periodo di pandemia stava insinuando nel mio cuore, se isolarmi definitivamente o se continuare a sperare che le persone che avevo intorno riuscissero a capirmi e ad accettarmi nella maniera in cui ero fatto, senza domande, senza aspettative, senza nessuna richiesta e c’era un’altra decisione che sentivo di dover prendere, che mi sembrava più simile a un atto di fede e cioè quella di condividere ogni cosa che possedevo e di smetterla di pensare ai soldi e vedere dove sarei arrivato, senza piani, senza protezioni, era questa la caduta che sempre avevo voluto, non per ferirmi, ma per farla finita una volta per tutte con gli appigli delle illusioni, dei desideri, delle fantasie. Volevo vedere dove sarei arrivato in questo modo, senza paura, senza aggrapparmi più a nulla, specialmente a tutto quello che aveva fatto parte della mia vita passata e avevo lasciato andar via e sembrava tornare solo per inquietarmi nuovamente.


Offro una birra a John, chiudo gli occhi, il sole si posa sulle mie palpebre, sorrido senza motivo, la felicità può essere un bacio fatto di luce e nessun pensiero.


lunedì 3 maggio 2021

Orgiva #34

 Odore di artemisia, di cespugli bagnati e del fumo dei fuochi che in lontananza si alzava dai campi intorno a Cigarrones, i piloni dell’alta tensione sui fianchi di colline silenziose come totem alieni di divinità elettriche, i cavi tesi nel vuoto, a collegare un’umanità che aveva dimenticato i misteri delle proprie origini, una roccia sulla quale sedersi a scrivere e il profumo della legna bruciata e i ricordi dell’autunno, la memoria dorata delle stagioni perdute, i sentieri dimenticati sui quali avevo smesso di camminare, le feste di paese, il cibo e il vino, la musica, i canti, tutte le tradizioni che ci hanno abbandonato per smarrirsi negli echi di un passato di cui nessuno aveva più scritto, non c’erano più storie che parlassero dei nostri padri - non c’erano più padri - e di quelli che li avevano preceduti e non ci saranno più miti da tramandare e narrare, nessun racconto che leggerò a figli mai nati, solo le parole che continuerò a scrivere su queste linee azzurre, un lavoro per la mia anima, per le sue ferite e le sue cicatrici, per i bagliori sfuocati di immagini rinchiuse in case, corpi, sguardi, visi, lacrime, addii - Sentivo che stava arrivando il momento di muoversi ancora (dove? dove cazzo andare?), dopo sei mesi di apatia, rinchiuso in una cella di isolamento emotivo, gli inutili demoni del sesso nascosti fra le pieghe rancide di lenzuola non lavate, le solite irrealizzabili fantasie erotiche, i maestri zen sorridevano dei miei costanti tentativi di ingannarmi, di tormentarmi, di insultare la loro millenaria conoscenza con i miei impudici atti masturbatori - Poi riprendevo a sedermi nella posizione del loto e a respirare e a sapere in profondità, dentro di me, quale era la strada da seguire, l’unico cammino che avesse importanza, erano distrazioni le donne, i bambini, gli uomini, i cani, le bestie, le grida, i discorsi, i litigi, le luci si erano spente sulle illusioni del domani e io avrei dovuto accettare questa confusione che mi danzava intorno imparando a non darle peso, presenze leggere come un velo di bruma nelle mattine di quiete, chiamo mia madre per ricordarle di vivere, di non lasciarsi andare, un giorno non ci saremmo più visti, come era successo con mia nonna ma non per questo avrei smesso di parlare con loro.
Nel mio cuore o in quello che di esso sarebbe rimasto.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...