martedì 23 marzo 2021

Orgiva #28

Avevo incontrato Nick mente stavo scendendo le scale, stava aspettando davanti alla porta dello studio di un avvocato, che cazzo facesse lì difficile dirlo, ci siamo stretti la mano, la porta si è aperta, lui è entrato, io ho fatto l’ultimo piano di scale, sono uscito dal portone e sono andato a comprare un paio di bottiglie di vino rosso al supermercato vicino casa.

Nick si occupava di organizzare la scaletta musicale durante le serate del mercatino di Cigarrones, andava in giro con un foglio in mano e chiedeva ai presenti o ai loro doppi alterati se avessero qualche canzone da cantare, qualche poesia da recitare o qualcosa da dire sul palco. Era anche il proprietario (nel mondo hippy, purtroppo, il concetto di proprietà non era ancora stato abolito) del women’s field  e un giorno lo avevo aiutato a costruire un piccolo muro di pietra vicino alla cucina dove avevo lavorato per qualche mese, apparentemente era un favore che doveva a Vanessa e Wibbs, in cambio di cosa non me ne fregava un cazzo saperlo.

Non mi era dispiaciuta la sua presenza mentre lo aiutavo con le pietre, ogni tanto si metteva a cantare, gli avevo offerto una birra, non avevamo parlato molto e questo già mi sembrava qualcosa di meraviglioso.

Durante il lockdown era rimasto bloccato non so bene dove in Marocco, insieme alla compagna e alla figlia e le persone che si trovavano nel women’s field per parecchie settimane avevano fatto il coño che gli pareva.

C’ero andato una volta a cucinare, dentro uno di questi truck convertiti e Aladdin mi aveva dato un acido, come scambio non era stato niente male.


C’era il suono delle onde del mare nel salone e io e Sara ci stavamo riposando in una dolce e dorata quiete. C’era una vita che ognuno di noi aveva immaginato o semplicemente sperato e quello che ci accadeva non era altro che un sogno che si realizzava sempre in precario equilibrio sulle nostre illusioni, c’erano i ricordi di tutte le nostre vite passate e mosche che ronzavano sulle superfici dei nostri fallimenti, intorno ai corpi ammassati in letti non ancora cambiati, fra lenzuola sporche di sperma&sudore, c’erano tutti i volti che non avrei mai più rivisto, c’era un futuro che solo il presente avrebbe svelato e una tristezza viva nel cuore, questo dono così prezioso per tutte le sconfitte che ancora dovranno venire. 

martedì 16 marzo 2021

Orgiva #27

Bob era morto, lo avevo visto quasi sempre seduto accanto a un muro, a bere, a leggere un libro, a parlare con gli altri tossici, ad attendere. Avevo un ricordo di lui, sul palco sfasciato del mercatino di Cigarrones, una notte, mentre cantava sbronzo davanti a un microfono, lo accompagnava una musica infernale e non avevo capito un cazzo di quello che era uscito fuori dalla sua bocca sdentata. E un ultimo ricordo, un’ultima volta che l’ho incontrato, perché c’è sempre un’ultima volta in cui vediamo una persona prima che scompaia dalla nostra vita. Bob era seduto fuori dal Dia e io stavo camminando e senza accorgermene avevo superato l’entrata del supermercato seguendo una direzione di luce&riflessi, poi ho abbassato improvvisamente lo sguardo e Bob era lì, seduto per terra, a fumare una sigaretta, ci siamo guardati, ci siamo sorrisi e ci siamo capiti subito.

Non sapevo dove mi stesse conducendo la vita, non vedevo nuove svolte, mi sembrava solo che aspettare e rimanere in disparte fossero le cose migliori da fare, accettare Sara per quello che era, abbracciare la sua presenza e la sua natura e accoglierla nel mio cuore nel suo caotico e imprevedibile manifestarsi, era una prova e molto probabilmente avrei fallito nell’affrontarla e alla fine sarei fuggito di nuovo, anche da lei.

La memoria delle valli e delle colline intorno a Orgiva pareva essersi fatta silenziosa e i cadaveri di gente uccisa a fucilate dai bastardi franchisti erano ancora sepolti e nascosti in fosse comuni disperse fra i campi, nelle grotte, nei crepacci delle montagne. Alcune volte, passeggiando lungo i sentieri, avevo avuto la sensazione di trovarmi in uno di questi luoghi, senza averne nessuna certezza razionale, era come se qualcosa nel mio cuore o in quello che restava di esso mi dicesse che qui un atto di barbarie era stato compiuto, un’azione orribile, come l’uccisione di altri essere umani, c’erano particolari dai colori intensi a indicarmi esattamente dove, poteva essere una pianta, una roccia, un albero a risplendere nel riverbero dorato del mondo e della sua sofferenza.

Vedevo vecchi concerti di Miles Davis, la notte, bevevo un paio di bicchieri di vino, mi sistemavo una coperta intorno alle spalle - Alcune mattine mi svegliavo con il cazzo duro e i coglioni gonfi, fumavo un porro, mi sistemavo fra le lenzuola, mi masturbavo senza venire.

Sara era sempre presente nelle mie fantasie.

Scrivevo sul diario arancione, provavo a farlo ogni giorno, poi passeggiavo fino all’eremo di San Sebastian, mi sedevo su una panchina, osservavo il cielo, le montagne, la luce del giorno che diveniva quella del tramonto.

Una sera ero andato a casa di Adé e avevamo fumato erba dal suo vaporizzatore, ascoltando musica, senza parlare e osservando lo svanire delle nostre illusioni prima dell’arrivo della notte.

Poi le telefonate con i miei genitori e una tristezza che non avevo mai provato prima  si stava lentamente espandendo nel mio cuore o in quello che ne restava, era la consapevolezza che un giorno loro non ci sarebbero stati più, non in questo corpo, non in questo spazio e ancora non ero pronto per dirgli addio e forse non lo sarei mai stato.

La cima della montagna era velata, alcune mattine, da nubi e misteri, mi sedevo nella posizione del loto a guardarla, poi chiudevo gli occhi e respiravo.

Io ero quella montagna.

domenica 14 marzo 2021

Orgiva #26

Solite chiacchiere, soliti discorsi, attacchi, litigi, incomprensioni - Tutto quello che mi ero promesso di essermi lasciato alle spalle, tutto questo spreco di tempo, energia, vita - O forse era questa la vita? - C’erano parole e frasi che tornavano a minacciarmi, a infastidirmi, attraverso modi incontrollati e torrenziali di esprimersi, flussi di rimproveri e conflitti irrisolti - Quanto amavo la libertà di alzarmi e andarmene senza dire nulla, nel bel mezzo di una discussione di cui non me ne fregava un cazzo, alzarmi&andarmene e la cosa migliore sarebbe stata non tornare mai più.

Stavo perdendo il gusto di vivere, giorno dopo giorno, in una intima deriva che non sapevo bene dove mi avrebbe portato, non c’erano molte possibilità di muoversi in questo periodo e io, di certo, non mi sforzavo a crearne di nuove con la mia costante apatia - Mi era già venuto a noia il ripetersi delle piccole&inutili cerimonie quotidiane del luogo dove vivevo, mi sentivo bloccato, incapace di prendere decisioni, volevo solo lasciarmi esistere, per quello che potesse significare, in silenzio, in quiete, senza distrazioni - Ma questo era impossibile se   si avevano delle donne intorno, era una consapevolezza che stava divenendo sempre più chiara nella mia mente e nel mio cuore (e nei miei coglioni, of course) e in questa ottica capivo alla perfezione perché i monaci sceglievano il celibato e la castità, serviva a mettere chiarezza nel corpo e nei pensieri e questo percorso necessitava di una disciplina che ancora non possedevo. Ma ci stavo provando, almeno in parte, credo.

La masturbazione era una via di fuga provvisoria, una liberazione momentanea, una ingannevole catarsi di pochi attimi, era come riemergere dal mondo per poi esserne assorbito di nuovo, fino alla prossima eiaculazione, alla prossima esplosione di luce.

I giorni potevano trasformarsi negli anelli di una catena, a chi avremmo dato il guinzaglio alla quale era attaccata?

martedì 9 marzo 2021

Orgiva #25

Prima neve sulle cime delle montagne e nuvole basse intorno e la drammaticità della luce e delle sue ferite nel cielo e tutte le notti in cui mi sono ritrovato a nascondermi, fumando erba e masturbandomi, addormentandomi e scivolando nelle fantasie dei Piaceri Proibiti e poi l’attesa di qualcosa che non sapevo bene che cosa fosse, forse solo l’arrivo del giorno in cui avessi potuto rimettermi in cammino, senza nessuna destinazione, solo per muovermi e andare e scomparire di nuovo.

Era sempre meglio non ascoltare le voci di chi ti stava accanto, a un tavolo, in un bar, lungo la via, in un ufficio, era sempre meglio annuire, ammiccare un sorriso che non significava un cazzo e farsi gli affari propri eppure ogni tanto qualche idiota continuava a farmi girare i coglioni e un pò del vecchio nervosismo tornava, pensavo di essermelo lasciato dietro nei corridoi, nelle stanze e fra i muri crollati dei miei anni di servizio come insegnante di italiano e invece no, qualcuno la voglia e l’energia di dire vaccate ce l’aveva ancora… Ma perdio non qui, no nel luogo dove vivo e dovrebbe essere la mia casa, no quando ho stappato il rosso e sto sorseggiando il primo bicchiere!

Poi lasciavo stare, era una lotta persa, soprattuto contro le donne, si discuteva, ci si arrabbiava, mi tornava pure la voglia di scoparle, quanta fatica, quante parole, quante dissanguanti incomprensioni, poi cercavo riparo nei respiri e nella quiete interiore, facevo pulizia nella testa, fra i pensieri, scaricando nella fogna tutte le frasi che non mi appartenevano e che non erano altro che echi sonori di monologhi stantii.

Rifugiati in te stesso, lascia chiuse le porte, accosta le finestre, abbassa le tendine, serra le persiane, il rumore del vento, quello della pioggia, l’unico linguaggio che abbia ancora la voglia di ascoltare.

giovedì 4 marzo 2021

senza titolo

 Il senso sprecato di un’esistenza te lo poteva dare il lavoro, con i suoi tempi, ritmi, condizioni. Una routine che si ripeteva negli anni, con i suoi rituali quotidiani, i codici, le barriere, i tentativi di fuga, i rimpianti e le rese.

C’erano contratti, offerti e firmati, che davano forma alle tue giornate, alle ore trascorse in un ufficio, alla farsa allestita in cambio dei soldi ricevuti, i ruoli che ti costringevano a interpretare, le maschere che ognuno indossava, perché era più facile immaginare che fosse un altro e non tu quello che si era fatto inculare e tradire.

Era una sconfitta che ci aspettava a tutti quanti e ci mettevamo pure in fila, a chiappe aperte,  per poterla ottenere, poi le umiliazioni, le menzogne, la stanchezza e infine solo quello che restava, una disillusione totale.

Era un’educazione indecente quella che ci era toccata, lapidi di bugie, interi cimiteri di nozioni stantie, lette, imparate, ripetute e dimenticate.

Una cultura abbandonata, in avanzato stato di putrefazione, senza riconoscimenti, senza meriti, senza la minima possibilità di gioire di quanto amato sui libri, fra le parole di scrittori, poeti e filosofi o tra le immagini di pittori, registi e fotografi.

Qualcuno non aspettava altro che riderti in faccia, di schernire le tue creazioni, i moti dell’anima, il loro modo di esistere su una pagina, su una tela, su uno schermo. Il loro modo di cambiare il corso dei pensieri, di alterarli, di trasformarli, di suggerire nuove idee, di toccare le profondità del tuo cuore, attraversando le zone inesplorate della ragione.

Mi ero allontanato, ero fuggito o almeno avevo provato a farlo, avevo scordato i nomi delle cose, delle persone e ne avevo inventati di nuovi, avevo dimenticato le strategie dell’attrazione, quelle degli scambi umani, mi ero ritrovato solo e perfettamente a mio agio nella mia solitudine. Erano una deriva e un abbandono che si ripetevano in cicli, c’era una maturità che mi sembrava quasi impossibile da raggiungere perché realizzarsi pienamente significava prima di tutto gettare nell’oblio e nel cesso della vita qualsiasi passata presunzione di sapere cosa stessimo facendo.

E poi tutti i momenti in cui ti sei guardato dentro e hai capito che fuori di lì non c’era nessun luogo dove andare, che eri già arrivato e che avresti potuto attendere la tua fine fra quei respiri così familiari, tra l’ultima luce del giorno e il lento rollio delle onde del mare alla sera.

C’era una quiete in ogni invisibile alba e un’eco di sofferenza in ogni inizio che altri ti avrebbero mostrato solo per il gusto di rovinarlo, non ci si poteva fare niente, non c’erano montagne su cui isolarsi, caverne in cui rintanarsi, qualcuno ti avrebbe scoperto, raggiunto, qualcuno ti avrebbe parlato e disturbato, gli inganni dell’amore, qualcuno avrebbe chiamato il tuo nome e sarebbe stato meglio non rispondere, non accettare questo crudele ripetersi di illusioni e rimanere a gambe incrociate, ad occhi chiusi, per difendere questo silenzio che ovunque protegge la nostra unica e lucente caduta, come fossimo stelle danzanti negli inquieti e infiniti misteri di un universo di fulgida e fuggente bellezza.


lunedì 1 marzo 2021

Orgiva #24

I miserabili arrivavano in massa il giovedì mattina, giorno di mercato nel pueblo, a comprare un pò di verdura o a recuperare quella buttata via vicino ai cassonetti, non che gliene fregasse più di tanto di quello che mangiavano, almeno credo, l’importante erano l’alcol e le sostanze in generale, quelle che riuscivano a trovare e poi ad assumere ovunque capitasse.

Gli straccioni scendevano giù da Beneficio, una tipologia di persone come le altre, né più, né meno, anche se si credevano diversi e migliori di quelli che non vivevano come loro, poveri coglioni, li riconoscevi quasi subito, i vestiti strappati e colorati, la loro divisa, cani o bambini al seguito e nei casi peggiori tutti e due insieme, dreadlocks o acconciature abbastanza primitive, una canna spenta fra le dita, nazionalità differenti e una comune idea di rappresentare una diversità culturale che non era altro che un’ennesima forma di omologazione - Dopo un pò questa ostentata alternatività aveva cominciato a farmi girare le palle e quello che all’inizio era stato interesse e un barlume di speranza di poter trovare individui con una mentalità non dico aperta ma per lo meno viva e vibrante si era infranto nella presa di coscienza che non c’era poi una grande differenza fra loro e i tanto criticati appartenenti alla società convenzionale.

La borghesia era morta, il proletariato defunto, era rimasta un’accozzaglia umana impossibile da definire e forse era meglio così, la lotta di classe era una stronzata per rivoluzionari ammuffiti, io continuavo a tenermi alla larga da tutti e sembrava che le divinità fossero d’accordo con me, mandandomi i loro indizi e i loro regali.

Le ore migliori per girare per Orgiva erano quelle della siesta, adesso che era inverno e sembrava primavera, e quelle del tramonto, per le vie e i vicoli non c’era nessuno, mi sembrava di essere come in un sogno, camminavo lentamente, osservavo i dettagli, me ne dimenticavo subito dopo, afferravo un pensiero, un ricordo, accarezzavo un’emozione, mi fermavo, pulivo la mente, lasciavo che i detriti psichici scivolassero via, camminavo di nuovo.

Non avevo più nulla da dire ammesso che lo avessi mai avuto, anche se per molti anni ero stato costretto a parlare ed ora che quel tempo era finito non me ne fregava un cazzo di ricominciare a farlo. Non avevo più nulla da dire, tantomeno da costruire, c’erano macerie ovunque, alcune di esse avevano fattezze umane, altre capelli lunghi e seni e culi e labbra che te lo facevano venire duro e che te lo avrebbero succhiato come cristocomanda, altre ancora avevano uno sguardo assente e stanchezza e schiene incurvate - Osservavo un fallimento dopo l’altro ed ero diventato un sublime artista della sconfitta - Poi mi rigiravo fra le lenzuola, i coglioni legati, una mano che mi accarezzava i capezzoli, le immagini feticistiche ad alta definizione nella sala oscura del piacere e delle proibizioni, i primi colpi di frusta, un sibilo lontano, una preghiera sussurrata, l’agonia dell’amore, l’asfissiante persistere dei sentimenti, perduti e ritrovati, malati e mai curati, le menzogne lucenti di qualsiasi donna ti abbia mai accolto fra le sue gambe aperte, stupida preda di vivida carne pulsante, stupido attore di una fatiscente farsa di fessure frementi.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...