giovedì 30 agosto 2018

Artist Valley #2

Saremmo passati dal 3d al 5d, diceva David, era questo il prossimo stadio dell’evoluzione umana, superare i limiti spazio-temporali che ci ingabbiavano ed essere qui e ora in ogni possibile momento del passato-presente-futuro, con connessioni oniriche che trascendevano nazioni e continenti e rituali sciamanici in cui assumere l’ayahuasca con uomini della medicina peruviani, pronti a condurti al di là delle normali dimensioni che la geometria euclidea sembrava avere assicurato come le uniche possibili. Antiche lingue venivano usate per trasmettere segreti e conoscenze, i codici maya, i geroglifici egiziani, le teste enormi e immobili nell’Isola di Pasqua, i cerchi di pietre nelle lande britanniche, i fuochi nel deserto fra le voci e gli sguardi della notte e i libri di Castaneda poggiati sul comodino di legno e l’odore della salvia bianca, così antico e familiare, capace di trasportarti in una memoria collettiva e universale che ci vedeva ancora in stretto contatto con la natura, prima che la tecnologia usurpasse quel potere, trasformandolo in una serie di impulsi elettronici, sequenze di numeri e immagini che avevano canalizzato i nostri sensi. Nei cinema sperimentali si provavano nuove e sintetiche forme di percezione, schermi, suoni, colori, odori, vibrazioni, magnetismi energetici che producevano infinite serie di visioni, ci si proponeva di trasportare le scoperte fatte durante la somministrazione di sostanze allucinogene nelle esplorazioni di nuove possibilità filmiche, mandate a fare in culo i soggetti e le sceneggiature dicevano i produttori, sigaro in bocca e  bicchiere di liquore ghiacciato in mano e concentratevi sul flusso delle immagini, sulla loro forza manipolativa, piegate le menti degli spettatori ai nostri voleri, nuova libertà o schiavitù, titolava un giornale transoceanico a caratteri polidemensionali enormi, le persone lo leggevano nelle metro sotterrane e poi passavano velocemente alla notizia successiva, non che gliene fregasse un cazzo a nessuno, erano solo parole, avremmo costruito nuove piramidi e adorato antiche divinità, complottavano gli architetti psichici nelle loro stanze di riflessi e finestre e pareti plastiche e la musica che avrebbe preso il posto dei materiali per strutturare le metropoli dei sogni, era arrivata una busta rossa con dei biglietti dentro, sarei partito fra qualche giorno, le destinazioni erano ignote, i viaggi attraverso interzone della mente, dove gli scarafaggi battevano le dita sulla macchina da scrivere e il vecchio Lee li osservava con un fucile a canne mozze in mano.

giovedì 16 agosto 2018

Artist Valley #1

Bianchi silenzi e strisce di coca nelle albe alcoliche, le orme immaginarie lasciate su moquette di stupore e gli alberi dalle forme di pensieri immobili, creati durante la notte, i fari della macchina che illuminavano spoglie visioni d’asfalto, i primi raggi del sole che sfioravano le cime delle colline, un altro giorno che non sarebbe stato uguale a nulla, perché passato e futuro non erano altro che ricordi e progetti senza più valore, le enormi casse e le pulsazioni e i divani e le persone sedute a parlare, chiudevo gli occhi e lasciavo la pelle vibrare insieme agli effetti della mezza pasticca che avevo inghiottito, i fuochi che bruciavano nel buio, la voce impastata di David e i suoi folli discorsi in sequenze dilatate e poi improvvisamente frenetiche, come se qualche misterioso alchimista si divertisse con la manopola del tempo, le cerimonie lunari, i tamburi e i canti dell’ayahuasca, i funghi magici che ampliavano respiri e percezioni, i rami nudi che ondeggiavano nell’oscurità, il senso di calore e protezione intorno alle fiamme, poi i sogni e le stanze e gli incontri e il libro nero che non avevo più toccato, ci perdevamo in vite in cui nessuno avrebbe mai pensato di finire, senza ormai  nessun desiderio, nessun legame, niente che potesse assicurare una continuità di ore all’inesorabile caduta, precipizi, abissi, limiti, confini, barriere, allargavamo e restringevamo i nostri vuoti d’aria, perché erano l’unico modo in cui potevamo essere veramente liberi dal pensiero e dalle sue conseguenze, Bosch aveva visto l’inferno nelle nere fessure di braci ardenti e niente rimaneva la mattina dopo di quanto era stato creato e discusso su tappeti di polveri da inalare, risplendevano gli occhi nelle lucide composizioni della mente, non si poteva rinchiudere il proprio cuore nei battiti accelerati di lavori fisici, costruivamo il corpo in strati di muscoli accaldati, sudore e fatica, flussi mentali che colavano in trincee di radici spezzate e terra martoriata e cicatrici lasciate da una guerra che nessuno aveva ordinato, ma era lì la nostra energia sprecata, gli aerei che tagliavano il cielo e la sfera del suono, qualcuno aveva combattuto ed era morto per millenni, l’oscuro potere che giaceva nelle profondità di misteriosi esseri, le piume alzate in ornamenti sciamanici di galli in attesa di attaccarsi a vicenda, i piedi che calpestavano la terra creando ritmi che i tamburi avrebbero moltiplicato in ipnosi sonore, non c’era nulla che avesse senso sussurrare ancora, il cielo accoglieva i tuoi brividi, perché questa era la fine di un giorno mai nato.

domenica 12 agosto 2018

Aberystwyth #5

Avremmo imparato a vivere nel passato e a respirare ricordi come fossero ora, c’era un legame alchemico fra tutto quello che era successo e il presente, potevo scivolare su attimi fuggiti che ancora pulsavano di vita, guardare in uno specchio i riflessi di ogni momento trascorso e vederli espandersi in sequenze di immagini, emozioni, discorsi, volti, paesaggi, intimi e infiniti collegamenti con ogni secondo che era stato aria, un momento di assoluta lucidità in cui ti guardi intorno e sai di essere in un sogno  in cui ogni risveglio è un’altra possibile storia, che racconterai quando le lettere saranno forme nella tua mano, guardavo Gavin negli occhi mentre parlavamo di cinema, sbronzandoci e cercando collegamenti che sapevamo bene giocare con significati di assurda logicità, lo scrittore era seduto davanti a me, al tavolino vicino alle grandi vetrate, beveva una pinta e osservava se stesso scrivere e le bambine danzare nella loro innocenza, il campus universitario in cui qualcuno teneva corsi di scrittura creativa e ingurgitava acidi durante le lunghe notti invernali, le piccole case al di là del ponte dove studenti affondavano la propria mente in libri di materie occulte, c’era sempre qualcosa da attraversare, punti di rottura in cui far saltare in aria ogni certezza, improvvise distruzioni e elaborati piani di fuga, le traumatiche svolte nel corso degli anni, le stanze in cui mi ero rinchiuso a parlare con gli altri erano crollate in macerie di echi, di parole non ne possedevo più neanche una e tantomeno di voglia di comunicare, chissà se le persone intorno la vedevano la sottile pellicola di argento e nitrato che mi circondava, avevo ancora sorrisi e gioia e coscienza di quanto ogni singolo respiro fosse l’espressione stessa di uno stupendo dono, quello di essere reale e fare parte dell’esistenza, l’amore che avevo provato e lasciato andare via, il sentirsi finalmente liberi da tutti i battiti del proprio cuore, le ferite che portavamo con noi attendevano una luce di quiete e calma che le rendesse brillanti e visibili nelle nostre notti di abbandono e speranza.

sabato 11 agosto 2018

Moon Punch (2007)

Si era da poco concluso il secondo anno di vita della mia casa di produzione, la Blackbombay. In due anni, grazie a prodotti curati e a tema, ero riuscito ad arrivare tra i massimi esponenti dell’Europa a luci rosse e non avevo nessuna intenzione di andarmene. Avevo fatturato quasi quattro milioni di euro, vendendo in tutto il continente, con la prospettiva di allargare i miei commerci all’Asia e agli Stati Uniti, una volta tanto la colonizzazione avrebbe seguito una rotta diversa. Mi ero specializzato in alcuni settori e generi tralasciando le cose più comuni o facilmente reperibili. Avevo delle sezioni sadomaso e fetish che erano il mio orgoglio, avevo chiamato direttamente dal Giappone un maestro di nodi, per le scene bondage. Avevo fatto costruire gli ambienti più fantasiosi per realizzare le dominazioni sessuali più impensabili. Dungeon medievali, prigioni, stalle, infermerie. Avevo ottenuto riconoscimenti da parte degli esperti del settore, senza contare una serie di vendite che avevano fatto di nuovo esplodere un mercato che sembrava essere solo di nicchia. 
Si era da poco concluso il secondo anno di vita della mia casa di produzione, la Blackbombay e avevo deciso di organizzare un party in una villa affittata in riva ad un lago. Avevo fatto venire i migliori dj dall’Olanda insieme a tutta una serie di luci, casse stereo, amplificatori, videoproiettori, statue a forma di cazzo e a un’infinità di droghe che avrebbero soddisfatto tutti i partecipanti.
Mi ero vestito elegante-ma-non-troppo e camminavo per le sale della villa, ultimando i preparativi, sistemando i cazzi e accogliendo le persone che iniziavano ad arrivare.
C’era un cazzo di legno che mi ero fatto spedire direttamente dall’Africa, era tutto intagliato a mano, una meraviglia, alto quasi come un uomo. Ci avevo fatto attaccare una foto della Madonna proprio sulla punta della cappella per dare quel tocco di blasfemia che in una mia festa non poteva mai mancare.
Andai vicino ad un recipiente di cristallo nel quale galleggiava un bibitone color rosso porpora (color cappella mi piaceva pensare) dove erano stati mischiati ad arte diversi tipi di droghe psichedeliche, con l’aggiunta di cocaina e un pizzico di oppio per tenere a bada le pulsazioni cardiache. Mi ero versato un’abbondante dose del moon punch (così l’avevo battezzato) e mi ero messo a discutere con un transessuale che aveva lavorato con me alcuni mesi addietro. Non so come la discussione era andata a finire sulla Critica alla facoltà di giudizio di Kant e sembrava che avessimo due interpretazioni diverse per quanto riguardava il concetto di sublime. Stavo per ribattere ad una sua intelligente osservazione quando vidi una scimmia camminare per la sala vestita da re magio. La scimmia (ammaestrata, sperai) aveva una scatola chiusa. Pensai ad oro-incenso-e-mirra. Mi avvicinai alla scimmia, quella si fermò e girandosi mi diede la scatola. La presi e la posai accanto al moon punch, sapevo che la curiosità era una brutta bestia e resistetti alla tentazione. La scimmia intanto si stava servendo da bere, speravo solo che non si ubriacasse più del necessario. 
Arrivarono alcuni dei miei attori e alcune delle mie attrici, ragazzi e ragazze sotto i trenta, la loro capacità di infliggere torture di tipo sessuale mi lasciava meravigliato, non credevo che gente così giovane potesse essere tanto preparata, mi avevano sorpreso, mi avevano fatto guadagnare un mucchio di soldi, li avevo pagati bene. Erano un’altra generazione.
Stavano tutti con un bicchiere in mano e parlavano sorridenti vicino al cazzo africano. Mi unii a loro e ricordammo gli episodi più divertenti che ci erano capitati. Era mia abitudine concludere ognuno dei video sadomaso con una piccola intervista ai due protagonisti, in modo che spiegassero quello che avevano provato durante le riprese. Nessuno si faceva mai male, ma era tutto molto realistico ed emozionante. In pochi sanno che l’energia sessuale è un antidolorifico naturale molto potente. Se ti frustano o ti legano o ti bacchettano mentre l’energia sessuale è in circolo tu non provi dolore ma godi, godi ancora di più. La mia era una piccola lezione per l’umanità. Il mio personale omaggio al Grande Disegno. Un modo per rendere un po' più sincero il nostro mondo.
Arrivò anche il maestro giapponese, lo salutai con un inchino, si mise a parlare con me e i ragazzi, raccontandoci di aver inventato nuovi tipi di nodi che avrebbe voluto sperimentare nei miei prossimi video, ero entusiasta di lui.
Sentivo che il bibitone iniziava a fare effetto, ero molto rilassato e i colori erano più intensi, avevo voglia di ridere e il mix di droghe era stato fatto alla perfezione. La scimmia invece sembrava non reggere, visto che stava saltando come un’indemoniata da tutte le parti, pregai uno degli addetti alla security di prenderla e di sbatterla in qualche gabbia fino a  quando non si fosse calmata.
Mi feci una striscia di coca e cercai di nuovo il transessuale perché ripensandoci bene aveva detto una moltitudine di cazzate su Kant e volevo proprio farglielo notare. Mentre lo cercavo vidi di nuovo la scatola di legno che mi aveva dato la scimmia, la curiosità era forte e questa volta la lasciai vincere. Aperta la scatola capii un’infinità di cose.
Volai attraverso colori e mondi e uomini e donne.
Arrivò la comprensione del tutto e poi la lucidità e una sensazione di sublime distacco, di poter racchiudere tutto dentro me stesso. L’abisso più profondo come la montagna più alta, il terremoto più devastante come l’uragano più violento. Eravamo la creazione più sbalorditiva di tutte. Eravamo l’orgoglio delle nostre divinità.
Richiusi la scatola e mi feci un altro tiro di coca. La festa proseguiva alla grande, la musica faceva diventare l’aria elettrica e spessa, aria che ti rimbombava nel cuore e nel petto e nella bocca dello stomaco. Mi versai un altro po' di moon punch, poi arrivò una ragazza con una maschera bianca e insieme ci sedemmo su un divano.
La ragazza mi sussurrò le magie dell’amore e io mi abbandonai ai delicati profumi di quella calda brezza.

venerdì 10 agosto 2018

Aberystwyth #4

I risvegli nella mansarda, con il cielo grigio e i fischi dei gabbiani, le storie del mare che le case e i vicoli e i pub raccontavano, le notti passate sul pavimento di legno della casa di Sarah, i suoi amici musicisti che suonavano e andavano fuori di testa con l’erba, le pillole e il vino, l’alba che ogni tanto vedevamo senza sapere come ci eravamo arrivati, le cascate scintillanti di note, la legna che crepitava nella stufa di ghisa, il gatto nero che mi si addormentava su una gamba, quando ero seduto al tavolo a scrivere, mentre gli altri ci davano dentro con i loro strumenti e Sarah era in piedi, sbronza, con i pennelli in mano a comporre i suoi tramonti di meraviglia e colori.
E i fremiti delle dita quando afferravano nervosamente una penna, perché c’erano ancora emozioni che mi cercavano e volevano diventare vive e concrete, come le immagini che continuavo a scattare, lasciando che fossero le forme geometriche a catturarmi, era tutto collegato in una maniera che non avrei mai creduto possibile, ci avevo messo anni a liberarmi da costrizioni mentali, un fluido rosa che colava in danze di elefanti ubriachi, sarei potuto arrivare ovunque solo con la mia immaginazione, il flusso ininterrotto di pensieri che da confusione diventava infinita materia creativa, la nostra mente era uno strumento che avremmo solo dovuto imparare a usare, il silenzio era il primo passo per farlo, poi la quiete dorata e il vuoto, i messaggi di mio padre lasciati in bottiglie di vetro, camminavo su una spiaggia scura in una mattina che la notte aveva dimenticato di amare, le stelle ancora accese negli sguardi delle maree, naufragavo perché sapevo che l’abisso mi avrebbe accolto, c’era una profonda bellezza che solo i segreti del mondo potevano ancora sussurrare.

giovedì 9 agosto 2018

Noddfa Dawel #5

Al era tornato dalla Spagna con la sua auto, in un viaggio di tre giorni. La mattina lo sentivo cantare mentre risaliva il sentiero fuori dai bungalow, probabilmente dopo aver cacato vicino a un albero. Aveva il suo pick up da sistemare, era stato parcheggiato qui per più di due anni, un paio degli enormi pneumatici erano a terra e la batteria era da ricaricare. Il cassone posteriore era simile a una carrozza del circo o degli zingari del secolo scorso, con una struttura arcuata e tondeggiante, ricoperta da un telo cerato verde. Ci si poteva dormire dentro e anche vivere. Al aveva avuto un infarto e ancora continuava la sua esistenza nomade, seguendo il ciclo delle stagioni e quello delle cose, doveva avere quasi sessantacinque anni ed era uno dei superstiti della sua generazione, mi piaceva ascoltare i suoi racconti di hippies e acidi e stili di vita alternativi, le sue teorie sul consumo energetico e le prossime conquiste spaziali, la resistenza agricola delle piccole comunità e i nuovi mercati monetari elettronici, gli mancavano dei denti nella bocca, così quando rideva tendeva a mettersi una mano davanti al labbro superiore, i suoi occhi erano azzurri e vivi e c’erano ancora lampi di gioventù dentro, sarebbe andato a Bali per tre settimane, a trovare degli amici, l’avrei aspettato qui per l’inizio dell’inverno, giusto per ascoltare altre storie o magari per seguirlo nel suo ritorno in Spagna, ogni possibilità era a portata di mano, non c’erano più pareti rosa pallido a impedirmi di guardare lontano, le giornate diventavano sempre più corte con momenti improvvisi di estatica bellezza, non sapevo quando me ne sarei andato, avevo finalmente iniziato a dimenticare chi ero stato in un passato che attendeva solo di essere trascritto e trasformato in parole, era materiale narrativo da rielaborare a seconda dell’ispirazione, degli stati d’animo, delle intuizioni anarchiche, costruivi e distruggevi, lo avevi fatto per anni, poi rimanevi in equilibrio e allora, intorno a te, tutto appariva nitido e reale, ci sarebbero state altre fughe, era inevitabile, l’importante era non sapere mai dove ti avrebbero portato. 
Al si alza dalla sedia dopo aver finito di parlare, va verso la sua camera, proprio davanti alla mia e sussurra mentre cammina nel corridoio, con un filo di voce, cosmic.

martedì 7 agosto 2018

Noddfa Dawel #4

La luce d’oro del tramonto fra le foglie d’autunno e finalmente il tempo per scrivere,  le paure striscianti della catastrofe nucleare, le esplosioni atomiche nel cervello, la vetta scintillante di una montagna luminosa, le spinte ascensionali dell’acido, si arrivava direttamente sulla cima dell’Himalaya psichedelico, abbreviando anni di meditazione e mantra, era una porta che mostrava le possibilità della mente, l’erba e i funghi ti tenevano ancora nel bosco della psiche, alteravano percezioni e rendevano reali i tuoi discorsi con alberi, piante, foglie e fiumi.
Passavi le serate osservando un fuoco ardere, fino a quando il cielo diveniva scuro e le prime stelle apparivano, la luna era gigante sulla linea dell’orizzonte ondulato delle colline, qualcuno viveva ancora in accampamenti nascosti nelle valli, i grandi teepee, i canti e le danze rituali, mi stavo avvicinando, i primi concerti liberi erano state esperienze di condivisione e interessi comuni, poi qualcosa era cambiato, come sempre il denaro aveva preso potere: lo smercio di droghe, i biglietti, il commercio di musica e sentimenti.
Un’intera generazione aveva provato a scappare dalla gabbia che l’aspettava, aveva dischiuso scatole craniche con alte dosi di possibilità lisergiche, la realtà era cambiata e con essa il modo di starci dentro, di esplorarla, di piegarla in colori e suoni, poi le caverne oscure in cui i battiti dei tamburi divenivano quelli del tuo cuore, in cui le ombre striscianti sulle pareti si muovevano in primitive sequenze fra inconscio e sogno, in tridimensionali vibrazioni di forme e visioni. 
I monaci nella posizione del loto, seduti davanti a un muro, le nuove tribù, le iniziazioni oniriche, il luogo che dovevi cercare e scoprire per sederti e acquisire potere, i mondi che si dischiudevano come fiori di meraviglia, guardavi all’interno di una vita che mutava secondo dopo secondo e tu ne eri parte ed essenza e fluivi con essa sapendo bene che non saresti arrivato da nessuna parte, perché l’importante era soltanto lasciarsi trasportare, lontano, in profondità, oltre le barriere di inganni e illusioni che creavamo in continuazione per proteggere le nostre nazioni di egoismo, i confini erano crollati, le invasioni del subconscio erano cominciate, nelle enormi corsie dei supermercati non c’era più nulla di cui avessimo bisogno, erano solo un insieme infinito di scatole cinesi che racchiudevano il seme di una necessità che aspettava di germogliare nella pianta carnivora di una dipendenza, ci si spostava di terra in terra, per non lasciare tracce, per scomparire e riapparire improvvisamente, in campi pieni di funghi allucinogeni, gli happening e le feste per oltrepassare i bordi dell’immagine e Suzanne, silenziosa e timida, in un angolo dello sguardo a reggere uno specchio in cui nessuno si sarebbe mai più riflesso.

mercoledì 1 agosto 2018

Lavori di casa (2006)

Il sole entra dalla finestra. Le persiane sono spalancate. La musica dei Bluebeaters rimbalza sulle pareti. Il basso, soprattutto quello. La voce di Giuliano Palma è affascinante, calda e sensuale. Finisco di pulire il cesso, il lavandino e il bidé, poi passo lo straccio sul pavimento, completamente nudo, con addosso solo il mio pareo arancione, legato in vita. Poi mi guardo allo specchio, nella mia camera, i capelli sono troppo incolti, li dovrei tagliare. Anche la barba andrebbe sistemata. Mia madre e mia sorella se ne sono andate da qualche parte al mare. Ho una settimana di libertà a casa e questo significa fare come cazzo mi pare. E le stupide vocine interiori, quelle che ti ripetono di non perdere tempo, dopo appena poche ore si sono immediatamente ammutolite. Torno alla mia passione originaria: l’ozio. Il non fare un cazzo. Anche se casa la devo pulire lo stesso prima che mamma e Vale ritornino.

Il tempo che scorre.
Il sole che gira.
Le ombre che si allungano.

Mi metto al computer e mentre aspetto che tutti i miei possibili lavori trovino uno sbocco e mi permettano finalmente di andare a vivere da solo (e che il pavimento del bagno si asciughi) butto giù un paio di idee.
La prima è su una sceneggiatura porno che ho in mente da parecchi giorni. Più che una sceneggiatura è una storia, visto che nella pornografia non servono tutti quei dettagli delle normali sceneggiature. Basta inventarsi una situazione, trovare degli spunti e delle posizioni interessanti e poi il regista e gli attori penseranno a come svilupparle.
Seduto con il mio pareo legato basso, l’odore del mio corpo sudato (mi piace puzzare quando lavoro, mi dà un senso di fatica e impegno) inizio ad immergermi nella situazione porno. Ho trovato una piccola casa di produzione che sembra interessata a comprare delle storie. Non pagano tanto, ma è comunque un inizio.

Le ombre che si allungano
Il tempo che scorre.
Il sole che gira.

Lavorare, lavorare, lavorare. Certo, bisogna farlo. Ma se si trovasse un lavoro che realmente ci piacesse? O un modo per fregare il lavoro? La pornografia mi sembra una bella strada come quella del cinema o della scrittura. Iniziare, iniziare, poi da qualche parte si arriverà.
Mi alzo per andare a controllare se il pavimento del cesso è asciutto. Bene, cambio gli asciugamani e poi passo alla cucina. Intanto la mia storia porno staziona sul foglio bianco e digitale del computer. Sono arrivato alla parte bocchini. Diciamo uno dei miei cavalli di battaglia. Il bocchino, visivamente, è molto meglio della ripresa dell’atto sessuale. La bocca che si apre e prende il cazzo in bocca è quanto di più eccitante si possa vedere. Senza parlare di tutte le implicazioni estetiche causate dai giochi con la saliva o con la sborra. 
In cucina prendo un piatto tra quelli che ho nel lavandino e inizio a lavarlo. Mi bagno un po' i capelli, sono unti, dovrei farmi uno shampoo. Ripenso alle ultime cene e a come l’altra notte abbia fatto le quattro di mattina, a come i gabbiani volteggiavano nel cielo, a quanto perdio stavo fatto e a come i miei polmoni implorassero pietà.
Continuo poi con le pentole, le sgrasso per bene e cazzo una bella scena sadomaso ce la infilo lo stesso pure in questa storia e la mano che gratta il fondo della pentola perché sto cazzo di grasso è difficile da mandare via e quando avrò una casa tutta mia e poi anche una donna che lo mette al culo ad un uomo ci potrebbe stare bene e ha ragione mia madre che quando stai da solo ti fai il culo tutti i giorni perché devi lavare casa e fare i piatti e fare il bucato (il bucato? cazzo devo ancora caricare la lavatrice) e anche sai che ti dico il protagonista lo faccio sborrare sui piedi della donna così c’è pure un po' di feticismo e tutti sono più contenti.
Metto i piatti e le pentole ad asciugare e torno al computer. Scrivo le idee che mi sono venute in testa, poi salvo e spengo. Vado di nuovo in bagno a caricare la lavatrice, poi finalmente decido di lavarmi (ho fatto tutto? mi pare di si) apro il frigo e mi sparo un succo di frutta alla pesca e mi mangio un paio di albicocche. Poi mi metto il costume, chiamo un paio di persone, mi dicono che hanno da fare. Guardo la mia agendina telefonica. Inesorabilmente vuota. Pazienza. Scendo e monto in macchina e me ne vado in piscina. Rimango il pomeriggio a bere birra e a sentire musica. Poi sono di nuovo a casa, bella pulita, ho fatto il mio dovere, che bravo ragazzo che sono. Mi compro una pizza per cena che non mi va di cucinare (e di sporcare) e poi inizio a fumare canne a manetta, verso mezzanotte non capisco più un cazzo. Chiudo tutte le luci ed è meglio non sapere cosa succederà.

Le ombre muoiono.
Il sole scompare.
Il tempo si ferma.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...