mercoledì 29 marzo 2017

dream #59



Una casa di legno su una collina, è notte e le stelle sono luminose nel cielo, arriva una macchina con dei ragazzi, escono e scaricano una cassa di birra, camminano tra le ombre, si nascondono nel buio, mi parlano da quell’oscurità – nella casa di mia madre, ci sono alcune persone che stanno bevendo e fumando, una musica che si ripete nella mente, mi affaccio a una finestra aperta e guardo dentro quelle del palazzo di fronte, le luci sono accese, qualcuno sta camminando per le stanze – arrivo ad un’altra casa, enorme, una donna mi accoglie, parliamo in inglese e in italiano, mi chiede se voglio una tazza di tè, le dico di si e la seguo in cucina, è molto spaziosa, ci sediamo ad un tavolo, conversiamo, poi mi domanda se voglio vedere il resto della casa, annuisco, oltrepassiamo una porta e siamo all’interno di un cinema, le chiedo sa fa parte della sua abitazione, lei sorride, poi mi chiede qualcosa sulle torture, se mi piacciono, le dico che ci sono dei giochi di ruolo tra adulti consenziente e le racconto le esperienze che ho avuto – di nuovo seduti ad un tavolo, taglio un gigantesco mango, è succoso e appiccicoso, ancora melodie nella mente, un uomo si avvicina e si siede in silenzio, prende una fetta di mango e la inizia a masticare, ci guardiamo negli occhi, non abbiamo nulla da dirci.

martedì 28 marzo 2017

Orgiva #2

I contorni delle montagne alla sera come profili di giganti addormentati, supini sulla terra, le colonne di fumo all’alba, gli accampamenti degli ultimi superstiti, i cani randagi fermi lungo i bordi delle strade e le loro ombre allungate a dipingere i muri, le scritte nere. La vernice che colava sulle pareti dei vecchi edifici in rovina, i mostri di cemento e mattoni, gli ulivi contorti aggrappati al suolo arido, lande desolate in attesa del compiersi di una profezia. Un tavolo di legno sul quale lo scrittore riempiva di parole il suo quaderno, distanze di anni e chilometri, respiri e ferite, i tossici schiacciati dal calore bianco, gli occhi liquidi che si scioglievano sui marciapiedi. Le curve dell’immaginazione, la busta in una mano, gli avanzi e gli stracci, il corpo ricoperto di sporcizia, nessuno ti avrebbe più chiesto il tuo nome, chi eri, quale fosse la tua storia, come eri arrivato in questo luogo. Non c’era più nessuna famiglia, gli amici erano scomparsi e insieme a loro le amanti e le puttane, solo ora potevi osservare cosa fosse rimasto di tutto quel tempo sprecato a rincorrere fantasmi ed illusioni. Aprivi gli occhi e le palme splendevano contro l’azzurro del cielo, sogni e confini, gesti d’amore, palpebre socchiuse sulle labbra del sole. 


lunedì 27 marzo 2017

Tan y Graig #4

Apri la porta di casa giusto per essere sicuro che il mondo esista ancora dopo la notte, le pareti della stanza avevano strane proporzioni e non ricordavi dove eri stato, una volta oltrepassata la barriera del sonno c’erano stati incontri e camere e corridoi, volti e parole e fughe – il cane guardava un piccolo bastoncino di legno in attesa che qualcuno lo afferrasse e lo tirasse, una mano invisibile poteva essere una divinità, gli uomini erano nudi e mangiavano piccoli funghi, i corpi si muovevano simili a scimmie e c’erano enormi disegni fallici sulle pareti della caverna, illuminati dalle lingue del fuoco, discorsi che oscillavano nell’aria trasformandosi in spirali di fumo, altra legna e altri canti, i membri eretti e le loro immagini speculari, nuove forme ibride di sessualità primitive, i volti nascosti nelle pietre che ti guardavano incuriositi – dentro gli armadi e nei cassetti potevi trovare antichi e misteriosi oggetti, strumenti meccanici di precisione, camere oscure, cannocchiali che misuravano la distanza dello sguardo dalla luna, i vestiti nascosti dentro i bauli, perché il tempo della gioia e della felicità era finito e rimanevano solo le tue dita, ormai invecchiate, che accarezzavano quei tessuti, i corpi stretti durante i balli e i desideri della giovinezza, l’avevamo anche trovato il modo di amarci ma non potevo negare a me stesso il sogno di lasciare ogni cosa per non ritrovarla mai più, c’era il dolore ad attenderci, sotto il lampione e la pioggia, lo sguardo impenetrabile e le sostanze dentro la tasca segreta del cappotto, arrivavi sempre tremando, sperando che lui ci fosse e se non fosse stato lui sarebbe stato un altro, la ruota continuava a girare e gli schiavi a spingerla, avevi vissuto questa vita e quella precedente e ancora non riuscivi a liberartene, gli errori si attardavano sui gradini luridi di una chiesa, prima pregare e poi masturbarsi, in modo che il peccato sia colpa e redenzione, una serie interminabile di piccoli rituali, gesti, giochi mentali, ogni volta da capo, ogni nuova stazione, ogni nuova partenza, i tuoi occhi erano stanchi e il volto segnato, avevi scritto e dimenticato, i battiti del cuore, i risvegli nel buio senza il tuo corpo da abbracciare, le lacrime le guardavi ancora, rigare il volto nello specchio, sarebbe mai finita questa tristezza? I giorni e le bottiglie vuote, prendimi per mano, ancora una volta, che non lo possiamo mai sapere quando arriverà quell’ultima donna a chiuderci gli occhi con un bacio.


giovedì 23 marzo 2017

Bryn Rhyg #8


Le prime luci della sera o forse le ultime, appiattite contro l’orizzonte mentre rimodellavano i contorni delle montagne, i piani di fuga che avevo dimenticato nelle strade di città grigie e piovose, le notti spazzate via da alcool e pillole e le tende che mani sconosciute tiravano, dentro le stanze, a nascondere il giorno o gli occhi delle stelle, seduto davanti alle grandi vetrate, le gambe aperte, la sua testa che si muove su e giù, le osservo i capelli, le spalle – mi chiedevo se avesse gli occhi chiusi o aperti mentre mi succhiava il cazzo, ci si stancava presto di tutte le parole e i discorsi, gli abbracci diventavano più stretti solo quando la solitudine era vicina e il freddo bruciava il cuore e qualcuno scambiava ancora l’amore con l’effetto chimico di qualche polvere, ancora appiccicosa sulla punta delle dita, la mattina tutti erano silenziosi, nella stanza, qualcuno scaldava la sua porzione di gioia in un angolo e gli altri attendevano, gli occhi bassi, presi la giacca e una mezza bottiglia di rosso ancora buono, il prossimo passo, quello successivo, aprivi gli occhi, una camera buia e sconosciuta, provavi a non pensarci al modo in cui ci eri arrivato, il sapore del sangue in bocca non era un buon segno, come il tuo polso destro, ancora legato al bordo del letto, ormai insensibile, qualcosa era successo e non si poteva far finta di niente, l’altro commetteva crimini in tuo nome, rubava, comprava e vendeva sostanze, si inchinava davanti ai suoi piedi, l’altro camminava nudo per le stanze e decideva rituali, quando vennero a chiederti chi avesse compiuto quelle azioni non avevi risposte da dare, perché non ricordavi, non potevi ricordare, rimanevi in silenzio, confuso, poi le domande terminavano, poi ce ne erano di nuove, la lampada puntata sul tuo volto, il sudore, l’odore stantio delle sigarette fumate da bocche deformi, parole su parole, hai inventato personaggi e possibilità, vicoli ciechi, improvvise conclusioni, alibi come trappole mentali, azioni che non portavano da nessuna parte, serie infinite di ripetizioni, poi di nuovo le strade, qualcuno ti aveva fatto uscire, i travestimenti, le false identità, le rughe sul volto, le età in cui nascondersi, c’era un uomo con una lunga barba e un cappello di lana logoro, mormorava lentamente, in una conversazione privata con sé stesso, troppo articolata questa farsa per darle ancora peso e importanza, il trucco l’avevo capito in ritardo, la scrittrice si calava il cappuccio della felpa sugli occhi e si addormentava sul divano. C’erano voci che solo nei sogni potevano ancora avere un senso.

martedì 21 marzo 2017

Bryn Rhyg #7



I dialoghi del risveglio, recitati sulle assi di una mansarda, su un materasso, il rumore dei passi che scendono le scale, lo scrittore ancora addormentato sul divano dove ha passato la notte, una mascherina nera sugli occhi, perché la luce non crei illusioni e ci siano solo le forme di una mente disconnessa dai pensieri, nessuna struttura verbale a costruire le architetture di città di parole e frasi, ci sono voci e la loro percezione è solamente sonora perché il disinteresse protegge lo scrittore dall’ambiguità dei significati, da un passato di echi perduti e lei che esce dalla sauna e saluta lo scrittore e lui ricambia con un cenno del capo e la osserva allontanarsi, perché sembrava che non ci fossero altre possibilità per il suo cuore se non quelle di abbandonarsi a se stesso, sarebbero arrivati di nuovo i colpi sordi e il dolore? Altre parole tenute in gola, altre immagini di una vita che forse qualcuno stava continuando a portare avanti a mia insaputa, l’amore a cui abbiamo rinunciato, la felicità che i giorni hanno cacciato via, una bambina che non sarebbe mai stata mia figlia, perché sapevi che tutti i baci di questo mondo non sarebbero bastati, le mattine in cui ho scritto poesie solo per me, perché ci fosse ancora una voce a ricordarmi che non bisognava mai smettere di lasciare le cose nel luogo in cui le avevamo trovate, tutte le emozioni che non ti confiderò più, a ricominciare ogni cosa dall’inizio ci vuole coraggio, ad ammirare la bellezza di ogni attimo c’è solo il silenzio ad accompagnarci.

lunedì 20 marzo 2017

Orgiva #1

Nuove superfici, l’acqua immobile di una piscina, i tagli diagonali della luce, il prisma della realtà, il cemento e la terra brulla, gli stessi colori, volumi geometrici aridi e spaventosi. Le ombre disegnate sulle strade, gli zingari seduti sotto le insegne di edifici decrepiti e abbandonati, le distese marine osservate in volo, ferme e brillanti come in uno scatto fotografico. Gin e acqua tonica in un bicchiere di plastica, i pensieri al rallentatore, qualcuno osservava i processi mentali e gli occhi azzurri di una donna, un uomo parlava da solo ad un tavolino. I panetti di hashish provenienti dal Marocco, i racconti di Tangeri, seduti a bere tè alla menta, gli odori del mercato, le facciate bianche delle case, le ringhiere di ferro arrugginito di terrazzi immaginari. Le sfumature delle sera, il calore della sabbia che affondava nei ricordi, qualcuno chiedeva se la nostalgia fosse un sentimento reale, c’erano profumi a descriverla e notti e attese e tutto quello che ci siamo lasciati dietro: nomi, volti, impressioni. Alziamo gli occhi al cielo, le stelle e la luna, le stanze dei sogni, le ultime parole sussurrate, lingue sconosciute, le strade che abbiamo abbandonato solo per impararci a camminare.


venerdì 17 marzo 2017

Dimenticando Varsavia (2009)


La neve che ricopriva le strade, i fuochi nei bidoni, i cani che fiutavano l’aria. Intrappolati dentro cappotti troppo grandi i bambini scappavano dall’orrore, i loro occhi avrebbero visto l’abisso, la morte e la follia che si contendevano il declino della razza umana. La notte di Norimberga. Le braccia tese. Piramidi di luce e libri in fiamme. Oceaniche adunate. Lo sciamano che galvanizza le folle. I gesti, il delirio, la voce roca. La massa e il corpo. Il saluto. I tumulti del cuore.

In un bordello poco lontano dalla stazione avevo conosciuto puttane di tutte le età, alcune molto giovani, bellissime, dai capelli color del grano, dagli occhi di pura acqua. Cercavo protezione nei loro corpi, sotto la loro pelle, nelle profondità del loro essere. Mi sentivo a casa tra le loro braccia.

I vortici di neve, il vento che penetrava le ciglia, gli squarci d’amore tra le fitte nebbie, l’odore del ferro battuto, i rumori delle esplosioni in lontananza, la campagna grigia, la sterminata vastità dell’universo, la quiete del marmo funebre, gli angeli immobili, la grazia delle ballerine, i bicchieri d’assenzio, una Venere in pelliccia, le fruste e i tacchi, il pallore di una bambina, il carbone finito, lo scricchiolio del legno, i fiori calpestati dai soldati, un cappotto rosso, le pire funerarie, l'odore della carne bruciata, l’abominio senza nome.

La guardavo salire le scale con il suo prossimo cliente. Si girò per un attimo e mi sorrise.


L’amore andava dimenticato.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...