giovedì 30 marzo 2023

London #12

 David era tornato da uno dei suoi viaggi misteriosi e mi aveva riportato due ovuli  di plastica rossi pieni di mdma in polvere - C’erano grandi stanze dalle pareti bianche in cui aspettavo che arrivasse qualcuno e quelle ormai silenziose della casa di mia madre e i pezzi della mia vita andata che continuavano a cadere senza fare troppo rumore e sapevo che mai sarebbero potuti ritornare nella loro posizione originale, rimanevano i ricordi, certo, di quello che ero stato e di quello che avevo solo immaginato e in questa lotta di proiezioni e desideri proibiti, di nostalgia e fughe e sconfitte la mia ombra continuava a muoversi e a ribellarsi - Sapevo che c’era una spinta, un’onda, un cammino che ancora mi stava chiamando affinché lo seguissi, affinché seguissi quei passi che ritenevo invisibili anche se erano i miei, che momento dopo momento apparivano e svanivano davanti al mio sguardo - Avrei anche potuto rimanermene fermo e forse sarebbe stata la scelta migliore e questo viaggio sarebbe continuato solo al mio interno, nell’immaginazione dell’anima, nel mondo dei sogni, in ogni presente mai esistito e così perdutamente reale - Ancora barconi lungo i margini del canale e l’odore della legna bruciata e del carbone e l’inverno e gli alberi spogli e le storie che le donne continuavano a raccontarsi in cucina, la mattina, prima che i bambini si svegliassero e un altro giorno di frenetica dolcezza iniziasse, donne con le loro storie di amori e sconfitte, di padri scomparsi, storie che si ripetevano, relazione sbagliata dopo relazione sbagliata - Le nuove dipendenze tecnologiche, studiate e applicate, perché la gabbia fosse invisibile e ci rinchiudesse tutti quanti, nuove crisi di astinenza elettronica, pulsanti e pulsioni represse, distorsioni visive delle proprie immagini riflesse, avatar allucinati e ataviche funzioni del nostro cervello sfruttate e sfrattate dalla scatola cranica, sfrontate strategie di consumo futuristico in cui non ci saranno più differenze fra il prodotto e colui costretto a pagarlo e assimilarlo e espellerlo sotto forme di feci feticistiche del mercato, ancora studi, ancora nudi, ancora diagrammi, un vortice senza uscita di psicosi collettive, poi la vecchiaia e qualcuno imprigionato come un sudicio eremita nel proprio appartamento labirintico, per scrivere un saggio critico sul rapporto fra i sogni e il cinema e ancora un ritorno mentale nei luoghi che avrei voluto far scomparire una volta per tutte dai fotogrammi del mio passato - Definizioni ostili di tutto ciò che non è altro che un’oscena illusione, scrittori alcolizzati, donne sudamericane strafatte di cocaina attaccate al telefono dalle prime ore della mattina, troppa confusione, troppe parole, il rifugio del silenzio di una fredda e oscura notte, il riparo delle lenzuola, quello del tuo corpo, non sappiamo chi siamo fino a quando non incontreremo l’altro o noi stessi o chi avremo potuto essere e non siamo stati.

sabato 18 marzo 2023

London #11

 Deformazioni urbane e spazi aperti in cui sarebbero sorti centri di piacere per ricchi oligarchi, appartamenti completamente circondati da vetrate da cui osservare, immaginare, accedere a potenti visioni del futuro, una lotta fra cemento e metallo nella ricerca dell’estasi architettonica, dell’equilibrio perfetto di forme e volumi - Il vuoto apriva voragini nella terra, dove venivano posate le fondamenta di ciò che non sarebbe mai stato, anche se visibile a tutti una volta costruito, rimanevano i musei, la TATE gallery, dove perdersi in dimensioni proprie e altre, facilitati dalle mani e dalle menti degli artisti: quadri, fotografie, dipinti e installazioni - Sovvertivamo l’ordine e bestemmiavamo i comandamenti del consumo per inoltrarci in un territorio liberato dalle pubblicità e dalla presenza ossessiva delle merci, boicottavamo il denaro e ogni cosa esso era in grado di comprare o creare, avremmo distrutto le opere del capitale per sostituirle con un’estetica dell’ozio e della fantasia e di qualunque altra cosa non avesse un valore economico e proprio per questo infinitamente unica e preziosa - Ci siamo fermati a bere un caffè nel mercato coperto di Brixton, io e Sara e c’erano ancora vecchi rasta jamaicani appoggiati alle pareti dei palazzi in rovina e la musica reggae che usciva fuori dalle casse di qualche negozio nascosto di vinili usati, le scie degli odori, delle spezie, dei cibi cucinati e tutte le direzioni che avremmo potuto seguire e anche quelle che sarebbe stato meglio dimenticare e le case sporche, le strade sudicie, eppure era solo in questi luoghi che la vita mi sembrava più splendente, pulsante, era qui che le sue vibrazioni erano più forti, potenti e luminose - La miseria sarebbe stata pronta ad abbracciarmi in qualunque momento, un vagabondo era ad occhi chiusi nella sala centrale della TATE, immobile nei suoi vestiti lerci e strappati, mentre ascoltava il rumore ipnotico dei suoni atavici di una foresta primitiva, queste forme di comunicazione ancestrale ci trasportavano in scenari mentali trascendentali, nei quali i nostri avatar si muovevano inconsapevoli di chi fosse l’originale e chi soltanto una copia, una proiezione, un simulacro agonizzante - Underground, tunnel psichici del sottosuolo, cunicoli di possibilità smarrite, migliaia di volti, migliaia di vite, sguardi incrociati per frazioni di secondi irripetibili, il film della mente e quello della memoria in costante evoluzione: riprendere, montare, proiettare, vedere - tutto nello stesso istante - Mark mi parlava ancora nei sogni del suo cinema nascosto, delle cerimonie filmiche, dell’estasi di bizzarre visioni psichedeliche - La follia di porsi fuori da se stessi, nei pensieri di un altro simile a noi, vedendosi impazzire lentamente - Un sogno all’interno di un sogno, la morte che ci attende perché da sempre siamo stati destinati ad incontrarla e abbracciarla, l’ultima seduzione, la misteriosa fine che da qualche parte ci sta chiamando, perché le porte si schiudano e la luce dietro di esse ci avvolga - Che la festa abbia inizio, gridò un uomo barbuto passandomi una mezza plastica di acido - La gloria degli uomini in terra non è altro che uno scherzo crudele. 

martedì 14 marzo 2023

London #10

Scrivere frammenti, frammentare la scrittura. 

Tristan era venuto a trovare Sara, adesso che stavamo in Kettlebaston Road, nella casa di una sua amica e avevamo parlato per tutto il pomeriggio e la sera, fumando erba e aprendo porte sui nostri mondi interiori, socchiudendo gli spiragli del passato, le immagini dei ricordi in comune di Sara e Tristan, la settimana che avevano passato al Boom Festival in Portogallo, le bancarelle, le pasticche e le risate - Grigio e pioggia e le passeggiate lungo Brick Lane, i ristoranti bengalesi, i vestiti orientali, gli odori delle spezie e quelli di un’umanità in continuo movimento, uomini e donne che si mischiavano, riproducendosi, portando avanti tradizioni e sperimentando nuove possibilità - Camminavamo verso Liverpool Street, dove cominciavano ad ergersi i palazzi del futuro della City, come se tutto quello che avevamo intorno non fosse altro che una proiezione oleografica delle strategie visive del capitalismo e del denaro, gli architetti dell’ultimo millennio venivano pagati per dare forma alle allucinazioni geometriche di ricchi oligarchi del consumo, piani su piani, torri e piramidi, chi  sarebbe arrivato più in alto? Il vincitore credeva davvero di avvicinarsi così alle nostre finte divinità? Di essere, forse, una di quelle divinità? 

Saremmo arrivati ad un punto in cui non avremmo più potuto distinguere la differenza fra la realtà e la sua duplicazione in immagini trascendentali e tridimensionali, avremmo avuto schermi così grandi, con una definizione tanto alta che sarebbero diventati essi stessi la manifestazione subliminale del mondo, il fenomeno oltre lo sguardo e di noi uomini, fra i lucenti margini di questa visione, cosa sarebbe rimasto? Come saremmo stati capaci di separare la falsificazione digitale dall’inganno di quanto quotidianamente osservavamo?

Durante la notte le sagome degli edifici di vetro e metallo mettevano paura, soprattutto quelle dei palazzi incompiuti, i cui scheletri di cemento si ergevano come cadaveri metropolitani in attesa di prendere vita, c’erano una enormità di luci tutte intorno e in alto, una verticalità di fonti di illuminazione che ci davano l’ennesima illusione di un futuro che fosse il presente o viceversa, il tempo era stato annientato e con esso il nostro stesso destino, sempre ammesso che ne avessimo mai avuto uno e che ogni non giorno non fosse stato altro che l’ipnotica ripetizione di quelli che lo avevano preceduto.

Ci siamo fermati a bere un paio di pinte in un Wetherspoon, io e Sara e lei mi raccontava della sua vita a Londra, di cosa faceva, dei luoghi che visitava e i ricordi come sempre prendevano una forma nella mente dello scrittore e divenivano parti fluttuanti di una storia che in un momento imprecisato sarebbe poi stata raccontata - Tristan parlava del padre e dei rapporti con la sua famiglia e di villaggi utopistici in India in cui ciascuno avrebbe potuto realizzare le sue piene potenzialità e corsi di meditazione e cerimonie sciamaniche e un uomo che si guadagnava da vivere con un metal detector cercando gioielli smarriti nelle spiagge dove i ricchi magnati russi passavano le loro ore, dimenticandosi bracciali, anelli e collane sotto la sabbia - E le molte esistenze che i più coraggiosi sapevano scegliersi e anche quelle che i più folli, suggeriva lo scrittore, sapevano immaginarsi e un abbraccio, al mattino, sotto le lenzuola, dove avrei voluto rimanere stretto a te per gli anni a venire - Un altro secondo, un brivido, una carezza, un bacio, un sorriso, un gesto d’amore, un fremito della carne, un palpito del cuore, un ennesimo momento smarrito che al risveglio non saprò più come chiamare.

sabato 4 marzo 2023

London #9

 C’erano case in cui lo scrittore aveva vissuto e mattine grigie in cui l’alba non era stata altro che un pallido vagito di luce e gesti e azioni che richiedevano la dovuta lentezza - Alzarsi, accendere la stufa, mettere l’acqua a bollire, preparare il caffè, aprire il quaderno, iniziare a scrivere - C’erano stati luoghi in cui ero potuto essere un altro, qualcuno diverso da me, un estraneo così vicino alla mia reale essenza che poteva immaginarsi la mia vita negli spazi fra i respiri, nel silenzio,  quando mi trovavo così sicuro al loro interno, chiudendo gli occhi, lasciando i pensieri svanire e le emozioni passare.

Mattine invernali, il fumo che esce a sbuffi sopra i tetti, le strade vuote e gli echi di natali scomparsi, quando ero ancora un bambino, i regali da scartare sotto l’albero, quella semplice gioia, i pranzi in famiglia, quel senso di protezione, i giochi con le carte, la tombola, le immagini di volti familiari che cominciavano a sfuocarsi, a perdersi lungo i margini di quelle strade che avevo dovuto percorrere per allontanarmi da loro e fuggire, per vagare e perdermi, di stazione in stazione, in un meraviglioso viaggio in cui avevo lasciato libera la mia fantasia di modellare e trasformare il presente seguendo le logiche misteriose dei sogni o quelle liriche del cuore, dei romanzi, dei film, delle poesie. 

Avevo scritto una storia unica, personale, svogliata e struggente, di cui ero stato il protagonista, l’autore e il lettore, in uno scambio costante di ruoli e posizioni, nell’affascinante ricerca di spazi intimi, interiori, in cui rifugiarsi e barricarsi, tentando così di difendere la propria esistenza dalla barbarie del consumismo e dell’omologazione, sapendo bene che la sconfitta sarebbe stata il traguardo, l’unica e gloriosa vittoria ancora possibile.

Lente passeggiate lungo i canali, a guardare i barconi fermi sulle sponde, inventando situazioni letterarie, vagheggiando sulle intuizioni narrative che ogni imbarcazione offriva, l’odore del carbone, l’acqua immobile e sporca, il volo improvviso di alcuni uccelli e oltre le chiome degli alberi si intravedevano le prime sagome degli edifici del futuro, architetture che trasformavano i miei pensieri in una continua proiezione lisergica, scattavo foto in bianco e nero affinché quelle geometrie del subconscio non si sciogliessero nel pattume di idee ripetute e inutili e poi c’erano i parchi in cui la mente e le gambe potevano riposarsi e gli alberi mi accoglievano di nuovo con la loro pacata benevolenza e così i ricordi arrivavano e la memoria diventava il presente e questo preciso momento non aveva più una posizione chiara, perché sarebbe potuto solo essere un immaginario punto di un disegno (o uno scherzo) infinito, incomprensibile, insulso e incompiuto.

Alcune linee erano state spezzate e dei progetti originali non rimaneva che un’astratta e malinconica composizione, solo così l’arte era libera di esprimersi e la materia della vita stessa diventare malleabile e modellabile a nostro piacimento o contro la nostra volontà, i recinti erano stati distrutti e i confini cancellati e c’erano vele alzate in giornate senza vento, quando era solo l’illusione di muoversi a mandarci avanti. 

E ancora il mio volto riflesso in uno specchio in un tenue chiaroscuro e oltre la cornice che racchiude ogni nostra immagine i muri e gli oggetti di appartamenti in cui altre persone vivono e poi scompaiono, perché questo è il nostro destino. Pregavamo spesso affinché tutto ciò finisse e quando sarebbe arrivato il momento di andarsene, avremmo solo voluto un attimo in più. Meglio prepararsi da subito ed essere pronti a lasciare ogni cosa, nella luce che ci avvolge nulla è mai esistito. 

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...