giovedì 28 settembre 2017

Liberty Caps #1

Iniziava con i respiri e una sensazione di leggerezza, il corpo diveniva fluido e le sue forme erano come colori che si mischiavano fra di loro, c’era una presenza nel tuo cuore, qualcuno che avevi amato e che adesso era lì con te, in ogni singolo movimento dei polmoni e se aprivi gli occhi le prospettive della stanza cominciavano a modificarsi, le linee delle pareti non erano più così dritte e gli angoli sembravano gonfiarsi e restringersi, le tende emanavano una luce propria mentre le coperte e i cuscini respiravano come strani animali raggomitolati, sotto le lenzuola potevi scorgere  le stesse profondità della terra, le radici che la attraversavano, eri un essere letargico, in cerca di calore e se chiudevi le palpebre le immagini si trasformavano seguendo il susseguirsi della musica, c’era qualcosa di femmineo nei tuoi pensieri, ormai solo proiezioni della mente senza più nessuna parola o linguaggio verbale, la sensazione di essere accarezzati e svanire in quel contatto, osservavi le tue mani ed erano improvvisamente invecchiate e la pelle era lucida, come fosse di cera, in alcuni momenti era come le esperienze che la febbre portava con sé, quello scorrere disordinato di eventi e figure psichiche, teatri del delirio colmi di grotteschi personaggi, davi ascolto alle loro voci solo per dimenticartene un istante dopo, la realtà che adesso si mostrava in una nuova e malleabile consistenza era identica a quella dei sogni, cambiamenti indotti dall’ingerire una discreta quantità di funghi psilocibinici, ne aveva contati più di trenta sul palmo della mano, il loro sapore amaro, di radici e foglie morte, il loro potere, la loro saggezza.
Porte aperte sul passato, madri, sorelle, amanti e amiche, ognuna di loro seduta nella penombra della memoria, ognuna meravigliosa e in silenzio.
I giorni in cui le hai amate, quelli in cui le hai perdute.


mercoledì 27 settembre 2017

Senza titolo (2008)


mentre il prete parla di dio
vedo solo una bara chiusa
circondata da corone di fiori

mentre il prete parla del Grande Mistero
e della Gioia Eterna
io penso al Banchetto Dei Vermi
alla Terra Umida
e al Grande Silenzio

...

mi ricordo quando ero bambino
e andavo a messa,
forse una delle prime volte,
ero con tutta la mia classe e
ascoltavo il prete che parlava

arrivati alla comunione mi ero concentrato sui suoi
gesti
mi avevano spiegato che nel momento in cui
l’ostia veniva spezzata gesù cristo sarebbe
diventato una sola cosa con essa

il corpo di cristo.

il prete spezzò l’ostia. io guardai attentamente.

non successe nulla.

rimasi deluso.

...

adesso è solo questo vuoto che hai lasciato.
il dolore lo sento prendere forma nello stomaco.
è caldo, denso, pulsante.

avevo le gambe molli stamattina mentre stavo venendo al tuo funerale.

ho aspettato che entrassero tutti.
poi mi sono sistemato in piedi, distante, in fondo alla chiesa.

ho ascoltato tutte le stronzate del prete, con coraggio, bestemmiando in silenzio, dentro di me.

poi la messa è finita e hanno caricato la tua bara sulla macchina.

...

tua figlia è uscita dalla chiesa, me ne stavo in disparte, il dolore altrui merita il rispetto e un grande pudore.

lei mi ha visto.

mi è venuta incontro.

non sapevo cosa dire.

ci siamo abbracciati.

forte.

lei mi ha dato un bacio sul collo.

e ho sentito le sue lacrime.

erano calde.

come il suo corpo.

l’ho stretta più forte.

è tutto quello che ho saputo fare.






lunedì 25 settembre 2017

dream #75

Sono inginocchiato sul pavimento, nudo, allungo le braccia davanti a me fino a toccarlo con la fronte, ho gli occhi chiusi, respiro lentamente, lei è in un’altra stanza, la sento arrivare, il rumore dei tacchi sul pavimento, entra e si ferma davanti alla mia testa. Poi ci poggia sopra la suola di uno dei suoi stivali mentre fa scivolare l’altro davanti alla mia bocca, inizio a baciarlo, poi a leccarlo. Mi arrivano un paio di frustate sulle natiche, muovo la lingua più velocemente, sento le palle che si gonfiano, lei si allontana di qualche passo e lascia cadere qualcosa sul pavimento, poi esce e  va in un’altra stanza. Alzo la testa e vedo un pezzo di corda, lo prendo e mi ci lego i coglioni e il cazzo, poi mi rimetto nella posizione precedente. Dopo alcuni minuti lei torna, mi fa alzare, rimango con gli occhi chiusi, mi mette una mascherina nera in modo che non possa vederla, sento la sua presenza accanto alla mia, l’energia che fluisce, mi attacca delle pinzette ai capezzoli, poi tira la catenella che le unisce e io inizio a seguirla, ho il cazzo duro. Lei mi lega i polsi e le caviglie a un muro, poi tira la catenella e con il frustino inizia a colpirmi la cappella – qualcuno mi sta parlando nella cucina di un ristorante, dicendomi che non dovrei scrivere queste cose – c’è Barbara in una stanza illuminata da poche candele, le ombre si muri, sembra così triste e sola – è successo qualcosa nel posto dove vivo, c’è stata una specie di rivoluzione, alcune persone sono scappate mentre altre hanno preso potere, chi è fuggito si è dovuto nascondere, c’è un senso di paura e angoscia fra la gente – un ragazzo arabo mi offre di mangiare con lui, cerca di accendere delle braci in una vaschetta di alluminio, per cuocerci sopra della carne, osservo la fiamma dell’accendino, poi il suo sguardo – sale buio e il timore di essere scoperto e trovato – lei mi fa scendere delle scale, sono nudo e bendato, la sua presenza è confortevole, poi entriamo in una porta, mi toglie la mascherina dagli occhi, la guardo, non voglio sapere nulla di te, del tuo passato, mi dice, dobbiamo solo dimenticare chi siamo stati e non pensarci mai più, la seguo in un’altra stanza, lei mi infila degli anelli di metallo intorno al cazzo, poi si siede su una sedia, accavalla le gambe, qualcuno entra e si ferma dietro di me, le unghie intorno ai capezzoli, un respiro nell’orecchio, le punte dei seni contro la mia schiena, in ginocchio, sussurra una voce.


giovedì 21 settembre 2017

Llanidloes #5


Warren aveva una lista in mano, con nomi, ossessioni e dipendenze di ognuno di noi ed era domenica pomeriggio e alcuni erano già seduti nell’Old Mill, intorno a lui, a bere pinte di birra e aspettare di essere chiamati. Si trascinavano gli effetti delle sostanze, lungo le ore, trasformando le notti in giorni e cambiando forme e dimensioni al tempo, una superficie allungata e malleabile con le impronte delle dita di diverse mani sopra, proprio in quei punti in cui ognuno aveva cercato di afferrarla con l’illusione di possedere almeno un attimo di gioia. Sarebbero poi arrivati all’alba, gli uomini in divisa, a controllare chi fosse stato felice e chi no, bisognava stare attenti e ci si nascondeva dentro stanze calde e confortevoli, con una moquette marroncina sul pavimento e delle donne che ballavano, da sole, in uno spazio personale e femminile, i loro corpi scivolavano su tappetti di note e i piedi si posavano leggeri perché sapevano che nessuno sarebbe venuto a disturbarli, i nostri occhi che li guardavano, perché quei movimenti diventavano immagini e la musica inventava nuove direzioni da seguire e le strade che attraversavano le colline e i campi e che irradiavano sfumature smeraldine e le discussioni alcoliche in cucina quando finalmente si trovava il coraggio per esprimere i propri sentimenti nascosti, c’erano ancora camere oscure nella psiche e qualcuno che ci si rifugiava per giocare con le ombre, le candele in una scatola di legno, Warren prendeva appunti, al di là dello specchio, prima che i ricordi si deformassero e la memoria costruisse versioni diverse e finali alternativi, il foglio passava di mano in mano e altri uomini in camice bianco lasciavano dei piccoli segni, delle brevi note al margine, interi schedari e scaffali nelle sale impolverate e anziane segretarie che spingevano carrelli lungo grigi corridoi, uno sguardo sul mare e sui colori che il pittore non riusciva più a riprodurre su una tela, sbarre e bisogni ed errori, le linee giallastre delle gabbie, quelle appena accennate degli ambienti, colate di toni oscuri e densi, il lago era immobile e il suo riflesso puro, una nuova pagina su cui appuntare le proprie debolezze, i ghigni negli angoli, la pioggia sul parabrezza della macchina, un parcheggio deserto, l’insegna accesa in una finestra di un hotel in un giorno d’inverno, Warren conta le gocce che cadono in un bicchiere, poi si siede, osservando il vuoto e ascoltandone le voci.

lunedì 18 settembre 2017

Nant y Garreg #3

Continuavano ad arrivare telefonate da Birmingham a cui non rispondevo e messaggi da parte di Brian, poche parole confuse e paranoiche, sembrava che avesse dei problemi con il suo compagno, un vecchio cliente che gli aveva chiesto di vivere con lui e uscire dal giro, non avevo voglia di sentire le sue stronzate, i down dell’emmedi erano tremendi e Brian ne aveva sempre una bustina piena mentre scambiava languidi sguardi con i ragazzi dei party, in attesa che qualcuno glielo mettesse nel culo o si facesse succhiare il cazzo. L’avevo conosciuto anni prima, non ricordavo bene dove, non sapevo neanche se la nostra fosse un’amicizia, però ci eravamo iniziati a raccontare delle cose e mi trovavo bene a parlare con lui, quando eravamo da soli, seduti da qualche parte e potevamo posare le maschere che ci proteggevano su un tavolino ed essere sinceri e scendere in profondità e vedere dove saremmo arrivati. Passavo le giornate chiuso in casa, su un divano, scrivendo e correggendo vecchi racconti, lavoravo a un nuovo romanzo e fuori dalla finestra era tutto grigio e silenzioso, un mondo sospeso dove non appariva nessuno. Facevo delle brevi passeggiate, ogni tanto, giusto per liberare la mente dalle troppe parole, tornavo a casa, preparavo un tè e aspettavo che Bea tornasse, poi ci nascondevamo sotto le coperte, nel nostro mondo privato, scopavamo ed era bello, poi l’abbracciavo e sentivo il suo respiro e i minuti svanivano e anche il mio corpo, galleggiavo in una quiete di pensieri ed emozioni, un vuoto accogliente, una realtà diversa, così umana ed eterna. Bevevamo del vino, alcune sere, seduti sul divano, venivano dei suoi amici a trovarla, mi limitavo ad ascoltare, non avevo molta voglia di parlare, bevevo lentamente, facevo qualche tiro di canna, osservavo gli altri, prendevo appunti mentali, scivolavo, sorridevo, mi alzavo per andare a prendere un’altra bottiglia, il telefono da una parte, i messaggi e le chiamate perse, c’era una vita che voleva avermi indietro, persone che reclamavano la mia presenza, l’avevo fatta finita con quei volti e i loro discorsi, poggio la testa sulla sua spalla, qualcuno accende una sigaretta, il posacenere pieno sul tavolino, i giorni e il passato come polvere d’argento fra le dita.



freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...