domenica 29 gennaio 2012

Tangeri



In un mercato di Tangeri, una mattina di sole e cielo azzurro brillante, tra il vociare dei venditori, in un intrico di banchi, attraverso scie di odori pungenti, una anziana donna camminava, lentamente, con una borsa a tracolla. La borsa era di un colore caldo, quello della sabbia e delle fiancate dei palazzi d’argilla all’ora del tramonto. La donna aveva un bastone di legno, nodoso e antico. La sua vista non era più buona come una volta, ma certi esseri non hanno bisogno degli occhi per guardare quello che li circonda. La donna camminava e le voci diventavano sempre più intense come gli odori che tracciavano percorsi invisibili.

Hussein era seduto su un tappeto, all’interno di un locale poco affollato. Una musica senza tempo vibrava nella stanza. Fumava hashish e beveva tè alla menta.

L’ombra dell’anziana donna era seguita da un’altra ombra. Quella di un uomo con una tunica bianca e dei sandali ai piedi. In testa aveva uno strano copricapo, che tribù ormai dimenticate riservavano agli uomini che possedevano arcaici poteri.

La storia delle terre e del deserto, del linguaggio del vento e delle dune. Il silenzio e il fuoco di un accampamento che ardeva sotto le stelle.

Hussein aspirava lente boccate di fumo e pensava a donne dai piedi nudi, danzatrici nascoste da veli, l’odore del loro corpo sudato. Ebbe un’erezione.

L’anziana donna passò sotto un arco e si allontanò dal mercato, il vociare divenne sempre più lontano e l’aria assunse il sapore di speziate essenze.

Un’ombra continuava a seguirla.

L’ombra si fece più vicina, anche se ormai era impossibile capirne l’origine. Tra i stretti vicoli che si disperdevano ignoti tra i palazzi d’argilla, l’ombra assalì la donna, strappandole la borsa che portava a tracolla. L’anziana donna si fermò, per un attimo, come smarrita. Odorò intensamente l’aria che aveva intorno senza dire una parola.

Hussein si alzò dal suo tappeto e si avvicinò al proprietario del locale, gli chiese la chiave, lui lo guardò senza molto interesse, riconoscendo la luce dei suoi occhi e gli diede la chiave. Hussein la prese e scostando una tenda, alle spalle del proprietario del locale, passò in una stanza scura dove si poteva intravedere una porta rossa. Hussein infilò la chiave nella serratura e aprì la porta.

L’ombra si mosse tanto velocemente che il labirinto di vicoli perse il senso delle sue azioni. L’ombra ritrovò l’uomo all’interno di una stanza, dentro un palazzo d’argilla. La stanza era spoglia, un tappeto sul suolo di terra e l’odore del deserto sparso tra le pareti.

La donna rimase in piedi, appoggiata al suo bastone. Pronunciò antiche parole, come in una litania senza tempo.

L’uomo aprì la borsa. Un serpente saettò veloce fuori e lo morse sul braccio, dove la carne diventa un palmo e il palmo una mano. Dove le dita sono come l’estuario di un fiume ormai secco e senza acqua. L’uomo gridò, ma nessuno poté ascoltarlo. Cercò di alzarsi. Ma le pareti iniziarono a girare intorno a  lui e i colori a farsi sempre più scuri. Fu notte, senza la speranza di nessuna alba.

Hussein entrò nella stanza e i veli iniziarono ad animarsi. Si ritrovò nudo, con una erezione potente, sentiva pulsare il suo cazzo. I veli danzarono intorno al suo corpo, strofinandosi sul suo cazzo. Sentiva odori misteriosi arrivargli dentro il cervello. Le voci sussurravano, melodiose e calde. Il suo cazzo esplose in scintille d’argento.

L’anziana donna continuò il suo cammino, appoggiata al bastone, sopra di lei, tra i tetti dei palazzi d’argilla, il cielo regnava, luminoso e splendente.

martedì 10 gennaio 2012

senza titolo

passeggiavamo vicini
e lei disegnava fiori
sulla sabbia,
danzando nell'aria,
i suoi occhi
erano sorrisi luminosi


il mare scivolava dolce
tra una moltitudine di scintille
le ombre dei palazzi
erano giochi di bambini


prima di addormentarsi
stretti in corpi di sogno
la notte arrivava
tra sussurri e attese


in lontananza
mondi perduti
ed echi di parole
non ancora pronunciate

giovedì 5 gennaio 2012

Nicotina



L’uomo era seduto a metà dell’autobus, vicino ad una signora che leggeva un libro di poco valore. L’uomo teneva una sigaretta finta in mano, una di quelle che servivano a smettere di fumare. E aveva l’aria stanca. Aveva l’aria di un cocainomane che è rimasto senza la sua polvere. E attende. E si sente senza energia. E senza stimoli. E la vita gli appare piatta. E senza significato. E tirava boccate di nulla dalla sua sigaretta finta. E un modo per torturarlo sarebbe stato quello di avvicinarsi, con un pacchetto di sigarette appena aperto e fargli odorare una bella marlboro rossa.

La donna guardava il suo uomo seduto e gli lanciava occhiate che esprimevano un misto di tristezza e supplica. Quella di avvicinarsi. A lei e ai loro figli. Un bambino e una bambina. Che intanto si muovevano per l’autobus, si alzavano e si sedevano e ogni tanto lanciavano occhiate al loro padre con la speranza di una risposta, di un cenno, di una emozione. Ma l’uomo era troppo stanco e il suo stomaco sporgente (che si vedeva anche se era seduto) raccontava una storia alcolica fatta di migliaia di birre. I suoi occhi non tradivano la minima felicità, c’era solo stanchezza. E attesa. Di qualcosa che non sarebbe mai venuto. I soldi per la coca non c’erano perché i figli prendevano tutto il suo stipendio. Come non ci sarebbe stata nessuna sigaretta, una volta sceso dall’autobus. Solo squallide tirate di un fumo finto e senza sapore.

La donna prese il suo cellulare e iniziò a giocarci. O forse mandava messaggi ad un altro uomo con l’illusone che l’amore o una semplice emozione tornassero a fare parte della sua vita. Le altre persone sembravano distanti, chiuse nei loro piccoli mondi di merda.

Lo scrittore guardava, aspettando che la psilocibina iniziasse a fare effetto.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...