venerdì 20 settembre 2019

Bryn y Blodau #7

Le persone venivano, si fermavano e poi scomparivano, Samara, i figli, l’ombra di Steven, gli amici, tanto che avevo iniziato a chiedermi se tutti loro non fossero altro che personaggi inventati dall’immaginazione dello scrittore, lui era sempre accanto a me, seduto poco distante, silenzioso, a osservare e prendere appunti. 
La natura tornava a germogliare, si trasformava, diventava giorno dopo giorno più ricca e complessa, nelle forme e nelle loro manifestazioni di luce e colori, pioveva, c’era il sole, le gemme cominciavano a dischiudersi e i rami spezzati si lasciavano morire, le storie narrate nei sogni, quelle nei libri, la casarotonda da sistemare quotidianamente, i giochi dei corpi, quelli dei bambini, le maschere da indossare e poi buttare via, una messinscena dopo l’altra, le assi di legno del palco, i punti di vista sferici sulla circonferenza di un teatro di improvvisazione totale, in cui era la vita stessa ad essere protagonista, con la sua frenesia, le pause, gli atti d’amore e rabbia, quelli di violenza, i gesti di tenerezza, la compassione per gli altri, mi muovevo ancora in bilico fra di loro, la porta del cuore appena socchiusa, giusto quel poco, perché i bagliori del dolore illuminassero ancora i miei sentimenti e poi le maree dei ricordi, gli sguardi, le parole dimenticate, le emozioni, superfici soffuse di vana consapevolezza, l’importante non era capirle ma sapere scivolare su queste onde di improvvisa rassegnazione, arrendersi ad esse, accettarle, farsi attraversare, ridisegnare con le sfumature dell’infanzia tutti gli inganni che gli adulti ci avevano insegnato, stavo per compiere quaranta anni senza avere nessuna idea di dove mi sarei trovato domani, sapevo ancora accarezzare le linee del tuo viso, quelle di quando sei stata ragazza, quelle di quando invecchierai, gli anni che le hanno tracciate, qui e ora, in questo preciso istante ci sono rughe di malinconia e increspature di gioia sul tuo volto, sapevo ancora perdermi nei tuoi capelli, nei tuoi occhi, in quello che racchiudevano e sapevano mostrarmi, nelle lacrime, nei sorrisi, nei giorni che svaniscono e trasformano il nostro passare in bellezza.

giovedì 19 settembre 2019

Bryn y Blodau #6

Buie sale cinematografiche del passato, i volti decrepiti di attori dimenticati, il fumo delle sigarette turche in spirali orientali attraverso il cono di luce di un proiettore oppiaceo, qualcuno mi passa una canna, poi una lettera a cui non risponderò mai, le famiglie allargate che nessuno aveva più rivisto, il fuoco acceso sulla quieta riva di un fiume, i movimenti delle fiamme e quelli sulla superficie dell’acqua mi sembravano simili, c’erano infinite corrispondenze che giorno dopo giorno andavano scoperte e lasciate libere di scorrere nella mente, per ritrovare arcaiche forme di pensiero che il linguaggio e la tecnologia avevano usurpato e quasi distrutto. 
Samara accende la pipa e benedice la vita e quello che essa racchiude, dalla nascita alla morte, il suo volto che attraversa tutte le fasi di un’esistenza, gli anni e i cambiamenti, il suo respiro, il suo corpo, la luce dell’alba che ci raggiunge sul letto nel quale siamo ancora abbracciati e poi vallate, alberi, il cielo e i suoi colori, le foglie e  i fiori che tornano a sbocciare, la terra, la sua meraviglia e la mia, ogni volta che la osservo, ovunque, intorno, dentro di me, nella pelle, in ogni possibile percezione, in ogni minima creazione della mia fantasia, l’immaginazione al potere avevano urlato studenti rivoluzionari incazzati e impazziti ed essa era qui, in questo momento e in quello che lo avrebbe seguito, nel tessuto visivo di nuovi fili d’incanto, le calde visoni pulsanti e geometriche indotte dal peyote, le piume che ciondolavano da un soffitto di legno circolare, in strutture architettoniche inventate dall’inconscio.
Tim e Bev fumavano hashish, parlando e bevendo té nero davanti alle icone medievali di martiri e santi, Anthony discuteva in cucina di possibili utopie sociali da inscenare come rivolte urbane, le piccole isole di resistenza quotidiana, le oasi di stili di vita alternativi sarebbero diventate arcipelaghi di realtà parallele, avevamo ancora scorte di acido lisergico nascoste sotto le assi di pavimenti oscillanti, suggeriva Dye dalla sua poltrona di serpente, i volti di vecchi hippies sorridevano dalle crepe di tronchi centenari, saremmo ancora sopravvissuti, sembravano dire, in un modo e in quello che poi lo avrebbe completamente ribaltato, le nuove droghe elettroniche creavano dipendenze veloci e difficili da controllare, gli schermi sono ovunque, urlava Sarah, correndo nuda fra i boschi, diverse dimensioni cognitive, scarsa tolleranza, flussi di dati nocivi iniettati direttamente in zone inesplorate del cervello, i bambini e gli adolescenti erano l’obiettivo primario, avremmo controllato i loro giovani neuroni urlanti durante le crisi di astinenza, fantasticavano sadiche le Multinazionali del Pensiero Virtuale nei loro laboratori di depravazione sotterranea.

Ian studiava tecniche di difesa psichica nei suoi vestiti strappati e sporchi, lo scrittore prendeva appunti e creava teorie di sovversione dadaista, un urlo, la chitarra, i pennelli (su per il culo, gridava di gioia un equilibrista a cazzo duro), le tele, i materiali plastici, le penne, i quaderni, i tagli, le forbici, le fotografie, i disegni, le immagini, le sequenze, il suono, la poesia e l’ebbrezza, un’ultima parola, poi di nuovo nei boschi, un corpo esposto, radiante e raggiante, una figura fuggita da un’orgia dionisiaca, ubriaca e perduta fra i rami spezzati di sogni boschivi e risate d’argento di giovani ninfe danzanti.

venerdì 6 settembre 2019

Bryn y Blodau #5

Il dolce rumore della pioggia e le immagini di verdi vallate nascoste fra le foreste del Sud Est Asiatico, lo sguardo di Samara e quello di Michael, saluti silenziosi, viaggi in frammenti di spazio e tempo ricomposti in visioni oniriche, le divinità del Sogno annullavano leggi fisiche per dare sfogo a pulsioni creative danzanti, cerimonie private all’interno della circonferenza avvolgente della yurt, occhi verdi di antiche sacerdotesse celtiche, corpi sinuosi da venerare nascosti in tuniche di desideri proibiti, i movimenti ondulatori delle vertebre, il curvare erotico della spina dorsale, le calde vibrazioni di elettricità sessuale, le cavità dei muscoli come territori di carne inesplorata, i segni bianchi, gli incensi, le candele accese, le pelli distese sulle assi di pavimenti di legno ubriachi, i legami tribali, i richiami degli uccelli, l’alba e il tramonto che finivano per assomigliarsi nella luce e nelle sue sfumature, tutte le corrispondenze di forme e colori in cui la natura mostrava se stessa, sublimando l’infinito in dimensioni di stupore variabili a seconda degli stati di estasi di chi la osservava, scienziati e razionalisti avevano distrutto la magia di un mondo di puro mistero, in cui la meraviglia era ancora uno stato dell’essere e una sua maniera di esprimersi, purificavamo le nostre percezioni rimanendo seduti in circolo, cantando al ritmo cardiaco di un tamburo  palpitante, passando la medicina a chi era alla nostra sinistra, nuovi spostamenti in  macchina, nuovi e gloriosi scenari, Samara che raccoglie radici di Artemisia fra le dune sabbiose, io che la seguo incuriosito, attraversando con lei, ogni giorno, le fasi di un’intera vita, assaporandone i cicli, osservandoli, sentendoli rifluire dentro il mio cuore, i progetti che si accumulavano su tavolini polverosi, oggetti intagliati dalle dita di personaggi mai esistiti, c’era lo scrittore, seduto sul margine bruciato di una poltrona sfondata, a tessere i fili di parole dentro e fuori le sue storie da inventare, qualcuno fumava tabacco delle praterie, altri essiccavano funghi allucinogeni e preparavano pozioni per le notti di luna piena, le donne parlavano sottovoce e i loro discorsi diventavano accoglienti melodie, le lente processioni di simboli fallici fra le dita, le rughe, i segni di ogni giorno che ci ha mostrato chi eravamo, chi abbiamo creduto di essere, il fuoco che arde trasformando legna in calore, brace in cenere, morte in amore, accarezziamo i confini, oltrepassiamo le frontiere, la morbida pelle, i contatti segreti, riscopriamo la gioia di essere insieme nel momento stesso in cui la nostra felicità andrà perduta.

lunedì 2 settembre 2019

dream #89

C’era Ken, in piedi, da qualche parte e mi stava parlando, poi ero in macchina con David e ci stavamo dirigendo verso la cima di una montagna, lui ha parcheggiato in una strada in salita e il mio corpo pendeva in maniera incongrua dal sedile anteriore, le leggi gravitazionali sembravano essersi piegate a qualche strana magia esoterica, sono sceso dalla macchina e ho camminato e mi sono ritrovato in un corridoio in cui mi sono ricordato di essere all’interno di un sogno e ho pensato di volare e i contorni delle pareti erano quasi trasparenti e poi una piscina e una sensazione di calore e una ragazza conosciuta chissà dove che si è avvicinata e mi ha slacciato i pantaloni, mi ha preso il cazzo in bocca e poi è fuggita via piangendo, l’ho seguita fino ad una stanza, lei era ancora in lacrime, seduta su un letto, sussurrando che la mia cappella era troppo grossa per la sua bocca e allora l’ho guardata in maniera perplessa e me ne sono andato, lasciandola sola e ho vagato per una città senza nome, il rumore del vento, il profumo del palo santo, gli occhi di tenebra, i giorni, i sorrisi, gli alberi che mi salutavano muovendosi nell’aria, un ultimo sguardo al cielo, prima di smarrirmi ancora e ancora e ancora.

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...