martedì 29 settembre 2015

...

La mia non è stata una vita felice - proseguì Annabelle - credo di aver dato eccessiva importanza all'amore. Mi concedevo troppo facilmente, gli uomini mi piantavano appena ottenuto quello che volevano, e io ne soffrivo. Gli uomini non fanno l'amore perché amano, lo fanno perché sono eccitati; è una cosa ovvia, eppure per capirla ci ho messo degli anni. Intorno a me vivevano tutti così, il nostro era un ambiente liberato; solo che io non provavo piacere né a provocare né a sedurre. Anche la sessualità ha finito per disgustarmi; non riuscivo più a sopportare quel sorriso di trionfo quando finalmente mi sfilavo la gonna, quella loro aria idiota mentre godevano, e soprattutto la villania a cose fatte. Erano meschini, pelosi e velleitari. Mi facevano sentire una bestia, un numero - e questo nonostante mi considerassero una bella fica; già, perché esteticamente gli andavo bene, erano fierissimi di farsi vedere in giro con me. Soltanto una volta ho creduto di vivere qualcosa di serio con un uomo. tanto che addirittura ero andata a stare con lui. Faceva l'attore; aveva una grande presenza scenica, eppure non riusciva a sfondare - tant'è che di solito ero io a pagare l'affitto. Abbiamo vissuto insieme per due anni, poi sono rimasta incinta. Lui mi chiese di abortire. Io lo feci, ma rientrando dall'ospedale sapevo che era finita. Lo piantai la sera stessa, e andai a starmene in albergo. Avevo trent'anni, era il mio secondo aborto, e non ne potevo più. Era il 1988, tutti cominciavano ad accorgersi dei pericoli dell'AIDS, il sesso finì di essere libero, e per me si trattò di una vera liberazione. Ero andata a letto con decine di uomini, e non ce n'era uno che valesse la pena di ricordare. L'idea sbagliata che ci facciamo della vita è che la paura della morte colpisca solo quando si invecchia, e che prima, quando si è giovani e si va in giro a divertirsi, la vita sia sempre e solo spensierata. Invece non è affatto così, gli uomini che ho conosciuto erano tutti terrorizzati dall'idea di invecchiare, pensavano continuamente all'età. E' un'ossessione che comincia molto presto, io l'ho trovata anche in gente di venticinque anni, e poi non fa che aggravarsi. Comunque sia, decisi di fermarmi, di uscire di gioco. Adesso faccio una vita tranquilla, priva di gioie. La sera leggo, mi preparo una tisana, qualcosa di caldo. Nei weekend vado a trovare i miei, gioco con mio nipote e con le mie nipotine. Ciò non toglie che qualche volta senta il bisogno di un uomo, di notte ho paura, faccio fatica ad addormentarmi. Certo, ci sono i tranquillanti, i sonniferi; ma non bastano. In realtà, vorrei che la vita passasse molto in fretta.

Michel rimase in silenzio; non era sorpreso. In genere le donne hanno un'adolescenza eccitata, si interessano in maniera esasperata ai ragazzi e al sesso; poi, a poco a poco, si stancano, non hanno più granché voglia di aprire le cosce, di farsi venire la lordosi a furia di darla; cercano una relazione tenera che non trovano, una passione che in realtà non sono in grado di provare; a quel punto per loro cominciano gli anni difficili.

michel houellebecq
le particelle elementari

lunedì 28 settembre 2015

homesick #24

Gli spazzini pulivano le strade, le foglie degli alberi avevano iniziato a cadere, si posavano a mucchi sui marciapiedi e se qualcuno non le toglieva, ai primi forti temporali, avrebbero otturato tutti i tombini delle fogne, con grande gioia del sindaco e dei cittadini. C’erano uomini e donne, armati di spadini e carrelli della spesa, che si facevano intere vie piene di cassonetti della spazzatura, ci si fermavano davanti e davano un’occhiata, se c’era qualcosa che li interessava la prendevano, poteva essere di tutto, lo spadino serviva per raggiungere gli oggetti più lontani, sulla punta dello spadino c’era un piccolo gancio, l’ingegno sembrava continuare a persistere all’interno della nostra razza. 

Davanti all’ufficio, alcune mattine, ti potevi imbattere negli sguardi ostili dei colleghi, ci avevo fatto l’abitudine e non me ne preoccupavo, di solito abbassavano subito gli occhi, quindi il contatto visivo non durava che qualche attimo e poi ognuno per la sua, i rapporti, a volte, finivano così, mi stancavo o qualcosa mi aveva dato parecchio fastidio nel comportamento di qualcuno, poi non ci si parlava più e ci si limitava a passarsi accanto come fantasmi, non è che la cosa mi dispiacesse, ci stavo meglio da solo e soprattutto in silenzio, senza le chiacchiere asfissianti degli altri. 

Sabato pomeriggio me ne ero andato sul terrazzo di casa, a stendere le lenzuola, era fine ottobre e il sole era ancora caldo, mi sono seduto contro un muro giallo ocra, dopo aver messo le lenzuola sui fili e mi sono anche sbottonato la camicia, era metà pomeriggio e sono rimato quasi un’ora così, poi mi sono alzato e mi sono guardato intorno, nel cielo non c’era una nuvola e la vista poteva spaziare per trecentosessanta gradi, potevo vedere la stazione e le montagne azzurrine, il campanile della chiesa e i vestiti e le lenzuola degli altri messi ad asciugare su diversi terrazzi, mi è venuta sete e sono sceso, la Tangenziale, in lontananza, sembrava un fiume muto e quieto, le macchine scivolavano sull’asfalto senza fare rumore.


domenica 27 settembre 2015

le alte torri #16


Ero seduto sotto un albero, in un parco, un pomeriggio silenzioso e dorato, bevvi un sorso di una delle sostanze liquide che avevo trovato nella valigetta che mi aveva lasciato P.L., quelle sostanze erano molto interessanti e ne stavo scoprendo effetti, dosaggi, potenzialità e pericoli. Questa era di un colore azzurrino, bevvi un altro sorso e iniziai, dopo pochi minuti, a sentirmi sempre più leggero, perdendo peso, mentale e corporeo, vidi il mio corpo seduto e poi il parco e il quartiere e la città dove ero, tutto  si trasformò in una mappa dettagliata e tridimensionale, potevo muovermi tra le linee, i colori brillanti, le scritte, i segnali, cercai di imprimere le informazioni sulla macchina morbida rinchiusa nella scatola cranica, poi scivolai oltre il limite del visibile, notte oscura ed occhi pesti, lo scintillio di uno sguardo carico di odio poco prima dell’arrivo dell’aurora.

Ero seduto in una stanza e guardavo il pavimento, era formato da strani mosaici che sembravano cambiare forma sotto il peso della luce, perché in questa stanza c’erano lampade arabe ad olio che scendevano dal soffitto e la luce colava, densa, quasi tangibile, fino al pavimento, dando vita ai mosaici, ai piccoli tasselli di vetro incastonati tra gli altri, composti da diverse pietre, adularie, opali, agate, ametiste, erano i loro colori illuminati dalle lampade a creare immagini e misteriose figure che nell’aria immobile della stanza si muovevano, lasciando scie di fumo, fragranze orientali, note di sandalo, legno, oppio - fumai alcune boccate da una  pipa d’avorio e mi stesi su un divano basso e lungo, appoggiato ad uno dei muri, bevvi un sorso di tè alla menta e attesi.

Pavel stava parlando, non lo avevo visto entrare nella stanza, era seduto in una confortevole penombra, in modo che non potessi vedere il suo volto, non sapevo che sembianze avesse, la sua voce era lontana, profonda, fece anche lui alcuni tiri dalla pipa, le sue parole erano melodiche, creavano immagini nella mia mente, una comunicazione psichica, un antico canto rituale, mi persi in quella visione.

Ritornammo alla lucidità, fuori da quella stanza, eravamo seduti su una panchina, in un parco, in una zona poco frequentata della città e Pavel mi parlò, nella mia lingua, dell’accoppiamento umano e della prostituzione, dell’energia sessuale e del suo controllo. Le migliori vengono dalla Thailandia o dai paesi del SudEst asiatico, le educano sin da bambine, disse P.L., sanno cosa devono fare e come, il passaggio successivo è quello dal controllo del corpo al controllo della mente, imprimere nel cervello un bisogno che solo loro, in futuro, sapranno soddisfare, la chiamano anche Arte Della Manipolazione. Nelle società occidentali il sesso è sotto controllo: politico, religioso, sociale. L’educazione pornografica eletta a sistema di formazione, l’attenzione maniacale per i dettagli, la suddivisione del corpo nei suoi elementi costitutivi esterni, la creazione di un’attenzione magnetica per quei dettagli, il condizionamento pavloviano, i cani abbaiano, gli uomini hanno erezioni controllate, quel bisogno sarà soddisfatto esclusivamente dalle nostre prostitute, distruggeremo il concetto di famiglia, la sua unità, manderemo puttane e spacciatori fuori dalle scuole, dalle chiese, bombarderemo la mente con immagini, il bisogno sarà perenne.


Chiusi per un attimo gli occhi, ascoltavo ancora le parole di P.L. nella mia mente, lui non era più qui, era scomparso, nel cielo passò un aereo, mi accorsi che la mia mano sinistra stava tremando.

mercoledì 23 settembre 2015

dream #12

Uomini nella casa, mentre finisco di preparare in fretta una borsa, buttandoci dentro vestiti, sento le loro voci, si stanno avvicinando – una donna era venuta a dirmi di lasciare la stanza, le due notti erano finite, volevo rimanere di più? – sulla strada davanti alla casa, giorno, luce, indosso solo un paio di mutande e ho il borsone in mano, cammino verso sinistra, raggiungo l’angolo esterno della casa adiacente a quella da dove sono uscito, inizia una discesa, mi fermo dietro l’angolo, non c’è nessuno, apro il borsone e tiro fuori un paio di pantaloni corti e una maglietta e me li metto, sono scalzo, torno sulla strada principale, alcune donne anziane parlano davanti al cancello della casa, non sono tranquillo, una macchina scivola lenta sull’asfalto, arrivando da destra, uno degli uomini nella casa, adesso al volante, abbassa il finestrino, mi guarda e dice – vieni a fare un giro con noi?

martedì 22 settembre 2015

Berlin #1


Vecchi fabbricati, mattoni, l’asfalto attraversato da rotaie arrugginite, ovunque macerie, resti, crolli dimenticati, immagini sui muri, distorsioni visive, il silenzio interiore, l’eco del fruscio delle foglie, eserciti di nuvole marciano nel cielo, le fiaccolate degli uomini in nero, gli stivali lucidi che battono la terra con un unico sordo rumore, le piramidi di libri incendiate – cammino tra i vecchi fabbricati, misteriose percezioni, si aprono alcune porte che non oso varcare, un enorme fungo blu si innalza nel ventre di un magazzino in rovina, lamiere, metallo e mattoni, i punk sdraiati sotto strutture di ferro, il vento freddo e tagliente, il freddo interiore, la ruota del tossico, due ragazzine camminano sorseggiando qualcosa da una tazza di plastica, i treni mi scorrono accanto, davanti, perdendosi in prospettive espressioniste, i tagli obliqui delle inquadrature, il volto di marlene che sorge dall’oscurità, le sue scarpe e le sue valigie, gli abiti di scena, der blau engel canta con voce roca e una sigaretta attaccata al labbro inferiore – nel sogno alexander mi parlava, mi raccontava delle cose, una voce mentale, un bambino magico capace di trascinarmi in luoghi di incanto – il popolo portava, come in una processione, effigi di grandi volti, una croce di luce risplendeva, segno divino, sulla sfera di metallo della fernsehturm, trasmissioni di regime, le stanze degli interrogatori, le mani che sudano, non fare movimenti, metti le mani sotto le cosce, la lampada puntata in faccia, le domande, monotone, ripetitive, ogni volta da capo, ogni volta da capo, la cella e l’isolamento, rudolf hesse che cammina sotto il peso degli anni e del silenzio nel cortile di Spandau, nel suo logoro cappotto di polvere e ricordi, ho passato non so nemmeno quanto tempo in quella cella, ho imparato la vastità dello spazio interiore, ho imparato come muovermi in quello spazio, sono fuggito così lontano che nessuno potrà mai più raggiungermi. 

lunedì 21 settembre 2015

Ausgang #12

Nella chiesa le immagini sacre si muovevano in brevi sequenze che si ripetevano in cicli, una donna con delle spade che le penetravano il cuore, facendolo sanguinare, le erezioni del cristo crocifisso, il pene duro che splendeva di luce, affreschi di nuvole che si aprivano e chiudevano, istantanee dell’apocalisse, messaggi subliminali di un inferno misterioso e irraggiungibile – i colpi della campana, cerchi d’argento concentrici, le canne dell’organo erano enormi, si allungavano nelle alte navate, falli metallici dalla voce acuta e avvolgente, i piedi di una ragazza inginocchiata, le cosce nude come sublimi tentazioni, i suoi occhi accoglienti, il ventre caldo, le parole del sacerdote risuonavano come fredda pietra battuta dal ferro, la pelle bruna della schiena, vicina e proibita – in treno le immagini scorrevano sulla destra, ULM, STUTTGART, linee di luce elettrica, tunnel e connessioni mentali, rumori dall’iperspazio, file di alberi, piloni dell’alta tensione, totem alieni, i ponti di cemento si susseguivano, gli infiniti depositi di macchine, scintille di metallo, colonne che tagliavano il cielo in sequenze di nuvole a bassa quota, tubi di lamiera intrappolati nei muri di mattoni rossi delle fabbriche, un bicchiere di vetro in cui osservare un percezione liquida della realtà, origami di luce, l’ombra improvvisa di una mano che scrive.


Qualcuno mi passa una pipetta per fumare erba, il primo tiro mi brucia i polmoni, facendomi tossire, lasciandomi senza fiato, costellazioni di muta bellezza in un cielo oscuro e maestoso, la pressione calda delle cosce di una donna contro le mie, i suoi piedi nudi, le unghie laccate di rosso, il suo corpo oscillava, l’energia bianca mi gonfiava i coglioni, la sentivo vibrare, concentrarsi nella punta del cazzo – il sentiero mi aveva portato in una radura, in alto, il vento frusciava, facendo cantare centinaia di piccole foglie, l’aria accarezzava il mio corpo, piaceri sconosciuti, la bocca di una giovane ragazza da riempire, le rotaie/linee parallele ai margini di un fiume, un buco di culo da fottere, i disegni primitivi di un cazzo, le epidermidi psichedeliche degli invitati che si trasformavano in mosaici di luci colorate, qualcuno sente ancora il bisogno di confessare i propri peccati? Di unire le proprie mani in preghiera? Echi di orgasmi e dolore, l’astinenza di una privazione, i minuti come schegge impazzite del tempo.

giovedì 17 settembre 2015

freewheelin' #25

Il tempo arrivava ad onde, sequenze di immagini, proiezioni di ricordi, la mente non doveva creare connessioni ma fluire libera tra quelle immagini, ogni volta che si stabiliva una connessione emotiva le immagini si trasformavano in uno stato d’animo, le immagini erano vive, piene di sensazioni, immagini tattili, olfattive, sensuali – ogni volta che si stabiliva una connessione bisognava concentrarsi sul respiro, quindi sul tempo, perché il respiro era il nostro tempo e controllare il respiro significava controllare il tempo, respiri lenti e profondi, come onde, sequenze di immagini lente, bisognava osservarsi con distacco, le emozioni erano illusioni, le esperienze erano reali eppure il pensiero si attaccava a quelle esperienze e le modificava, una volta che il pensiero entrava in contatto con le esperienze le trasformava in una serie di giudizi, diventavamo prigionieri di noi stessi, la libertà era passare da un’esperienza ad un’altra senza pensare, semplicemente, fluendo.

Immagini sovraimpresse, emozioni che si confondono, flasback in un montaggio frenetico, cambiamenti rapidi dell’umore, ripetevamo gli stessi errori fino a quando gli sbagli diventavano tutto quello che avevamo. Loop di immagini nella mente, tagli sulla timeline, immagini mancanti. La mente rigirava le scene, ricuciva gli strappi, creava nuove immagini al posto di quelle perdute.

Il tempo si ferma, un respiro senza fine, ricolleghiamo due punti nello spazio, nemmeno un secondo è passato, a dividerci rimane solo l’eternità.



martedì 15 settembre 2015

...

Coloro che sono pronti a lasciare l'intera commedia umana per entrare nell'ignoto senza nessun obbligo. Quelli che non hanno annusato queste braci fin dalla nascita, che cosa hanno a che fare con noi? Solo coloro che sono pronti a lasciarsi dietro tutto e tutti quelli che hanno conosciuto devono arruolarsi. Nessuno che si arruoli sarà scartato. Nessuno può arruolarsi a meno che non sia pronto. Sopra le colline e via lontano verso le Terre Occidentali. Chiunque vi si metta tra i piedi, UCCIDETE. Dovrete uccidere per uscire perché questo pianeta è una colonia penale e a nessuno è permesso andarsene. ammazzate le guardie e uscite.

william burroughs
strade morte

lunedì 14 settembre 2015

Ausgang #11

Le giornate avevano perso la loro frenesia e le cose da fare erano diventate più semplici, cogliere frutta e verdure dall’orto, pulire la casa, cucinare. Avevo una piccola stanza e vivevo con una famiglia del posto, la casa era enorme e c’erano sempre dei lavori da svolgere,  davo una mano e in cambio avevo vitto, alloggio e un po’ di soldi. Altri li avevo da parte, venivano dalla mia vita precedente, non c’era nessun progetto, nessuna aspettativa, se non quella di stare tranquillo il più a lungo possibile. Niente droghe, niente sigarette, molta birra.

Passeggiavo lungo un fiume e attendevo, senza ansie, il passare del tempo e il mutare delle stagioni, c’era un lago dove nuotare, nelle giornate in cui il sole splendeva, erba su cui stendersi con il corpo bagnato, mi piaceva andare nell’acqua nudo e poi sentire il calore della luce sulla pelle fredda, i capezzoli duri, i coglioni contratti.

La notte leggevo oppure prendevo il quaderno e mi mettevo a scrivere, alcune mattine dovevo alzarmi presto, altre no. La coppia che abitava nella casa aveva una figlia di quasi due anni, Sofia, quando avevo del tempo libero mi piaceva passarlo insieme a lei e giocavamo per ore, ci capivamo alla perfezione, senza parlarci, solo guardandoci negli occhi.

Sofia camminava nel giardino e prendeva more, fragole e lamponi, le mani e la bocca sporche, quando mi vedeva mi correva incontro, lanciando gridolini argentati, ci sorridevamo, mi stava insegnando il modo giusto di affrontare le cose, di essere presente in ogni momento, con la sua curiosità, il suo essere viva e meravigliosa, un attimo dopo l’altro.

Al tramonto bevevo una birra, mi sedevo da solo sotto un albero, provavo a pensare al passato, stava scomparendo, non c’erano echi, voci, immagini. La scelta migliore era lasciarsi tutto dietro, dimenticare, svanire come la dolce luce del crepuscolo.

Facevo passeggiate in bicicletta, ancora non capivo bene la nuova lingua, riuscivo a comunicare l’essenziale in inglese, per adesso bastava così.

L’odore di una rosa in un vaso, accanto al letto.


Le sue spine, un bacio dietro al collo, promesse mai mantenute.

domenica 13 settembre 2015

le alte torri #15


L’idea, disse P.L., è quella di entrare in contatto con questi piccoli gruppi di spacciatori, africani e arabi, sfruttare i soldi ricavati dal traffico di sostanze per aumentare il nostro controllo del territorio, bisogna creare spazi liberi dalla polizia, dalla politica, dalle insidie religiose, le chiese devono rimanere vuote, così le cabine elettorali, non ci devono essere più divise in giro a dire cosa si può e cosa non si può fare, dobbiamo partire dallo spaccio di sostanze, che si è creato in maniera autonoma e disomogenea e organizzarlo.
Dovevo trovare un modo per entrare in contatto con questi piccoli gruppi, parlavo con qualche spacciatore, frasi semplici, quelle che lui conosceva della mia lingua, senza comprare nulla, per vedere come me la cavavo, se riuscivo ad inserirmi, ad avere la sua fiducia. Conoscevo qualche parola di arabo e un buon esercizio era stare seduto tra gli spacciatori e ascoltarli mentre discutevano, cercando di riconoscere quante più parole possibili, era un lavoro lungo e bisognava avere pazienza.
Mi spostavo dal quartiere vicino alla stazione, dove c’erano i ragazzi arabi a quello nei pressi del ponte sulla ferrovia, dove si trovavano i ragazzi africani, questo quartiere aveva una strada più grande che lo divideva in due parti, tutto intorno una ramificazione di vicoli in cui i ragazzi sostavano nel buio, pronti a venderti, dopo il contatto visivo, la loro merce.

Altre volte, invece, preferivo comprare e osservare le loro tecniche, provavo le sostanze, quelle vendute per strada non erano quasi mai di prima qualità, altre volte ancora osservavo e basta, seduto su un gradino di un negozio o su una panchina, guardavo i ragazzi e tracciavo mappe mentali dei loro spostamenti, di dove tenevano le sostanze, dovevo trovare un modo per unirli, fargli percepire la realtà del mondo in cui si trovavano, insegnargli la possibilità di cambiare quel mondo, quella realtà, non erano solo le sostanze a darci questo potere ma anche il desiderio del caos e di un nuovo ordine, Pavel L. era un agente del caos, sempre pronto a fare crollare i muri delle abitudini, delle convenzioni e del vivere sociale.

venerdì 11 settembre 2015

dream #11

Mattine nebbiose e fredde, i voli lenti degli uccelli neri, da un albero ad un altro, sogni di incidenti aerei, esplosioni di colori e lamiere – Lorenzo aveva una gamba rotta ed era seduto in un cortile, lo guardavo dall’alto, da un terrazzino obliquo, che sembrava sul punto di cadere, qualcuno fumava hashish, una perquisizione della polizia, un ragazzo era stato accoltellato, gli echi della mente, risuonavano discorsi, le diverse lingue parlate dagli invitati a tavola, ho sceso delle scale e sono arrivato vicino al mio amico, l’ho chiamato per nome e gli ho chiesto di salire, di vedere il posto in cui vivevo – Lungo la strada, nell’attesa di un mezzo di trasporto, buio e nebbia, un uomo africano, alto e misterioso, mi chiede se voglio qualcosa,

dipende da cosa puoi darmi

sostanze

quali?

Una giacca rossa, nella tasca destra trovo delle pillole, sono piccole e bianche, su un lato è impresso il numero 7, ne butto giù una, voli obliqui e interminabili sulla superficie sfuggente del mondo.


martedì 8 settembre 2015

Ausgang #10

Flussi di pensieri, bianchi e incontrollati, immagini e dissolvenze incrociate, il silenzio della mattina e respiri profondi, il volto rosso, gli occhi azzurri, le narici dilatate, la gola brucia, i canti e l’ebbrezza, le rose disegnate sulla tappezzeria della stanza, i loro movimenti lenti, mentre si staccano dal muro e vibrano nel vuoto – osservavo la realtà da vicino, migliaia di puntini, singole unità di nulla che componevano immagini, a volte concrete, a volte irraggiungibili.
Nel bosco avevo trovato dei funghi, mentre camminavo, lasciando che fossero le intuizioni a segnare il sentiero. I funghi avevano il gambo sottile e finivano a punta, piccoli coni capovolti simili ai cappucci di misteriosi monaci, li avevo riconosciuti subito o forse erano loro che avevano trovato me, ne presi cinque, staccai il gambo e mangiai le teste appuntite, non avrei dovuto aspettare molto.
Seduto sotto un albero, la schiena contro la corteccia, le foglie di edera, dal terreno, iniziarono a strisciare verso le mie scarpe, le sfilarono, poi si attorcigliarono intorno ai pantaloni, dove ricoprivano le caviglie e li tirarono via. I rami dell’albero si abbassarono, decine di dita legnose mi tolsero la maglietta e si strofinarono sul petto, avevo i capezzoli duri e violacei, sentivo il muschio che era cresciuto sui rami solleticarmi la base dei coglioni, mi alzai in piedi, ebbi una erezione, il cazzo diventava rigido e nodoso, caldo, venni colpito da fasci di foglie, era ortica, pochi attimi e il mio corpo iniziò a bruciare, energia rossa in movimento, eccitazione sfrenata, le foglie si strofinarono sulla punta del cazzo, ormai teso come un bastone, la rugiada cadeva lieve a gocce, dall’alto, evaporando nell’istante stesso in cui toccava la mia pelle infuocata, piacere e dolore, piccole rocce aguzze uscivano dalla terra umida, sotto i miei piedi nudi, mentre cercavo di camminare, ho raggiunto una grande pietra, vicino ad un ruscello, sono entrato nell’acqua fredda, gelida, il mio corpo si è trasformato in vapore, immagini di arcobaleni in controluce, migliaia di scintille come occhi - steso sulla grande pietra, il calore sulla pelle, il corpo cambiava continuamente colore, una nuova erezione, un nuovo tronco, una nuova vita, l’energia azzurra spingeva verso il cielo, il calore entrava nel corpo, l’estasi dorata, sentivo fluire il calore, concentrarsi nel basso ventre, vibrazioni di piacere nel punto di unione tra l’ano e lo scroto, un ultimo sguardo nel vuoto multicolore, sono venuto in stille di calda resina, le ho viste colare come ambra liquida lungo le scure venature pulsanti del cazzo, prima di chiudere gli occhi e tornare da dove ero fuggito.



sabato 5 settembre 2015

...

- Kim, se potessi scegliere, preferiresti essere un serpente velenoso o un serpente
 non velenoso?
- Velenoso, signore, come un mala verde o un cobra sputatore
- Perché
- Mi sentirei più sicuro, signore.
- E questa sarebbe la tua idea del paradiso, sentirti più sicuro?
- Si signore.
- Un serpente velenoso è davvero più sicuro?
- Non del tutto, a lungo termine, ma che importa? si deve sentire davvero bene dopo che ha morso qualcuno.
- Più sicuro?
- Si signore, la gente morta fa meno paura di quella viva. E' un passo nella direzione giusta
- Giovanotto, credo che tu sia un assassino.

william s. burroughs
strade morte

venerdì 4 settembre 2015

dream #10

Dalla stanza eravamo passati in terrazzo, perché le avevo detto che volevo parlarle, Marina mi ha seguito, silenziosa, si vedeva il mare dal terrazzo, la luce ci accoglieva in un tempo sospeso, ci siamo seduti, le ho detto che non l’avevo più chiamata e che lei aveva fatto lo stesso con me, non c’erano colpe, il fiume scorre e noi non possiamo fermarlo, doveva partire, doveva sempre partire, allontanarsi, fuggire, non l’avevo più seguita, avevo perso le tracce, dimenticato il suo alfabeto, quello del corpo, quello degli sguardi.


Non avevo altro da dirle, perché già le avevo detto tutto, i segreti, l’abisso, il dolore, le avevo raccontato le esperienze, le stanze rosse, le candele accese – Nella luce di un mondo senza tempo mi sono tirato fuori il cazzo e le ho chiesto di succhiarmelo, mi sembrava la cosa più saggia da fare, volevo le sue labbra intorno alla cappella, volevo sentire il mio cazzo gonfiarsi nella sua bocca – Nel volo immaginario di una notte i suoi capelli scivolavano ancora tra le mie dita, avevo strappato pagine su pagine, bruciato fotografie, avevo scritte poesie come anatemi contro l’amore – Succhiami il cazzo, ragazza – Mi sono perso nei suoi occhi come la prima volta che ci siamo guardati. 

giovedì 3 settembre 2015

Ausgang #9

Camminavo per brevi strade silenziose, i ricordi della neve, le immagini bianche e fredde, gli alberi neri – i luoghi erano gli stessi, ora dipinti di verde, decine di tonalità diverse, le foglie vibravano nel vento, la voce degli alberi era tornata a chiamarmi – un raggio di luce indica una nuova direzione, attraverso una piccola radura, arrivo sulle sponde erbose di un fiume, l’acqua scorre placida e opaca, senza riflessi, mi fermo pochi attimi a guardarla, mi giro e torno indietro.
Durante la notte la coscienza fluiva nel buio, un altro fiume, oscuro e lento, trascinava detriti, sporcizia, resti di frane, gli anni erano crollati, uno dopo l’altro, quello che ne restava cadeva all’interno del fiume, qualcosa rimaneva sul fondo, sepolto, qualcosa tornava in superficie e la corrente lo spingeva, portandolo ancora con sé – aspettavamo, tutti quanti, di essere liberati, di conoscere la foce, l’estuario di questo fiume, che eravamo noi stessi, dove saremmo arrivati, quale mare, quale oceano avrebbe accolto tutti questi fiumi, con i loro detriti, i cadaveri che marcivano gonfi  e putridi, le foglie morte, i rami che avevamo spezzato, le rocce lanciate per colpire nemici invisibili, la visione si estendeva oltre ogni comprensione, l’oceano sarebbe stato lucente e calmo, l’ora del tramonto, del vino e delle rose sarebbe diventata eterna, tutte le nostre miserie sarebbero scivolate verso il fondo, immobili e remote, non ci sarebbero più stati ricordi, rimorsi, occasioni sprecate, errori e rinunce, saremmo diventati scintille e onde. La linea dell’orizzonte non ci avrebbe più spaventato, perché non sarebbe esistito più nessun limite alla nostra felicità.



freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...