lunedì 28 febbraio 2022

freewheelin' #60

 Avevo conosciuto un produttore, nella sua casa con piscina e vista sulla baia e avevamo parlato del vuoto e di notti dove le stelle cadevano e c’era una luna rossa che si muoveva nel cielo e c’era una stanza senza finestre e musica elettronica fra le pareti e poi degli scatoloni di cartone pieni di vestiti e l’assenza vibrante di qualcuno che se ne era già andato al Nord o forse in Messico, nella giungla, fra cerimonie di peyote e feticci di tribù primitive e c’erano uomini che camminavano con una croce tatuata sul petto e altri con serpenti fra le mani e immagini di santi e peccatori e antiche processioni silenziose e mosche sui cadaveri uccisi dalla peste e su quelli che ci portavamo dentro e poi ero seduto sulla sabbia, su una spiaggia, il cielo velato, l’acqua era fredda e piacevole al tatto e osservavo la struttura di una casa, sul fianco di una montagna, la sua architettura e Will diceva qualcosa su Le Corbusier, sulla luce e sul modo in cui avrebbe svelato forme in uno spazio interiore e poi quadri e istallazioni e video e persone tutte intorno e bicchieri di vino e qualcuno mi stava aspettando lì e io sapevo che non sarei mai arrivato in quel luogo e c’era un camion che stava viaggiando per il Sud della Spagna con 870 kg di hashish nascosti da qualche parte ed era poi stato bloccato al bordo di una strada invisibile e gli zingari  che cantavano e ballavano e si ubriacavano fra i resti di feste dimenticate e le spirali del tempo e gli inganni della mente e le parole di un vecchio amico, scritte chissà dove, alcuni applaudivano nella sala buia e altri rimanevano in silenzio, nessuno sapeva chi fossi realmente e nessuno lo avrebbe saputo, questo è il primo passo, prima che la morte cominci la sua danza d’amore.

domenica 27 febbraio 2022

...

 "Ma pareva ch'io avessi scorto l'antico meriggio di quel sentiero, dei sassi fra l'erba e distese di lupini, agli improvvisi ritorni al torrente scosciante e i ponti di legno inondati e il verde sottomarino, c'era qualcosa di inesprimibilmente infranto nel mio cuore come se già in una vita precedente avessi percorso quel sentiero, in circostanze simili insieme a qualche amico bodhisattva, ma forse in un viaggio più importante, mi veniva voglia di sdraiarmi sul ciglio del sentiero e riandare a ogni cosa col ricordo. Questo è l'effetto che ti fanno i boschi, hanno sempre un aspetto familiare, da lungo perduto; come il volto di un parente da tempo defunto, come un antico sogno, come il frammento di una canzone dimenticata trasportata sull'acqua, ma soprattutto come eternità dorate della trascorsa infanzia o della trascorsa maturità e tutto il vivere e il morire e il crepacuore che provammo milioni di anni fa e le nuvole che ci passano sul capo sembrano suffragare (con la loro stessa solitaria familiarità) queste sensazioni. L'estasi provai, addirittura, con sprazzi di ricordi improvvisi, e sentendomi sudato e intontito mi venne voglia di dormire e sognare tra l'erba."

jack kerouac
i vagabondi del dharma

venerdì 25 febbraio 2022

Orgiva #72

 Quello che mi sembrava avere ancora importanza erano i ricordi dell’infanzia, i frammenti emotivi che ne rimanevano, sensazioni ancora nitide di luoghi, odori, della presenza dei miei genitori, dei miei zii, dei miei nonni, qualcosa nel corso degli anni anni aveva cominciato a perdere colore, consistenza, densità, gioia, mi chiedevo se fosse questo il lento sfumare dell’esistenza verso il tramonto della vecchiaia, la solitudine che prometteva mi pareva invitante, mi chiedevo anche se alcune cose sarebbero scomparse una volta per tutte, il sesso, il desiderio, le fantasie, le aspettative, se ci fosse stato un punto di equilibrio in cui guardarsi indietro e guardarsi avanti non avrebbero avuto più senso, essere nel momento presente sarebbe stato il nostro appiglio a quello che avevamo intorno, così mutevole, fuggente, irrisorio.


Volevo continuare solo con la mia vita di scrittore sconosciuto, invisibile, nascosto, era meglio così, il mio era un atto creativo per me stesso e per quello che realmente ero, erano le parole che venivano a trovarmi, ancora e ancora, sin da quando ero un ragazzo e non potevo cacciarle via, finivo sempre per accoglierle, le lasciavo fare, loro sapevano dove condurmi e io le seguivo, la loro presenza, la loro amicizia erano qualcosa di meraviglioso, erano un dono inestimabile per la mia anima e per i giorni a venire e per quelli che non sarebbero mai stati.


C’era una voce al mio interno, nel silenzio di ogni cosa che non mi interessava e lasciavo svanire, nella mia essenza c’era una poesia continua, una melodia infinita, un’opera incompiuta che non voleva terminare  ma solo andare avanti, nella sua costante imperfezione e nel mio coraggio di ascoltarla senza timori, paure, assolutamente senza condizioni, censure, distrazioni. Questa libertà era dentro di me e in nessun altro posto su questa terra la avrei potuta trovare.


C’erano i soliti ubriaconi mattutini al Viejo Molino mentre mi guardavo intorno, poi posavo gli occhi sul quaderno e mi mettevo a scrivere al solito tavolo, l’odore delle prime sigarette e il calore bianco che iniziava a farsi sentire, lo scrittore era sempre stato un tipo solitario e aveva bisogno di nuovi spunti e di nuove storie, prima o poi lui se ne sarebbe andato altrove, accettando il suo destino, i suoi scherzi, i suoi crudeli giochi, gli attimi di quiete prima che tutto crolli, in una risata o nelle ultime lacrime di un giorno perduto in cui tutte le nostre speranze hanno smesso di esistere.

giovedì 24 febbraio 2022

Orgiva #71

 La colazione per alcuni era un sol y sombra o un tubo di cerveza, accompagnati da una sigaretta ed erano solo le dieci di mattina nel Viejo Molino ed era lunedì e mi sembrava quasi impossibile che in un altro tempo della mia vita avessi lavorato in un ufficio, all’interno della gabbia degli orari, dei giorni feriali e festivi, qui mi pareva di essere parte dell’abbandono totale, della caduta definitiva, con party che proseguivano per tutta la notte e una quantità impressionante di sostanze, c’erano tutte quelle che uno potesse immaginare ed erano tutte disponibili, avrei mantenuto la mia dignità e me ne sarei rimasto per i fatti miei, l’arte dell’equidistanza l’aveva chiamata lo scrittore - Dovevo trovarmi un’altra casa, un altro spazio in cui vivere, avevo bisogno di nuovi sogni e di progettare ennesime fughe e l’immagine acida dell’azzurro splendente di un lago che sembrava uscito fuori da un miraggio desertico, la luce abbagliante, le forme verdi degli alberi in movimento, l’aria che vibrava in una visione in technicolor - C’era una malattia dell’anima, in giro, una pestilenza morale, una degenerazione dei pensieri, l’equilibrio psichico ero solo un’altra fugace allucinazione, il calore bianco stava tornando, quanto cazzo di tempo avevo passato qui? Cosa cazzo avevo fatto?

Immagini che avrei distrutto quando mi fossi dimenticato di come ero tornato al punto di partenza, parole che aspettavano di essere trascritte, i diari di un delirio esistenziale, le aride geometrie di una disfatta, la musica agonizzante di suonatori impazziti, il teatro delle crudeltà era vivo in ogni momento, la farsa continuava, un uomo senza denti appariva nel bar, arrivando da chissà dove, si accendeva una sigaretta, l’eternità era un gioco per idioti ghignanti.  

mercoledì 23 febbraio 2022

...

 "Il nostro amico viveva nella città come un adolescente: e fino all'ultimo visse così. Le sue giornate erano, come quelle degli adolescenti, lunghissime, e piene di tempo: sapeva trovare spazio per studiare e per scrivere, per guadagnarsi la vita e per oziare sulle strade che amava: e noi che annaspavamo combattuti fra pigrizia e operosità, perdevamo le ore nell'incertezza di decidere se eravamo pigri o operosi. Non volle, per molti anni, sottomettersi a un orario di ufficio, accettare una professione definita; ma quando acconsentì a sedere a un tavolo d'ufficio, divenne un impiegato meticoloso e un lavoratore infaticabile: pur serbandosi un ampio margine d'ozio, consumava i suoi pasti velocissimo, mangiava poco e non dormiva mai.
Era, qualche volta, molto triste: ma noi pensammo per lungo tempo, che sarebbe guarito dalla tristezza, quando si fosse deciso a diventare adulto: perché ci pareva, la sua, una tristezza come di un ragazzo, la malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni. Qualche volta, la sera, ci veniva a trovare; sedeva pallido, con la sua scarpetta al collo, e si attorcigliava i capelli o sgualciva un foglio di carta; non pronunciava, in tutta la sera, una sola parola; non rispondeva a nessuna delle nostre domande. Infine, di scatto, agguantava il cappotto e se ne andava. Umiliati, noi ci chiedevamo se la nostra compagnia l'aveva deluso, se aveva cercato accanto a noi di rasserenarsi e non c'era riuscito; o se invece si era proposto, semplicemente, di passare una serata in silenzio sotto una lampada che non fosse la sua."

natalia ginzburg
ritratto di un amico

martedì 22 febbraio 2022

Orgiva #70

C’era una tristezza nel cuore e una pena costante a cui non sapevo dare più un nome, una pesantezza nei respiri, una gabbia di pensieri angosciosi dalla quale era ogni giorno più difficile fuggire, mi sentivo debole e senza prospettive, rinchiuso in un quotidiano ripetersi di gesti e azioni, avevo trasformato la mia apparente libertà in una ennesima e vecchia prigione, fatta di una routine inutile quanto nociva, solo le camminate fino al rio mi davano sollievo e l’acqua che scorreva come la vita e la voce degli alberi, avrei solo dovuto andarmene via dal pueblo e non trovavo la forza e il coraggio per farlo, la stanza in cui abitavo mi soffocava e fra le sue pareti vivevano e mi tormentavano i demoni delle mie ossessioni e allora cercavo posti fuori di essa, dove sedermi possibilmente da solo, a osservare quello che mi passava davanti e c’era un muretto sul quale mi piaceva fermarmi, vicino alla gasolinera a bere una birra, a vedere la gente che seguiva le proprie misteriose direzioni e poi era sera e mi sentivo dentro una stanchezza che mi stava divorando l’anima eppure intorno la natura sembrava sempre mostrarsi in tutta la sua bellezza e meraviglia, in una danza di forme e colori, in una estasi visiva che però non riusciva ad arrivarmi dentro, a curarmi, come aveva fatto in passato, a donarmi quel poco di serenità di cui avrei avuto così tanto bisogno e poi è arrivato Luca nella sua macchina, mi ha salutato dal finestrino e mi ha fatto cenno di avvicinarmi, abbiamo parlato un pò e mi sono messo a ridere e così mi sono sentito subito più leggero e c’era qualcosa di familiare in lui, forse la sua eccentrica e lucente follia, mi ha offerto una striscia di coca, gli ho sorriso e gli ho detto di no, lui si è fatto un tiro, abbiamo scherzato un altro pò e poi se ne è andato chissà dove, sembrava felice, non so se per la coca o per altre ragioni, non che avesse molta importanza, me ne sono tornato sul muretto, il giorno stava svanendo, la mia esistenza anche, di tutti i miei sogni non stava rimanendo molto, non possedevo quasi più nulla, non avevo la minima idea di dove stessi andando e sapevo che questa era l’unica direzione giusta da seguire.

Ho stappato un’altra birra e in silenzio ho atteso l’arrivo della notte.

lunedì 21 febbraio 2022

Artist Valley #15

Mi era arrivato un messaggio da Stephen, che non avevo più visto dal giorno in cui era fuggito via, dopo una notte nella quale ci eravamo sbronzati insieme, non so cosa fosse scattato nel suo cervello durante quelle ore di esaltazione alcolica però la mattina dopo non c’era più e avevo dovuto chiamare la polizia e denunciare la sua scomparsa e poi dopo una settimana lo avevano trovato ricoverato in un ospedale di una città britannica di cui non ricordo il nome, era in coma etilico e qualcuno mi ha chiamato e mi ha spiegato i suoi problemi con il bere e poi il padre, sempre al telefono, mi ha raccontato la storia della sua vita e io appuntavo sul quaderno nero le sue frasi per poi dimenticarmene subito dopo, perché fosse ancora la mia immaginazione a vincere sulle falsità e sulle miserie dell’esistenza.


E c’erano dei semi sparsi sul tavolo, nella stanza al pian terreno del cottage di campagna in cui vivevamo e bustine di plastica senza nome, mezze piene di polveri bianche e mattine fredde e la neve tutta intorno, sugli alberi, la terra e i prati e cene silenziose e l’attesa della primavera e figli abbandonati e Stephen che pisciava nel mezzo della stanza ridendo e non capendo nulla di quello che stava facendo, mentre gli dicevo buonanotte e anche io ubriaco me ne andavo a dormire nella mia camera di sopra. E un giorno in cui abbiamo camminato in montagna insieme a Roland e gli ho scattato alcune foto mentre loro erano di spalle e il pomeriggio io e Roland abbiamo mangiato funghi allucinogeni per poi conoscerci e scoprirci in una maniera intima e meravigliosa e ancora le notti in cui mi mettevo a suonare il piano senza la minima idea di come si facesse, le bottiglie di vino rosso al mio fianco e le stelle lontane che risplendevano nell’oscurità del mondo e ho dimenticato di dirti quanto ti amassi perché in fondo non l’avevo mai saputo.


domenica 13 febbraio 2022

senza titolo

 Fuggivamo da una prigione a un’altra o almeno tentavamo di farlo e poi quando la fuga terminava venivamo rinchiusi di nuovo e finivamo per accettare questa atrocità come uno stato dell’esistenza, immutabile, perpetua, oscena, indecente. E il carcere più duro di tutti eravamo noi stessi, con le abitudini, i bisogni, i desideri, le illusioni, le aspettative, le speranze. Filtrava luce, alcuni giorni, fra le sbarre e si udivano ancora, lontani, gli echi delle risate delle giovinezza e c’era quiete in questi momenti di irrisoria libertà, uno spazio vuoto fra i respiri e in quel luogo c’era la vita che mai avremmo avuto, un’oasi di calma in un deserto di città anonime, volti sconosciuti, parole e voci che mi frastornavano e che ero stanco di ascoltare, chiuso nella mia cella di isolamento emotivo, mi ero ingabbiato fra le mura delle mie ossessioni, un’ennesima volta e non sarebbero bastati i tuoi sguardi e i tuoi baci a dirmi chi ero e chi non ero mai stato, in attesa della prossima ora d’aria, nel perimetro di una felicità inesistente o smarrita, i tramonti dimenticati, il volo delle rondini alla sera, il sussurro di un istante frainteso, la tua schiena che si allontana e che non ho più il coraggio di sfiorare, affinché sia un ennesimo addio il motivo per il quale ti ho amata e infine perduta.


giovedì 10 febbraio 2022

Orgiva #70

 Era più il desiderio di evitare la gente del pueblo che di incontrarla, non che questo fosse tanto diverso dal mio solito stato di insofferenza sociale, non mi piaceva avere troppe persone intorno, non mi era mai piaciuto.

Dovevo di nuovo mettere distanze di sicurezza fra il mio cuore e chiunque potesse ferirlo e ne avevo le palle piene di ascoltare discorsi e monologhi che non arrivavano da nessuna parte, ossessioni e paure, un’infantile incapacità di affrontare anche le più piccole cose di ogni giorno, non mi ricordavo da quanto tempo non mi sentissi così triste, perennemente in pena, volevo solo andarmene, dimenticarmi di questo luogo o lasciare che la memoria, un domani, lo ricostruisse nei sogni o nei miei scritti e poi basta, avrei continuato sul mio cammino, possibilmente solo, senza più donne, bambini, animali e rompicoglioni vari intorno.

Era una giornata nuvolosa, il cielo era coperto, una condizione emotiva che le montagne che circondavano il pueblo, nella loro velata solitudine, rispecchiavano, avevo cominciato un’altra volta a masturbarmi quotidianamente, a passeggiare, a  vagare, a scrivere, a ritornare dentro me stesso, dentro i miei respiri, la notte e l’alba con i loro silenzio erano i momenti migliori, mi ero rotto i coglioni anche dell’appartamento dove abitavo, un altro mese e me ne sarei tornato a Roma, volevo rivedere i miei genitori, parlare con loro e starmene tranquillo, se possibile. Basta bizzarri personaggi, allucinanti situazioni, irrealizzabili fantasie sessuali, incomprensioni sentimentali, basta tutto questo, ogni volta mi sembrava di ritornare al punto di partenza senza andare avanti. 

Lao Tze diceva che a volte confondevamo la possibilità di ogni inizio con la sofferenza di ogni fine, aveva ragione, c’erano centinaia di posti dove fuggire e  dove nessuno mi avrebbe raggiunto. A parte i miei demoni, naturalmente.


mercoledì 9 febbraio 2022

Il grido (2004)

 Sessione estiva 2004. Arriva il momento dell'esame di cinema italiano con Ofrìo Calderòn. L'esame è su Michelangelo Antonioni, un regista di cui mi sono piaciuti alcuni film, tipo Zabriskie Point e Blow Up. L'esame è però sul primo Antonioni. Ci sono tre film che dobbiamo vedere: Cronaca di un amore, Il grido e L'avventura. Alle grandi lezioni di Calderòn mi faccio due coglioni come due cocomeri, quindi nella maggior parte delle volte sfanculo dopo una mezzoretta perché sentirlo parlare mi è davvero insopportabile. Comunque decido di prepararmi correttamente per l'esame e vado in videoteca a guardarmi i film. La videoteca del mio dipartimento è un luogo di rara bruttezza. Praticamente è una stanza di quattro metri per due con varie postazioni video. Ogni postazione video è dotata di televisore, videoregistratore, sedia e cuffie. Praticamente stai attaccato allo schermo per via del fatto che il filo delle cuffie è troppo corto. E in questa posizione fantastica ti godi i tuoi film. Per l' Avventura tutto a posto, anche se mi faccio due palle enormi e alla fine vado avanti veloce perché il film non lo reggo più o forse sono solo di cattivo umore. I problemi nascono per gli altri due film. Il giorno che mi devo vedere Cronaca di un amore inizia l'allucinazione indotta dall'università. E' un tipo di droga allucinogena interessante l’università. Ti fa sballare di brutto solo che il trip è quasi sempre negativo, quindi non ve la consiglio. Insomma arrivo al dipartimento che piove in una maniera da arca di Noè. Salgo in videoteca, mi faccio dare il film e entro nella stanzetta. Su un televisore c'è una bacinella, visto che c'è un buco sul tetto e che la pioggia gocciola dentro la stanza. Mi viene il dubbio che sia una cosa pericolosa vedere il film in queste condizioni. Si sa che acqua e elettricità non sono proprio ottime amiche (o forse si?). Però nessuno mi dice niente. Mi siedo piuttosto lontano dal televisore con la bacinella sopra (con il filo delle cuffie tirato al massimo) e mi guardo quest'altra rottura di cazzo. Poi esco e me ne vado. Il giorno dopo ritorno per vedere Il grido. La giornata è stupenda, c'è un sole che spaccherebbe il culo alle pietre, se solo le pietre avessero un culo. Solito percorso e chiedo la videocassetta che devo vedere. La tipa mi dice che la videoteca è chiusa. Le dico se sta scherzando, mi dice di no, che c'è il pericolo di cortocircuiti. Gli dico che la pioggia c' era ieri, non oggi. Lei mi dice che la videoteca è chiusa e basta e che il film non lo posso vedere. Avete capito il trip? Ci sono alterazioni temporali (in tutti i sensi) che mi sfuggono. Cioè ieri che era pericoloso mi hanno fatto vedere il film tranquillamente. Oggi che è tuto normale, vedere un film diventa pericoloso. E' un trip, non c'è niente da fare e io non riesco a uscirne fuori. Ritorno a casa e fra tre giorni ho l'esame e Il grido non l'ho visto. Mi faccio dare gli appunti da un’amica e mi preparo così qualcosa da dire, sperando che il professore mi faccia domande sui film che ho visto. Ho due probabilità su tre che l’esame mi vada bene. Certo come no.

Sessione estiva 2004. Esame di storia del cinema italiano. Mi siedo davanti ad Ofrìo Calderòn. Prima di giungere da lui una sua assistente mi aveva fatto un paio di domande da idioti a cui avevo risposto in maniera idiota. Aveva segnato un ventotto+ su un foglietto e mi aveva detto sottovoce che se gli dicevo bene a OC il film che mi chiedeva era fatta. Il trenta sarebbe stato mio.

Sono davanti ad OC sperando che non mi chieda Il grido così avrò il mio bel trenta.

OC rimane un paio di minuti in silenzio.

Poi fa - “Il grido!"

L'oracolo ha parlato.

Nella mia mente il vuoto. Prima di rendermi conto della mia solita sfiga, le madonne  prendono il loro posto sugli spalti del mio cervello, iniziando a cantare, comincio a dire qualcosa, ma è difficile parlare di un film che non hai mai visto. Vedo la mano del professore che cancella il più dietro al ventotto. Poi parliamo un altro paio di minuti, non so nemmeno di che cosa e l' esame è finito. Prendo il mio voto che è un buon voto, sentendomi però triste e me ne vado. Il trip continua.


martedì 8 febbraio 2022

dream #104

 Eravamo di nuovo nella casa dei miei nonni ad Aphex, c’erano loro, i miei zii e mia madre, la casa era vuota, la cantina aveva le pareti spoglie anche se ancora non era stata venduta e non sapevo bene perché ci trovassimo lì, faceva abbastanza freddo e così io e uno dei miei zii abbiamo raccolto della legna, fuori, per fare un fuoco nel camino, la terra era bagnata mentre cercavamo dei rami e il grande pino era stato abbattuto e c’erano dei murales sulle pietre della rotonda e poi è apparso mio padre e aveva una videocamera in mano e invece di riprenderci ci ha fatto vedere sul suo piccolo schermo un filmato e c’era una spiaggia, nella quale adesso tutti ci trovavamo e donne attraenti che danzavano e colori caldi e tenui e mio zio teneva un neonato fra le braccia e i suoi occhi erano come membrane chiuse, mio zio mi parlava e io lo ascoltavo, poi eravamo un’altra volta dentro la casa di Aphex e c’era mio nonno e l’ho guardato e mi ha detto qualcosa e il fuoco era spento e un silenzio ci ha avvolti e non c’era più nessuno a prendermi per mano e tutto sarebbe cambiato solo per cominciare ancora e ancora e ancora.

lunedì 7 febbraio 2022

Orgiva #69

I cicli di creazione e distruzione e tutte le belle parole e tutte le stronzate che uno finisce per raccontarsi e Sara che urla nella stanza e comincia a picchiarmi sul petto e poi butta via la chiave della casa dove vivevo, gettandola dal suo terrazzo solo perché le avevo detto che avevo voglia di scoparla e a un certo punto di questa storia scompariranno anche i volti dei personaggi del pueblo e soprattutto si azzittiranno le loro voci, non mi interessavano più, avevano iniziato ad annoiarmi, lo scrittore era soddisfatto del lavoro svolto e io volevo solo tornarmene a casa mia, a Roma, almeno per un periodo e ritrovarmi fra oggetti e visi familiari e riposarmi per poi riprendere il cammino, ovunque esso mi avesse portato.

La notte qualcuno si era sentito male nell’appartamento, vomitandosi l’anima e alcune porte erano state aperte e altre erano state chiuse e c’erano musei onirici nei quali avevo vagato e telefonate a cui non avevo risposto e oscure sensazioni che tornavano a farmi visita ed erano anni che non le provavo, c’erano ancora spiagge dimenticate nel riverbero del sole, ricordi sotto la sabbia e dentro la pelle, i respiri della gioventù e la nostra vita che svaniva un giorno dopo l’altro e le mattine dorate dell’infanzia e le sere cariche di promesse dell’adolescenza, quelle che nessuno avrebbe mantenuto, la quiete di un tramonto d’estate, quando le rondini volavano veloci nel cielo fuori dalla finestra della mia camera e una poesia che non ho mai avuto il coraggio di scriverti, un salto nel vuoto e una caduta che sembra essere senza fine, ad aspettarmi ci sarà sempre un nuovo inizio ma io gli volterò le spalle, senza sapere dove andare, senza sapere cosa fare, cercandoti, cercandoti, cercandoti ancora.


venerdì 4 febbraio 2022

dream #103

 C’era stata una festa e c’erano stati dei vicoli bui nei quali avevo camminato e io e Sara eravamo nella machina di Adé a fumare hashish e a parlare e lui era ubriaco e se ne stava con una bottiglia di vodka in mano in una stanza di una casa di sconosciuti e c’era, da qualche parte, uno spaccio notturno di alcol e una fila di persone che aspettavano lì fuori il proprio turno, poi qualcuno, nella coda, tira fuori una pistola e ordina a un uomo eritreo di alzare le mani, poi lo perquisisce e gli trova in tasca un piccolo pacco esplosivo e nel cuore di tutti noi si affaccia la paura e il silenzio che segue ogni spavento e c’è una bambina che tengo in braccio e lei mi guarda e in questo lieve contatto tutto il dolore e lo smarrimento di questa vita sembrano svanire e anche la mia mente non è altro che una presenza passeggera, un attimo di eternità in una eternità di attimi, un attimo di amore così puro che è ancora il tuo cuore che batte contro il mio a svelarne i segreti, poi le vaghe stelle nel cielo di una notte dimenticata e la bruma che sale intorno alla cima di una montagna, la mattina, quando mi sveglio e nei miei respiri disegno ancora le linee del tuo corpo mai nato.


mercoledì 2 febbraio 2022

Orgiva #68

Una delle sfide che il pueblo mi offriva sembrava essere quella di poter vivere come un’ombra fra i suoi vicoli tentando di mantenere  un personale e misterioso equilibrio psichico e alcolico, scattando foto e soprattutto cercando di non uscire fuori di testa. Le occasioni per farlo, per impazzire, erano molteplici vista la moltitudine di folli e bizzarri e grotteschi personaggi che apparivano e svanivano in questo luogo che giorno dopo giorno apparteneva sempre di più agli avamposti della mia immaginazione. Durante la notte il doppio assurdo e alterato di questo labirinto di psicosi psichedeliche si ripresentava nei sogni, in volti e corpi che il giorno poi trasfigurava negli incontri improvvisi che mi capitavano, si nascondeva qualcuno dieto queste maschere? Domandava lo scrittore accendendosi un cigarillo e dando un sorso dalla sua copa di sol y sombra. Difficile dirlo, rispondevo dopo aver posato la mia cerveza sul tavolo, non sapevo veramente se era solo lui, lo scrittore, a dare vita e spazio alle eccentriche personalità del pueblo o se queste esistessero in maniera indipendente, al di fuori del suo sguardo e delle sue parole.

Anche io mi limitavo ad osservarmi intorno e questa mi pareva la cosa migliore da fare, rimanermene in disparte, seduto su una panchina al sole o a scolarmi una birra in casa in attesa che l’ispirazione arrivasse, chiamandomi per nome, con il suo magnifico flusso di idee, pensieri, immagini, suoni, colori - Un caleidoscopio di estasi artistica che mi avvolgeva, mi possedeva e mi faceva sentire vivo e presente e parte di questa perenne illusione che diveniva reale solo quando la mia mente si trovava in questo stato di alterazione creativa, lontano dalle preoccupazioni quotidiane degli altri e da quelle poche che ancora turbavano il mio cuore.

Si andava avanti così, bugia dopo bugia, inganno dopo inganno, sconfitta dopo sconfitta, era una lenta e graduale liberazione, poi ci avrebbe pensato la morte, finalmente, a trasformarci in luce e io avrei sorriso di lei, di me, di tutto quanto e me ne sarei rimasto quieto nel centro stesso dell’eternità dorata che ogni cosa racchiude e che ogni respiro illumina e trascende. 

freewheelin' #81

  Frammenti di una festa in differenti momenti del giorno e della notte, una bambina araba che mi prende per mano e suo padre che riceve inn...