venerdì 5 luglio 2019

Bryn y Blodau #1

Il diario scritto da un uomo vissuto dentro una carrozza degli zingari, le coperte alle finestre, la piccola stufa in un angolo, le pentole, le candele, i tappeti, il rumore della pioggia, gli alberi ancora spogli, un falco che volteggia nel cielo, i sogni, notte dopo notte, una seconda vita narrata in segmenti onirici, episodi di un film diretto dal subconscio, realtà parallele, giorno dopo giorno, i semi nella terra umida, i vermi, la legna da raccogliere, l’acqua e la sua purezza, una fonte, un sentiero, una casa circolare, i disegni, uno sciamano siberiano, il ritratto di un’anziana donna afghana, il temazcal, i cactus di San Pedro in vasi colorati, gli echi delle preghiere di altri popoli, diverse culture che danzano sulle assi di legno di questa dimora, mangiavamo con le mani, la sera, dopo avere preparato e cucinato il nostro cibo, le donne si riunivano nella yurt, una volta al mese, seguendo le fasi della luna e quelle del loro ciclo, cantavano e il tamburo batteva ipnotico, le storie che Samara raccontava ai propri figli, seduta su una vecchia poltrona sfondata di pelle rossa, facendoli addormentare, i ricordi di mio padre, mentre anche io la ascolto, in silenzio, seduto in disparte, i cesti appesi alle travi del soffitto, le piume di uccelli svaniti dal mondo, perché come loro anche noi siamo destinati a scomparire, tutti noi, a sfumare lentamente come la luce di un tramonto d’estate, la vita ci attraversa in un ciclico divenire, la terra è bagnata, le nuvole disperse, la pioggia ha smesso di cadere.

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