domenica 11 agosto 2019

Bryn y Blodau #4

I flussi neri dei pensieri notturni erano passati, svaniti nell’aria luminosa di una nuova mattina. Era rimasta una macchia bluastra sull’unghia del pollice della mano sinistra e un’attenzione speciale per i dettagli, soprattutto se si stava usando un martello per sistemare una porta squilibrata su sconosciute dimensioni organiche. Le foglie delle piante erano enormi, larghi ventagli di un verde scuro e ombroso, gli stemmi sfumavano fra il blu, il bianco e il rosso, pulsando lentamente. Erano queste le parti che utilizzavamo per la preparazione di pozioni psicotrope. Qualcuno aveva avvertito le autorità del Controllo Mentale e c’erano state perquisizioni e avvisi di sgombero e piani quinquennali di futura demenza senile e legislazioni medievali e antichi fasti burocratici in castelli di carte kafkiani e Samara guidava la macchina nella nebbia, quella delle colline e dei suoi pensieri confusi, ridendo, a tratti, ancora abbastanza stonata dall’erba, aprendo nuovi scenari narrativi che lo scrittore archiviava nella sua stanza dalla pareti elettriche, in attesa di possibili rielaborazioni creative, poi le cartelle digitali poggiate sul piano colorato di una scrivania invisibile, le immagini, i suoni, i filmati nascosti, c’erano le copie di infiniti mondi filmici all’interno di ogni schermo nel quale guardavamo, droghe visive a cui ognuno poteva avere accesso per mettere in scena la propria dipendenza oculare. Pioveva leggermente, quando ci siamo fermati alla stazione di rifornimento, sono entrato dentro per comprare del vino ma la proprietaria mi ha detto che non aveva la licenza per vendere alcolici, ho bestemmiato piano, nella mia lingua, poi ho osservato il riflesso di un corpo in uno specchio sulla parete, vestito come uno straccione, un vagabondo ed ero io e la donna deve essersi spaventata nel vedermi così conciato o forse era tutto assolutamente credibile e il mio personaggio reggeva la parte insieme al suo costume di scena, il regista sussurrava ad un collaboratore che ogni inganno era reale e che non bisognava aggrapparsi a finzioni soggettive della psiche, poi siamo tornati indietro, senza vino e nella casarotonda Samara ha suonato il flauto, una melodia che sembrava come nebbia leggera intorno al picco di una montagna cinese, sulla quale ritirarsi a meditare, un’aria musicale lenta e riflessiva, fatta di nuvole e alberi ancora spogli, mi sono sdraiato e l’ho ascoltata ad occhi chiusi.
Tutte le gabbie di pensieri in cui mi sono isolato, c’erano i sogni a trasformarne le sbarre in spazi aperti e lucenti, dove gli incontri inaspettati erano ancora possibili, i film onirici trasmessi nella sala cranica della DreamTv, dove non c’erano distinzioni fra lo schermo e ciò che vi veniva proiettato sopra, quelle immagini erano la realtà di un cinema privato e inaccessibile ad altri, mi sarei risvegliato in un luogo, un giorno, in cui nessuno mi avrebbe riconosciuto, le storie che avrei raccontato sarebbero svanite dalle labbra e insieme alle parole il mio corpo sarebbe diventato un doppio di pura e selvaggia immaginazione.

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