giovedì 2 luglio 2020

Lucidità (2006)

Era tutto così limpido quella mattina. Il cielo, l’acqua del mare, l’aria. Ero uscito sulla terrazza e il sole stava nascendo. C’era qualcosa di così dolce e primordiale in quel momento che si ripeteva da millenni che rimasi inebetito a guardarlo. C’era una purezza dimenticata, che molti non vedevano più, alzandosi solamente quando il sole era già alto. Pronti a lavarsi e a fare colazione e a correre verso l’ufficio, il lavoro o qualunque cosa l’aspettasse là fuori.

Io l’alba non la vedevo per altri motivi. Stavo sempre così sconvolto che il tempo aveva perso la sua importanza. Mi svegliavo quando tutto era buio con la certezza che fosse giorno oppure mi addormentavo quando la luce del mondo era più splendente, fantasticando su una congiura delle divinità ai miei danni per farmi impazzire.

Più semplicemente il mischiare di continuo droghe di tutti i tipi mi stava facendo andare fuori di testa.

Più semplicemente non ci stavo capendo più un cazzo.

Però quella mattina era stato diverso. Avevo aperto gli occhi ed ero lucido,  sobrio, avevo bevuto un bicchiere di succo d’arancia ed ero uscito sul terrazzo a guardare l’alba.

E stranamente non avevo i postumi di niente, non avevo paura, non ero furioso o arrabbiato come spesso mi capitava e soprattutto non avevo nessuna voglia di assumere sostanze.

Rimasi così fino a quando il sole divenne più arancione e mi venne in mente un uovo. Quello delle galline. Che cazzo c’entrava, difficile dirlo. Pensai alle uova appena fatte, a come il giallo del tuorlo era quasi bianco e poi pensai alle uova industriali, il tuorlo era sempre più scuro, proprio come il sole di adesso.

Guardai la spiaggia sotto la terrazza, alcuni gabbiani stavano planando  dal cielo, incuranti di tutto, poi feci una panoramica visiva e vidi una macchia nera che si muoveva in lontananza. Incuriosito rientrai dentro casa e cercai un binocolo, lo trovai non so come dentro un cassetto che saranno state settimane che non aprivo.

Ora vivevo in una villetta sul mare. Non troppo grande ma giusta per me. Era il luogo ideale per scrivere. 

Presi il binocolo e ritornai sulla terrazza. Ritrovai la macchia nera, misi il binocolo davanti agli occhi e guardai.

La macchia nera erano due persone che stavano scopando.

Due persone di colore.

Lui ci stava dando dentro alla grande, stava sopra, lei anche sembrava divertirsi, a gambe divaricate.

Continuai a guardarli.

Non dico che li invidiai, ma il senso del mio stato d’animo era quello.

Rimasi incollato ancora un po' alle lenti del binocolo. L’uomo si stese, la donna iniziò a succhiargli il cazzo o almeno è quanto credetti di vedere.

Il sole stava salendo. L’alba era passata, la purezza anche. Tornai in casa e buttai giù un paio di Xanax, tanto per trovare quella tranquillità chimico-zen che mi serviva. Magari dopo avrei preso un po' di speed e mi sarei messo a scrivere.

Pensai ai due che scopavano. Meglio per loro, conclusi.

Presi Feel degli Animal Collective e lo misi nel lettore cd.

Un altro bicchiere di succo d’arancia e mi stesi sul divano ad ascoltare la musica, aspettando che lo Xanax facesse effetto.

Avevo un amico che mi rimediava le ricette, lo pagavo, tutto a posto, niente di strano.

Quanto era che non scopavo?

Quanto era che non vedevo qualcuno?

Quanto era che non facevo una corsa o una passeggiata sulla spiaggia per tonificare i miei muscoli?

Che pensieri di merda mi arrivavano ogni tanto in testa, queste proiezioni delle mie preoccupazioni, queste paranoie che mi dicevano che le cose non andavano, che c’erano e sempre ci sarebbero stati problemi da risolvere. Più o meno funzionava così, ogni volta che un problema veniva risolto ti affaticavi per trovartene un altro che potesse affliggerti. Se avevi da scopare erano le droghe a mancare, se avevi le droghe non avevi una casa dove stare, se avevi una casa non avevi amici con cui divertirti.

Tutte cazzate, pensai. La tranquillità dello Xanax iniziò lentamente ad impossessarsi di me. Nell’angolo visuale del mio occhio destro vidi qualcosa muoversi, effetti collaterali dell’acido, pensai.

La musica andava che era un piacere, era partita Grass.

Pensai alla primavera, ai fiori che sarebbero sbocciati, agli alberi e alla mia cazzo di allergia che mi avrebbe fatto passare un mese di merda a starnutire con il moccio al naso.

Proprio in quel mese che era il più bello di tutti.

Quando si dischiudevano le aspettative dell’estate.

Grandi viaggi e grandi scopate.

Certo.

Mi alzai e accesi il computer, controllai quanto avevo scritto ieri, corressi gli errori e basta.

In tutto una mezzora di lavoro, mi stava venendo sonno, mi buttai sul letto e mi addormentai.

Quando mi svegliai mi accorsi che era già pomeriggio inoltrato, fanculo allo Xanax, pensai, mi alzai e preparai due strisce di speed per iniziare a lavorare.

Eccitato dalle due botte me ne andai fuori sulla terrazza a vedere il sole che stava svanendo. Cazzo, era stata una giornata unica. Avevo visto l’alba e il tramonto e nulla in mezzo. Avrei dovuto vivere sempre così, nei due momenti migliori della giornata e basta. 

Respirai a fondo, reso super attivo dalle anfetamine, qualcosa dovevo fare, mettermi a scrivere sembrava la scelta migliore.

Misi il portatile sulla terrazza, caricai un bicchiere con gin e acqua tonica e ripartii da dove ero rimasto l’ultima volta.

Il sole era quasi scomparso, il cielo stava sfumando tra l’azzurro, l’arancione e il viola, accessi un paio di candele per creare l’atmosfera giusta.

Pensai all’uomo e alla donna di colore, chissà se stavano scopando di nuovo.

Presi il binocolo e tanto per essere sicuro diedi un’altra occhiata dalla parte in cui li avevo visti la mattina.

Niente da fare.

Nulla.

Forse avevano trovato qualcosa di meglio da fare. Difficile trovare qualcosa meglio del sesso, pensai.

Scrissi per un paio d’ore, poi l’effetto dello speed scese e mi resi conto che erano quasi due giorni che non mangiavo un cazzo.

Aprii il frigo e mi preparai qualcosa, mangiai sulla terrazza scolandomi una  bottiglia di Chardonnay.

Misi su un altro cd, il concerto di Santana a Fillmore del ‘68. Mi rollai una canna d’erba e ritornai sulla terrazza a fumare.

Le stelle erano arrivate, mi sentivo bene e il libro stava andando alla grande.

Chiusi gli occhi, raggiunsi la notte e insieme danzammo sotto la luce lunare.

Due corpi estranei uniti da un’infinita lontananza senza nome.


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