giovedì 5 gennaio 2012

Nicotina



L’uomo era seduto a metà dell’autobus, vicino ad una signora che leggeva un libro di poco valore. L’uomo teneva una sigaretta finta in mano, una di quelle che servivano a smettere di fumare. E aveva l’aria stanca. Aveva l’aria di un cocainomane che è rimasto senza la sua polvere. E attende. E si sente senza energia. E senza stimoli. E la vita gli appare piatta. E senza significato. E tirava boccate di nulla dalla sua sigaretta finta. E un modo per torturarlo sarebbe stato quello di avvicinarsi, con un pacchetto di sigarette appena aperto e fargli odorare una bella marlboro rossa.

La donna guardava il suo uomo seduto e gli lanciava occhiate che esprimevano un misto di tristezza e supplica. Quella di avvicinarsi. A lei e ai loro figli. Un bambino e una bambina. Che intanto si muovevano per l’autobus, si alzavano e si sedevano e ogni tanto lanciavano occhiate al loro padre con la speranza di una risposta, di un cenno, di una emozione. Ma l’uomo era troppo stanco e il suo stomaco sporgente (che si vedeva anche se era seduto) raccontava una storia alcolica fatta di migliaia di birre. I suoi occhi non tradivano la minima felicità, c’era solo stanchezza. E attesa. Di qualcosa che non sarebbe mai venuto. I soldi per la coca non c’erano perché i figli prendevano tutto il suo stipendio. Come non ci sarebbe stata nessuna sigaretta, una volta sceso dall’autobus. Solo squallide tirate di un fumo finto e senza sapore.

La donna prese il suo cellulare e iniziò a giocarci. O forse mandava messaggi ad un altro uomo con l’illusone che l’amore o una semplice emozione tornassero a fare parte della sua vita. Le altre persone sembravano distanti, chiuse nei loro piccoli mondi di merda.

Lo scrittore guardava, aspettando che la psilocibina iniziasse a fare effetto.

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