lunedì 19 agosto 2013

homesick #2

Ci siamo seduti su un prato, io e Maria, sopra un pareo verde con disegni polinesiani. Ho stappato una birra e ho dato un breve sorso, avevo preso una pillola di zirtec qualche ora prima e una sonnolenza diffusa si era già impadronita del mio corpo. Lo zirtec e l’alcol non andavano d’accordo e quindi mi ero promesso di bere poco. Maria ha dato una sorsata più lunga, quando le ho passato la lattina, poi ci siamo guardati negli occhi, i suoi erano di un meraviglioso marrone, sembravano splendere, in alcuni momenti. Prima di sederci ci eravamo fatti un giro fuori dal Forte Prenestino, c’erano parecchie bancarelle con vestiti e roba da mangiare, da un freak con lunghi capelli rasta e barba da profeta ho comprato un paio di biscotti magici, preparati con burro, marijuana e hashish. Ne ho mangiato metà del primo mentre ero seduto sul pareo, l’altra metà l’ho  data a Maria. Aveva un buon sapore, speravo che l’effetto fosse altrettanto piacevole.

Sono arrivati alcuni amici e insieme siamo entrati nel Forte. Nel tunnel d’ingresso c’era un odore pungente di erba, persone sedute su panche, luci bluastre, ci siamo fermati a fumare insieme ad alcuni ragazzi, poi abbiamo continuato a camminare. L’aria era più fresca, usciti fuori dal tunnel, le nuvole nel cielo erano grigio come quelle del fumo delle canne, poi l’odore della carne alla brace e la sensazione della pioggia in arrivo, l’effetto del biscotto iniziava a farsi sentire ed era gradevole, lento e rassicurante. 

Su uno dei palchi montati in una delle varie zone del Forte un chitarrista suonava musica blues, poi divagava nel rock, poi sprigionava potenza elettrica da riff secchi e fulminanti, con il piede batteva il tempo su una grancassa, ha iniziato a piovere, poco, la gente ballava, lo spazio era saturo di energia umana e vibrazioni epidermiche.

Siamo saliti verso un boschetto, c’erano parecchie persone ammassate tra loro, alcune sdraiate per terra su larghi teli colorati, la musica reggae e i colpi del basso nello stomaco, nel cuore, dipendeva da quanto mi avvicinassi o allontanassi dalle casse, non pioveva più e frammenti di sole bucavano, come aghi tossici, le nuvole nel cielo, c’era una casa costruita su un albero, un sentiero che proseguiva oltre la gente che ballava, ci siamo fatti largo e lo abbiamo raggiunto, ho mangiato un altro pezzo di biscotto e lo stesso ha fatto Maria, ci siamo presi per mano e abbiamo continuato la nostra passeggiata.

C’erano case ricavate sui fianchi di collinette e nella pietra, potevamo solo vedere la misera porta d’entrata con una rudimentale canna fumaria che usciva fuori da un buco, c’erano piccoli orti e vasi con cactus sudamericani, ho pensato subito alla mescalina, poi bambini che giocavano, sereni, divertendosi con nulla, il sentiero continuava sotto gli alberi e c’erano altre persone e una generale sensazione di tranquillità, abbiamo fumato sotto un faggio seduti su una panchina di legno, davanti a una zona scoscesa che arrivava allo spazio di sotto, dove c’era il palco e una moltitudine di braccia in festa che ondeggiavano nell’aria, il sole adesso splendeva, le nuvole si erano allontanate, dei bambini scivolavano sulla terra lungo un pendio, ridendo come matti, sporchi e selvaggi, urlando tra loro, giovani spiriti dionisiaci nel loro splendore.

Siamo scesi nell’area del concerto e abbiamo comprato altra birra, c’era un gruppo ska ma le parole delle canzoni non mi convincevano, sembravano una farsa, la musica non era male e siamo rimasti ad ascoltarla.

Ha iniziato a piovere di nuovo, il cielo grigio e ci siamo spostati in una delle gallerie del forte, luci rossastre e fluorescenti colavano dai neon, graffiti e disegni acidi sulle pareti, sculture plastiche che venivano fuori direttamente dall’apocalisse, io e Maria fermi a cercare gli altri, mi si è avvicinato un piccolo bengalese, sembrava un bambino, ci siamo guardati, lui ha detto, erba? Io ho sorriso, che erba? Lui mi ha mostrato qualche cima di marijuana nella sua piccola mano, ne ho presa una ben pressata e l’ho portata al naso, aveva un buon odore, gli ho dato venti euro e lui me ha passate un altro paio.

Siamo usciti fuori dal Forte che ancora pioveva, ho comprato un ombrello da un altro bengalese e poi io e Maria ci siamo diretti verso la macchina di un nostro amico.

Continuava a piovere.

E la musica era ormai solo un placido eco nelle mie orecchie.



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