Aveva
passato gran parte della mattinata chiuso in una stanza, davanti al computer, a
fare una ricerca su un allucinogeno che veniva usato dagli indigeni che avevano
vissuto per centinaia di anni nel deserto di Atacama. Aveva visto le foto dei
resti dei loro attrezzi per polverizzare i semi, quelle delle cannucce per
tirarli. Botte forti e potenti che facevano arrivare la sostanza dritta al
cervello, in modo che potesse elaborare i dati sensibili in maniera differente.
Ogni tanto usciva dalla stanza e fuori, nella luce del sole, le cose apparivano
brillanti e reali, come i ricordi di quelle giornate quando era ancora un
ragazzo e giocava all’amore con una giovane fanciulla, sarebbero cambiati i
volti, i pensieri, sarebbero cambiate così tante cose eppure la luce, nei suoi
momenti estatici, sarebbe rimasta sempre la stessa.
Gli
avevano dato un contatto, un nome, Pavel L. (P.L.), doveva chiamarlo in serata
e vederlo. C’erano informazioni e sostanze e nuove informazioni su nuove
sostanze. Non sapeva se Pavel fosse pericoloso, non si preoccupava, aveva
fiducia in chi gli aveva rimediato il contatto. Si incontrarono in una piazza, piena
di stranieri, nel quartiere cinese, vicino all stazione. Pavel aveva una
valigetta e un aspetto anonimo. Lui era su una panchina, con un libro in mano.
Pavel gli si era seduto accanto e aveva parlato nella sua mente. Lui si era
girato e gli aveva sorriso. Si erano alzati in silenzio e si erano mossi verso
la stazione. Avevano cenato in un ristorante thailandese, parlando in arabo,
perché sembrava la lingua più adatta per discutere di quelle cose. Non bevvero
alcolici e le informazioni più importanti venivano trasmesse attraverso la
mente. Lui descrisse a Pavel le varie sostanze che erano in circolazione in
quel momento nelle diverse zone della città, gli raccontò della sostanza che si
poteva trovare nel quartiere cinese. Pavel gli disse che c’erano delle novità e
che ci sarebbero stati dei cambiamenti. Si salutarono fuori dal ristorante, lui
aveva in mano la valigetta di Pavel e si diresse verso casa.
Posizionò
la valigetta su un tavolinetto basso di legno rosso, poi si sedette a gambe
incrociate. Fece ruotare i numeri della combinazione. Qualcosa scattò. Dentro
c’erano diverse scatole, di varie dimensioni, un puzzle che riempiva tutto lo
spazio foderato di tessuto prezioso. Prese una piccola scatola dal colore blu
cobalto. Ne sollevò il coperchio. Dentro c’erano delle sottili radici che non
aveva mai visto. Ne prese due e se le mise in bocca, iniziando a masticarle
lentamente.
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