mercoledì 6 marzo 2019

freewheelin' #47

Ad occhi chiusi, le voci erano nuvole lente, la mente era il cielo, i respiri la luce, improvvisi movimenti sulle superfici, scatti visivi, fotogrammi sospesi di un film irrisolto fra realtà, ricordi e sogni, l’uomo vestito di bianco appariva in una finestra, davanti a una porta, una ragazza sembrava impaurita dalla sua presenza e poi i giorni che arrivavano a svegliarmi, uno dopo l’altro, come onde di un tempo continuo, i racconti che trasformavano le esperienze in qualcosa di unico e umano, perdevamo lavori, ruoli, gabbie e futuri plastificati per ritrovarci nel mezzo di una strada sconosciuta, senza piani, senza rifugi, solcavamo oceani di esistenze inventate, pianure di immaginazione al galoppo, poi una stanza improvvisa, le sue pareti dimenticate, le lunghe dita di una mano femminile, il loro contatto, sapevamo ancora come comunicare attraverso la pelle, gli sguardi, i movimenti del corpo, un linguaggio epidermico che diventava un codice di creatività sensuale ed erotica in attesa di un’interpretazione emotiva, tutto era di nuovo possibile, cancellavamo frontiere, frantumavamo confini, sospendevamo barriere in ipotesi di personaggi smarriti, nomi inventati sulle pagine di fumo di un romanzo mai scritto, bruciato ed amato, non c’erano più età a dirci come dividere le fasi della vita, continui passaggi, un ciclico ed irripetibile teatro di fluida folgorazione alcolica, lubrifichiamo i pensieri, lasciamoli tremare, inneschiamo brividi che esplodano in lucide rappresentazioni oniriche, disegniamo gli scenari di un subconscio ghignante, attraversiamo composizioni architettoniche in bilico sul confine della ragione, i canali criptati, i video che le anfetamine velocizzano in elettrocardiaci messaggi subliminali, inquadrature del mio corpo nudo nei boschi, estasi sessuali solitarie, gli alberi che  continuavano a chiamare il mio nome, sarei fuggito dagli orfanotrofi di asfalto e cemento per raggiungerli ancora, eravamo intrappolati in un gioco di specchi infinito, risveglio dopo risveglio, sequenza dopo sequenza, il regista è seduto nel suo impermeabile grigio e verde sulla panchina impolverata di una stazione ferroviaria invernale, un tossico gli chiede di autografargli il braccio con una siringa di tenace stupore, aspettami qui, sussurra l’attrice in un bagliore di momenti svaniti, aspettami qui, in un giorno di cui nessuno avrà memoria, abbracciami ancora, scena dopo scena, addio, dopo addio, abbracciami ancora, perché è in ogni separazione che vivremo il segreto ultimo di tutto quello che da sempre ci ha unito.

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