venerdì 16 marzo 2012

Mustafa



Mustafa stava seduto ad un tavolino del sancalisto e beveva vino bianco, cercando di vendere qualche braccialetto africano a chi aveva vicino. La maggior parte delle persone gli diceva di no, io mi ero seduto ad un tavolino accanto a lui, avevo preso un vodka tonic e mi ero accesso un wilde aroma. Mustafa mi aveva chiesto se volevo un braccialetto, gli avevo detto di no. Poi non ho capito per quale motivo ha iniziato ad alzare la voce e a prendersela con un peruviano seduto poco lontano da noi, che si stava lavorando una ragazza russa con le cosce di fuori. O forse era il contrario, forse era la ragazza russa che si stava lavorando il peruviano. Mustafa si era abbastanza incazzato, forse perché il peruviano non gli aveva voluto comprare un braccialetto o forse per qualcosa che gli aveva detto. Mustafa si era agitato. Aveva iniziato a dire, ad alta voce, che i negri erano sfortunati, che se nascevi negro era una battaglia continua e insultava il peruviano dicendogli che lui non era né bianco, né nero, semplicemente cacca. Era uscito uno dei baristi del sancalisto e molto tranquillamente aveva detto a Mustafa di abbassare la voce e di farla finita con le sue stronzate negre. Io continuavo a sorseggiare il mio vodka tonic e a fumare, poi io e Mustafa ci siamo messi a parlare. Mi ha detto che si era sposato con una donna italiana, che aveva quarantatre anni, che da diciotto viveva in Italia e che era nato in Senegal.

Poi mi ha detto che alle donne italiane piacevano i negri perché scopavano bene, mi ha detto che sua moglie l’amava perché lui le dava il cazzo, ogni volta che lei voleva. Mi ha detto che gli uomini italiani non sanno scopare bene e che la maggior parte di loro sono froci. Con i volti lisci e i vestiti firmati. Ho sorriso. Allora gli ho detto, tu sei un oggetto. Tua moglie ti usa solo per scopare. Gli ho detto, allora hai un contratto con tua moglie, un accordo, lei ti dà la casa, i soldi, i vestiti e tu le dai il cazzo, Mustafa non sembrava molto d’accordo, allora, gli ho detto, per te scopare è amare. Lui ha sorriso, mi ha detto, esatto, amare è scopare.

Ho finito il vodka tonic e sono andato dentro a prendere una gran riserva, Mustafa aveva attaccato il secondo bicchiere di vino bianco. Mi ha detto che alle donne piace scopare, solo che sono troppo orgogliose per ammetterlo, mi ha detto che una donna ti ama solo se la scopi come cristo comanda, che i negri scopano bene perché continuano e continuano senza fermarsi. Poi gli ho detto che insegnavo italiano e lui mi ha detto che insegnava tedesco. Gli ho detto che la vita ci dava dei ruoli da interpretare, Mustafa si è agitato un’altra volta, non gli piaceva quella parola, diceva che non significava nulla, diceva che quello che io chiamavo ruolo in realtà si chiamava lavoro, gli ho detto che ogni lavoro è un ruolo che dobbiamo interpretare, il mio quello del professore di italiano, il suo quello del venditore di braccialetti, per lo meno in questo preciso momento, mentre eravamo seduti a bere, forse in un altro tempo, in un altro luogo, i nostri ruoli sarebbero stati differenti, lui mi ha detto che stavo facendo filosofia. Poi si è acceso una sigaretta e io ho dato un sorso alla gran riserva.

Poi mi ha detto che vendendo i braccialetti non si guadagnava un cazzo, che sarebbe stato meglio vendere droga ma che lui non voleva farlo. Gli ho detto che ero d’accordo, che il mercato della droga era sicuramente migliore di quello dei braccialetti. E si facevano più soldi.

Mi ha detto che lui era un fuori classe, che pensava bene, che giocava con i cervelli delle donne bianche. Lo guardavo negli occhi, erano acquosi. Forse aveva bevuto troppo, comunque i neri non reggono bene l’alcol. Mi sono rollato una sigaretta. Lui ha dato un sorso al vino. Non sapevo se avesse ragione e in fondo non me ne importava nulla. In un altro luogo, in un altro tempo avremmo continuato questa discussione. Mi alzai, salutandolo e me ne andai verso casa. La gran riserva era finita.

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