domenica 1 settembre 2013

homesick #5

C’erano quelli che tornavano a casa la sera ad avvelenarsi il sangue con cibo e vino scadenti, televisione e notizie andate a male, masticando a bocca aperta davanti ai volti idioti che si agitavano sul piccolo schermo. Ne avevo avuto abbastanza, le uniche immagini che continuavo ad osservare erano quelle proiettate nel cinema mentale (e, a essere sinceri, quelle pornografiche sul computer) e una volta accantonate (per un paio di settimane) le canne, la luce che arrivava dai mondi onirici creava di nuovo sulla tela dei miei occhi chiusi visioni inconfondibili. Mi muovevo in quelle assurde dimensioni spaziali notte e dopo notte e in questi giorni di lucidità mi sembrava così significativo pensare che il cervello fosse la droga più potente che avessimo a disposizione. Bastava imparare a conoscerlo, ad utilizzarlo, invece di perdere tempo dietro la tecnologia, bisognava capire come far rilasciare alla materia grigia rinchiusa nella scatola cranica le sostanze che volevamo. Lo stesso effetto te lo potevano fare le persone, era una ricerca interessante e qualcuno doveva portarla avanti. 

Vivevo in una stanza con lo stretto necessario, pochi vestiti, alcuni libri, il computer. Il mio obiettivo era cercare di liberarmi da tutte le trappole, da tutti i bisogni, dal trucco di cui eravamo schiavi,  quello del consumo,  di questa immensa messinscena orchestrata da un manipolo di porci che grugnendo si cibavano delle nostre illusioni. Cercavo anche di eliminare tutti i metodi che la società ci aveva messo a disposizione per calmarci, gli alcolici soprattutto, provavo a bere poco, non che rifiutassi l’ebbrezza alcolica, la festa, il rituale bacchico o l’esaltazione dionisiaca, ma la cazzo di birra per riuscire ad addormentarsi o per sparare stronzate l’avrei anche potuta evitare e lo stesso discorso valeva per il fumo o l’erba, non  dovevo farmi una canna per rilassarmi o addormentarmi, dovevo trovare tutte le risposte, le infinite possibilità, dentro me stesso, doveva bastare un semplice respiro per porre fine allo scorrere disordinato dei pensieri intrisi di sciocchezze, la mente era assalita costantemente da tutta una serie di problemi irreali, che se non controllati, ti avrebbero fatto impazzire. 

Quando ero concentrato sul respiro, scorrevo nella vita e seguivo quel flusso di attimi senza interruzioni, una volta al suo interno non c’era più niente di cui preoccuparsi, le cose venivano, passavano e noi insieme a loro.


C’era un vecchio che dormiva davanti al Verano, su una panchina,  e accanto a essa c’era una macchina dove vivevano altri due miserabili. Ogni tanto ci passavo vicino, quando parcheggiavo da quelle parti, cioè quasi sempre, lasciavo la mia auto proprio in faccia a un divano che qualcuno aveva buttato sotto ad un albero, mi piaceva da morire quel divano, il vecchio e i suoi compari bevevano vino e ci si sedevano sopra aspettando la notte, la loro caduta era libera, tanti uomini sceglievano o forse erano costretti a precipitare in questo modo nell’abisso, mi sentivo leggero, erano settimane di luce interiore che splendeva in continuazione, era il centro del mio essere che respirava e irradiava vita, in un mondo di ombre ostili l’amore mi sembrava l’unico atto di rivolta ancora possibile.


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