martedì 10 settembre 2013

homesick #6

L’estate era passata in maniera disordinata e caotica, avevo vagato sotto il sole d’agosto per le strade intorno a Piazza Vittorio e Termini, vie lucenti piene di persone, mi sentivo leggero, per tutta l’erba fumata nei giorni e nelle notti, le solitarie pratiche masturbatorie, atti di purificazione, rituali primitivi che avevo scoperto negli antri oscuri di caverne mentali, vagavo senza una meta, leggevo Delitto e Castigo, Raskolnikov era nei miei pensieri, percepivo la sua visionaria psiche, i  morsi della fame e della miseria, la follia, la povertà, il delirio dopo il duplice omicidio, la scure nascosta sotto il giaccone strappato, la pietà per le sofferenze altrui e le strade che vedevo mi sembravano quelle di Sanpietroburgo, i miserabili erano africani, bengalesi, indiani, alcuni se la passavano meno peggio di altri, eppure mi trovavo a mio agio fra quella umanità, come mi trovavo a mio agio nei luoghi in cui camminavano le puttane e gli spacciatori, alcuni di loro mi avevano iniziato a salutare anche se non compravo niente, erano ragazzi arabi e li vedevo fare i loro piccoli traffici senza che se la prendessero troppo se la polizia gli girava intorno o venivano perquisiti, erano furbi, la polizia era stupida, era un gioco che avrebbero continuato a vincere, qualcuno si sarebbe fatto anche beccare, ma la maggior parte di loro sapeva come funzionava la strada e come comportarsi.
 

Nella luce del cielo, seduto sotto un albero, le tue tenere gemme di maggio, i tuoi capelli e le tue mani, le donne che continuavo a vedere ed incontrare, avevano tutte le età, doveva essere il mio momento magico, speravo che molte di loro continuassero ad amarmi negli anni a venire, sapevo bene che difficilmente sarebbe stato così ed era ancora una volta il cielo a farmi respirare lentamente, le scie degli aerei, le bianche scie, le immagini di Amsterdam tornavano dentro i miei occhi, alcune mattine, insieme a quelle della Sardegna, un giorno mi ero messo a piangere solo sentendo l’odore della sabbia sul mio telo da mare, camminavo ad occhi chiusi ed ero sulla spiaggia, la mattina presto, non c’era nessuno, l’aria fresca, i fischi dei gabbiani, i passi lenti, il primo tuffo, i libri da leggere, aprivo gli occhi, c’erano i marciapiedi e la gente e il calore dell’asfalto eppure quel mare, quella sabbia, quei colori e quegli odori continuavano a vivere dentro di me, un ultimo abbraccio prima che tu vada via, quanti addii dovrò ancora darti prima di vederti ancora al mio fianco?


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