venerdì 22 novembre 2013

homesick #7

Di erba, a casa, ce n’era sempre tanta e quando finiva qualcuno andava a  comprarla di nuovo, era semplice, sedersi in cucina la notte a fumare, ascoltando la pioggia che cadeva fuori dalla finestra, era un mistero il modo in cui i colori diventavano così liquidi, il rumore delle gocce sulle superfici metalliche, c’erano mantra nella mia mente che andavano ripetuti, fino a quando il pensiero finiva per annullarsi e rimanevano i respiri e gli occhi chiusi e il mondo interiore e il silenzio. L’oscurità e l’oblio, il vortice e l’abisso. 

Il tempo rallentava, il corpo si alleggeriva, le nuvole erano poco distanti, attraversare gli spazi azzurri, quelli blu cobalto della notte, toccare le stelle, mentre i tuoi occhi tramontano ad ovest e rimangono riflessi dorati tra i tuoi capelli e il loro odore e la pelle che sfumava, quella distanza fra le mie dita e il resto, immobile, un attimo prima del salto, un intenso attimo prima di cadere, le lacrime che scendevano dalle tue guance, in un caldo silenzio, più forte di qualsiasi abbraccio, sentivo le emozioni nascere e trasformarsi nel tuo cuore, sentivo il dolore e la delusione, sentivo il bisogno che provavi e la tristezza che accompagna ogni sogno d’amore che svanisce e queste emozioni, anche se oscure, cupe, dense di sofferenza erano allo stesso tempo pure e incontaminate, erano meravigliose, perché reali e vive e silenziose, non avevano bisogno di parole per manifestarsi, erano ovunque dentro di noi, nei brividi, nei pensieri, negli occhi, la distanza che diventa contatto, ti accarezzo i capelli, ti abbraccio, sento dentro di me la tua stessa angoscia che scompare, che diventa luce nel buio, un bagliore che aumenta fino a riempire ogni respiro, ogni gesto, ogni sguardo. 


Prendiamoci per mano, camminiamo nella notte, tra lacrime e baci, a ridere, a lasciarci nuove ferite, che splenda ancora il tuo sorriso come la luna che ci scruta in questo cielo d’oriente.  

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