alberi
e parchi, città dei sogni, panchine in ferro e legno, sdraiato nell’ombra,
sulle assi di legno, la testa appoggiata sui braccioli di ferro, un pareo
arrotolato, simile ad un cuscino, i richiami tropicali dei pappagalli, l’aria
calda, l’umidità si incolla sulla pelle, le nuvole elettriche nel cielo dell’ovest
che si rincorrono a velocità incontrollata, l’odore della pioggia e quello del
suo arrivo, sdraiato su una panchina, gli occhi chiusi/gli occhi aperti, un
uomo etiope che si prende cura di cavalli nani, gli dà il loro fieno, raccoglie
con una scopa e una paletta la loro merda, poi si sdraia anche lui, a
riposarsi, per terra, nell’ombra di un albero e attende, il tempo sembra
rallentare e respiro piano, i pensieri evaporano, una leggera brezza passa
attraverso la mente, scorrono le immagini, presente/passato, i baci di una
ragazza, i baci mai dati, camminare lungo i muri della città bruciata dal sole,
dimenticare il ritorno, le ombre delle foglie, proiettate su un muro, la loro
danza sfuocata, ci allontaniamo gli uni dagli altri perché le distanze siano
reali, dentro questo caldo vuoto mi immergo e galleggio, seduto su una pietra,
un lontano giorno d’estate, qualcuno parlava e diceva cose che avevo smesso di
ascoltare, alcuni sguardi, poi neanche più quelli, buongiorno/buonasera e nel
mezzo un benemerito cazzo.
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