domenica 3 ottobre 2021

Orgiva #61

 Sembrava di nuovo estate, quella dei miei vent’anni, con la luce e le scopate e le birre e il vento caldo nell’aria, l’odore degli eucalipti come quelli dell’Isola e il mare e le spiagge e il desiderio di vivere solo per il gusto di esistere, senza sapere, senza voler sapere quello che sarebbe successo dopo.


Era come tornare indietro e farlo senza l’obbligo di andare avanti e per questo rimanere fermi nel presente, immergendosi totalmente in esso, nei suoi giochi, nei suoi trucchi e al di là di ogni illusione volevo solo abbandonarmi al vuoto dorato di ogni respiro e gioirne in silenzio. E ancora gli uomini parlavano al bancone del Chico Bar e io mi sedevo in disparte a scrivere e sapevo che il vecchio Hank sarebbe stato orgoglioso di me se mi avesse visto, di quello che (non) stavo facendo, di quanto non me ne fregasse più un cazzo (te ne è mai fregato niente? domandava sorridendo lo scrittore) di giudizi e aspettative, di quello che gli altri pensassero o volessero da me, era l’arte dell’equidistanza, suggeriva qualcuno, nella mia mente, seduto sotto un albero nella posizione del loto.


Mi misi a parlare con Paul e gli dissi che prima o poi avremmo finito questo documentario sul Dragon Festival e che dopo avremmo iniziato qualcosa di completamente diverso, sarebbe stato importante filmare la vita, continuavo, nel suo invisibile e perpetuo manifestarsi, gli strambi personaggi e i grotteschi individui che si muovevano al suo interno, non dobbiamo programmare nulla, Paul, tornando al presente, tutto sarà improvvisato, senza ordine logico, senza sovrastrutture mentali, dobbiamo solo sbronzarci giorno dopo giorno e filmare e non capire più nulla di ciò che stiamo facendo e poi lasciare ogni cosa al suo posto e dimenticare questa realtà inseguendo visioni acide e questo è tutto quello di cui abbiamo bisogno, Paul, un film che esista solo nelle nostre menti, girato, proiettato e distrutto allo stesso tempo, creato e dimenticato, inseguito e perduto.


Chaz mi aveva descritto i sette gradi dell’alcolismo (e sentivo, con un brivido di eccitazione lungo la schiena, di trovarmi già fra il quarto e il quinto - Sei quasi arrivato, ghignava lo scrittore) e i dodici passi della disintossicazione, lo avevo ascoltato con interesse (forse perché ero già alla terza birra), ripetendomi silenziosamente nella testa che questa era la prima e ultima volta che lo sarei stato a sentire, mi aveva proposto di andare a vivere a casa sua (in subaffitto, visto che doveva andare a fare non so quali cazzi in Francia, forse a vendemmiare) e l’idea adesso mi sembrava del tutto improponibile, cominciavo ad averne le palle piene di ubriaconi e tossici e desperados vari, erano utili per lo scrittore e basta, poi il luogo dove vivevo lo volevo tranquillo e pulito, senza spazzatura umana intorno.


I figli che avrei avuto con Sara e non sarebbero mai nati, non mi ricordavo da quanto tempo non sentissi questo tipo di intimità con una donna e di appartenenza a tutto quello che ci univa e divideva nella danza del tempo, in quella del cuore e dei sentimenti, mi piaceva anche quando mi infilava un dito nel culo e un giorno le avrei permesso di scoparmi da dietro con qualcosa di più sostanzioso dentro.


Raccontiamoci i nostri segreti perché siano le bugie a dirci la verità, perché come ci ricorda il vecchio Lee in questa vita nulla è reale eppure tutto è permesso.


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