sabato 24 settembre 2022

fuori(Roma) #28

 Avevo parcheggiato davanti a una serie di edifici, a Pomezia, che sembravano la materializzazione degli incubi notturni di qualche architetto cubista alcolizzato - Visioni di brutalismo urbano - La campagna romana, ai lati della Pontina, era triste, silenziosa e abbandonata, quasi timida nell’attesa della primavera - Dove stavano andando tutte queste macchine che mi scorrevano accanto, mi chiedevo, mentre guidavo sul GRA, seguendo percorsi mentali che prefiguravano pensieri  che delineavano le architetture oniriche di un altro mondo - Quello umano mi sembrava solo una costante, grandiosa e poliedrica allucinazione, ogni cosa che avevamo creato era stata fatta a nostra misura solo perché la potessimo utilizzare e sfruttare, questo sadico determinismo, questa falsa evoluzione, come si era giunti fino a questo punto? Quale atroce e drastico errore era stato compiuto durante il nostro insensato cammino? Nella fantasmagorica moltitudine di infinite possibilità racchiuse nella Creazione in cui qualsiasi forma e sostanza immaginabili (o non) avrebbero potuto esistere, perché proprio noi siamo diventati la specie dominante? Perché? Ripeteva la mia voce anche se ero sicuro di non aver aperto bocca. 
Mi piaceva andare in macchina, piano, senza fretta, dimenticandomi di tutte quelle volte che avevo dovuto precipitarmi da un punto all’altro della città nel rispetto di orari puramente arbitrari: per il lavoro, le amicizie, lo svago, l’amore, il piacere. Era una ansia di movimento che avevo abbandonato, adesso era diverso, avevo tempo e la libertà di fare quello che volevo e non c’erano più voci a dirmi dove dovevo andare se non quella del mio cuore o quelle dei sogni e della mia fantasia. Mi fermavo da qualche parte, parcheggiavo, giusto per scrivere quello che andava scritto. Poi proseguivo senza nessuna curiosità di sapere dove sarei arrivato. Anche questa strada era solo una direzione possibile, fra migliaia e migliaia di scelte mai esistite.

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