lunedì 4 giugno 2012

stasera mi ammazzo



Mi ero seduto da una parte ad aspettare l’autobus e stavo ascoltando freak out di frank zappa, ero tranquillo, mi sono accorto che vicino a me sedeva un uomo, non sembrava messo tanto bene, ho visto le sue labbra muoversi, ma avendo le cuffie dell’ipod dentro le orecchie non ho sentito quello che diceva.
Mi sono tolto le cuffie, si?, gli ho detto, lui mi ha guardato e mi ha detto, stasera mi ammazzo, io sono rimasto in silenzio, non avevo nulla da dirgli, lui ha ripetuto un’altra volta, stasera mi ammazzo, io ho continuato a rimanere in silenzio, poi si è alzato e se ne è andato, nella mano destra aveva un busta di plastica con dentro quella che sembrava una coperta e altri stracci.

Da cosa era dovuta la mia indifferenza?
Quell’uomo mi aveva detto qualcosa di vero o era solo una frase buttata lì, da una persona con problemi, una di quelle frasi che ogni tanto si dicono quando stiamo particolarmente depressi.
E se fosse stato vero?
Se tra tutte le persone mi avesse scelto come testimone della sua morte?
Se dentro di lui avesse deciso di chiedere un ultimo aiuto e in caso di un’altra umiliazione si fosse andato ad uccidere?
Nel paio di minuti in cui l’avevo visto scomparire ho pensato a questo.
Non mi sono alzato. Sono rimasto seduto.
Ho di nuovo messo le cuffie nelle mie orecchie. Ho cambiato la musica.
I chemical brothers con further hanno iniziato a salirmi nel cervello.

Da cosa era dovuta la mia indifferenza?

Le persone con i loro problemi mi circondavano, a quanto pare incapaci di risolverli con le proprie forze. Mi circondavano le miserie e le pene di molte persone, a cui cercavo di regalare momenti di quiete, se non con il mondo per lo meno con se stesse.

Ma c’era qualcosa di ancora più prezioso.

Era quello che avevo dentro, che a volte condividevo e a volte volevo tenere per me.

Perché quando ero solo, chiuso in quella bellezza lucente, senza gli echi distorti delle parole, delle vite, dei dolori degli altri, ero felice e stavo bene.

E quella gioia, che avevo trovato, era la cosa più importante che possedevo.


Lei era appoggiata ad un piccolo muro di pietra e disegnava su un blocco di fogli bianchi. Ero seduto poco lontano, per terra e la guardavo disegnare. Gli occhi che si alzavano di scatto dal foglio, concentrati, a cogliere linee e proporzioni e forme. Poi mi guardava e sorrideva. Io rimanevo in silenzio.

Ci amavamo.

Ed era lei che mi abbracciava in quella stessa quiete, in quella luce, senza chiedere nulla.

Era lei, adesso, quella stessa felicità.

Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...