domenica 17 giugno 2012

Sileno



Era arrivato un messaggio sul cellulare, sul piccolo schermo c’era scritto armando diaz, ho aperto il messaggio e qualcuno mi scriveva sulla possibilità di fare il montaggio di un film e che il progetto stava per iniziare e se volevo partecipare.

Una ragazza era nella mia stanza e mi voleva vendere delle tavolette di hashish, mi sembrava che il prezzo fosse troppo alto rispetto alla quantità. Abbiamo trovato un accordo. Poi lei mi ha salutato e mi ha baciato sulle labbra, poi le immagini sono diventate più veloci e il montaggio ha creato un’ellissi temporale, ci siamo ritrovati dentro una macchina, lei mi diceva he ero un uomo affascinante, io me la sono messa sopra e ho iniziato a toccarle il culo.

Era da poco mattina e la strada era già piena di macchine, i colori del cielo erano tenui e delicati e in lontananza si potevano vedere le file di palazzi, il fumo bianco di alcune fabbriche, i lavori che stavano devastando il terreno per fare nuove strade, i mezzi meccanici, dentro la mia auto i suoni erano ovattati, le lenti rosse dei miei occhiali trasformavano il reale in una piacevole visione del futuro, il mondo avrebbe assunto quelle sfumature, un domani, quando i gas di scarico e gli agenti chimici avrebbero modificato l’aria e i colori o la nostra percezione, la mutazione faceva parte del processo evolutivo, un domani, mi dicevo, i colori non sarebbero stati più gli stessi o forse avremmo dovuto inventare nuovi nomi per classificarli.

Dentro la macchina. Fuori i getti d’acqua creavano milioni di goccioline che risplendevano sul parabrezza e sui finestrini laterali, mentre scivolavano verso il basso. Goccioline di acqua e sapone e solventi chimici ideali per ripulire la carrozzeria. Dentro la macchina i suoni erano attutiti, mi sentivo protetto, al sicuro. Cercai mentalmente dei collegamenti con l’essenza stessa dell’automobile, respirai lentamente e mi dissi che il mio corpo era quello della macchina, che l’acqua che colpiva la macchina colpiva anche il mio corpo, mi trovavo dentro di lei, come in una meditazione trascendentale, ancora più a fondo, quindi, dentro me stesso. Il corpo della macchina, l’anima della macchina, il mio corpo, la mia anima. Ero sceso di quattro livelli e le mie percezioni dovevano cogliere quanti più stimoli possibili. Mi espandevo e rientravo dentro, seguendo i respiri.
L’esperienza estetica della luce riflessa nelle goccioline, miriadi di scie umide e luminose, il rumore dell’asciugatore elettrico che spingeva le goccioline verso l’alto. Sembrava quasi che fuggissero impaurite da quel barbaro nemico, il rumore dell’aria, mi collegai con un’altra immagine mentale e un altro ambiente, dentro un aereo, il momento del decollo, il rumore dei motori, immaginai di partire, protetto e chiuso in un corpo di metallo.

L’ultima immagine, bianca e splendente.

La parola cut.

Il comando della divisione. Quello dell’unione.

La notte e il giorno. Il tempo che fluiva.

Un montaggio di pure forme. Una sinfonia visiva.

Gli appunti di Ejzenstein e Nietzsche.

La nascita della tragedia.

Superare il dolore dell’individualità, in comunione con la natura.

La musica e l’estasi. L’ebbrezza e lo sconvolgimento dei sensi.

Il sogno.

La luce.

L’illusione.

Sileno che danza nudo in mezzo ai boschi e continua a cantare:

Non essere nulla, non essere nulla, non essere nulla

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