venerdì 9 novembre 2012

Amsterdam #7



Vagare per le strade e per i canali, per gli stretti vicoli del red light district, vetrina dopo vetrina, illusione dopo illusione, come un cane che segue piste di odori invisibili, giorno dopo giorno, le scarpe gli facevano male e ormai aveva delle vesciche ai piedi, aveva quasi finito i suoi soldi e aveva dovuto lasciare la stanza dell’albergo in cui stava, ormai erano quasi due settimane che vagava per la città, rubando ai turisti, soprattutto la notte, facendo qualche lavoretto, aveva trovato da dormire in una casa occupata dagli anarchici, si era trovato uno spazio al secondo piano, su un materasso, insieme a lui c’erano un ragazzo e una ragazza spagnoli, la casa non aveva porta, quindi ognuno poteva uscire ed entrare, l’acqua non sempre funzionava, come la corrente elettrica, era estate e quindi il freddo ancora non lo spaventava, ma sapeva che sarebbe stata troppo dura rimanere anche oltre l’autunno e in un modo o nell’altro si sarebbe dovuto muovere e andare via e migrare e cambiare e scorrere come fanno tutte le cose nella loro fuggevole esistenza e quando tornava nella stanza e si frugava nelle tasche e tirava fuori quello che aveva trovato, perché vivere era diventato veramente cercare qualcosa, perché nel momento in cui non possedevi più nulla di tutto quello che ti classificava come un normale cittadino allora si spalancavano le porte rosse di un nuovo mondo e anche se ci era entrato strisciando e soffrendo, regredendo allo stadio di bestia aveva trovato la luce più pura all’interno di tutto quel buio e quella luce brillava così nitida e perfetta che ancora non aveva la piena consapevolezza di come l’avesse potuta trovare in quel luogo. pensava mentre camminava. pensava alla natura umana. all’ordine delle cose. pensava che le leggi che regolavano questo mondo erano strane. le leggi non scritte sulla carta ma nel cuore di ogni uomo, sulla superficie del mare, sul tronco di un albero, nelle mani di una donna, una serie di leggi che andavano capite e rispettate e non sempre la successione delle cose, il loro collegamento era così chiaro, a volte si procedeva per paradossi e riusciva a trovare cose esattamente nei luoghi dove non aveva mai pensato di cercarle. tornava a casa e si bucava le vesciche. si bucava anche le vene, ogni tanto, perché i ragazzi spagnoli erano dei tossici e ogni tanto si faceva con loro e ancora non sapeva se cambiare e continuare su quella strada, perché sarebbe stata ancora più difficile e ancora non c’erano la scimmia e i suoi balletti, perché si era bucato solo un paio di volte e c’era la sua luce interiore che ancora brillava e non voleva che fosse l’eroina a oscurarla o forse l’eroina sarebbe diventata una luce ancora più brillante di quella che lui adesso vedeva dentro di sé, allora avrebbe dovuto alimentare quella luce, a turni di otto ore, un antico sacerdote di un’antica divinità, roba nelle vene, l’oscurità del mondo esterno, il calore l’avrebbe riscaldato e lei sarebbe stata la sua dea, sua madre, l’aguzzina, la sadica, la dolce cura alla violenza del suo cuore.

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