sabato 17 novembre 2012

Amsterdam #8



Essere diversi in un luogo diverso, solo, solo questo, se la vita mi desse un’altra possibilità, cosa sarei? cosa potrei diventare? in un paese che non conosco, senza appoggi, senza nessuna protezione, senza legami, sarei io, io solo e avrei la vita davanti e la dovrei afferrare e scuotere e imparare a conoscerla, a rispettare le sue leggi, non le leggi sociali ma quelle della vita stessa... lui fumava dentro il jolly, con la barba lunga, in silenzio, una canna d’erba dopo l’altra, fuori del coffeshop le persone passavano e passavano e passavano... se guardavi il cielo nuvoloso, improvvisamente, si aprivano squarci di luce e i canali, le facciate sbilenche di alcune case prendevano colore e brillavano, ti potevi sedere su una panchina libera e guardare intorno a te e respirare e lasciare che le persone passassero verso i loro mondi privati... dietro le grandi finestre aperte si svolgevano scene di vita quotidiana, gli interni delle case sembravano così invitanti, l’arredamento ricercato, le grandi vetrate, una sorta di continuità tra il dentro e il fuori, uno spazio vitale che non c’erano muri a fermare, lo stesso sguardo era libero di uscire e vagare, forse non fino al cielo, forse non nelle profondità dell’acqua, ma libero di accorgersi della vita circostante se quella che c’era dentro la casa non  fosse bastata e poi... le tende tirate... e le stanze si trasformavano e venivano accese candele rosse e tutto diventava possibile, tutto.
lei prese una frusta dalla parete e disse all’uomo di mettersi in ginocchio e di poggiare le braccia sul letto, gli diede venti colpi e lui li contò, uno per uno, a voce alta.

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