lunedì 5 maggio 2014

homesick #12

Il blu cobalto del cielo, in alto, tra le stradine vicino alla stazione Termini, le luci degli alberghi, ai lati, mentre camminavo senza una meta, seguendo ogni direzione che semplicemente mi ritrovavo davanti. C’era una moltitudine di stranieri intorno a me, di cui non capivo le lingue,  ne ascoltavo i suoni e osservavo come queste persone vivevano nella mia città, in quei territori squallidi e marginali in cui si erano ritrovati a passare le loro giornate. C’erano gruppi di ragazzi africani davanti ai call center o appoggiati agli angoli delle strade, mi sentivo a mio agio quando mi fermavo in mezzo a loro, in silenzio, ascoltando i loro discorsi.

Un uomo della Costa d’Avorio mi ha venduto una bustina d’erba, vicino a Termini, ho parlato con lui in italiano, gli ho offerto una piccola bottiglia di vino rosso e lui mi ha raccontato un pò la sua vita, adesso abitava in una stanza singola in un albergo poco distante, pagava venti euro a notte, con l’erba in tasca ho capito di aver allungato il suo soggiorno in quella camera proprio di un’altra protetta oscurità, con l’erba in tasca ho camminato ancora e ho visto puttane sedute sui motorini e una mi ha salutato e mi ha chiamato tesoro e io le ho sorriso e sono andato avanti e non so quanti giorni prima, dopo aver fumato un po’ di oppio nella cucina di casa, sono uscito e sono andato a fare un giro intorno alla stazione, sentivo qualcosa di luminoso e dorato nelle mie percezioni, qualcosa di caldo e sicuro, era il mio cuore ed era anche l’oppio e forse il paio di birre che avevo bevuto dopo aver fumato e ho incontrato lo stesso uomo della Costa d’Avorio ad un angolo della strada e ci siamo guardati e ci siamo capiti e allora sono andato avanti, vagando ancora ed è stata così bella la sensazione di aver abbandonato la paura e l’incertezza, tutte quelle cose oscure che mi hanno accompagnato nel corso della vita, quelle cose oscure nelle quali ancora mi immergo quando ne ho bisogno ma che ho imparato a lasciare fuori dalla mia esistenza quotidiana, è una porta chiusa che una volta aperta so bene dove conduce, le candele accese, i colpi di frusta, i segni viola sulla pelle. Una porta chiusa, ne posseggo la chiave, so quando aprirla e perdermici dentro, so come chiuderla, conosco la strada del ritorno. 

C’erano uomini sdraiati sui cartoni fuori dalla stazione, i loro vini, le loro sigarette, la miseria era ovunque, c’era ancora luce dentro di me e silenzio e così mi sono incamminato verso casa, il cielo viola, le stelle latenti, i lenti battiti del cuore, la bustina d’erba nella tasca della mia giacca. 


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