alcune
volte non c’era nulla da dire e sarebbe stato meglio rimanere in silenzio,
altre volte ci prendevamo per mano e camminavamo su una spiaggia solitaria o in
un parco o tra le strade affollate di città sconosciute, c’era la sensazione
nitida e precisa di una forma, mentre l’abbracciavo, una forma mentale che il
suo corpo mi trasmetteva, quella forma era una parte di me e mi mancava,
avevamo lo stesso cuore e modi diversi per esprimere i nostri sentimenti e per
chiederci l’amore e per quanto tentassi di renderla felice mancava sempre
qualcosa, qualcosa di essenziale, di semplice e complesso, di lucente e oscuro
e la vedevo andare via triste e silenziosa e in quei momenti sentivo dentro il
mio cuore un sentimento così grande, la voglia di seguirla e abbracciarla e
tenerla stretta e non lasciarla più e altri giorni e altre notti e la
sensazione di qualcosa che non volevo e poi quella di non poterla lasciare e i
momenti di quiete e le delusioni e i sogni che ho infranto, la crudeltà dei
miei gesti, delle mie parole, degli sguardi e tentavo, tentavo di farla felice
e lei mi trascinava giù e cadevo insieme a lei e nelle lacrime, nelle strette
del cuore, trovavo ancora quell’unione e quel sentimento tornava ad essere
unico ed impetuoso e piangevamo, abbracciati e il suo corpo era di nuovo quella
forma nella mia mente e poi mi allontanavo ancora, per tornare a cercarla,
l’avevo fatta prigioniera ed era una gabbia che rinchiudeva anche me, a volte
cerchiamo di amarci senza lasciarci ferite, a volte - il suo sguardo in una
chiesa, uno degli sguardi più belli e profondi e lucenti che abbia mai visto e
non c’era nessun dio ad aspettarmi, nessuna unione, nessuna cerimonia,
cercavamo una via di uscita e un modo per non perderci, non ho il coraggio di
dirti addio, non l’ho mai avuto.
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