Una colazione sull’erba, come in un quadro di Manet
sotto gli effetti di sostanze psichedeliche, un canale quieto davanti ai miei
occhi, una barca che ci scivola sopra, l’acqua opaca, mangio una spacecake,
fumo sativa e mi incammino verso la stazione di Amsterdam, prendo un treno per
Harleem e passeggio per la cittadina, trovo un angolo di calma verde e luce
rassicurante, mi stendo sotto un salice, il vento tra le foglie, mi addormento
nel prisma poliedrico della mia mente, riflessi di arcobaleni appaiono e
scompaiono sotto le mie palpebre.
Nella sala Maria versa gocce di codeina in un piccolo
bicchiere di plastica bianca, ce lo passiamo, poi le luci si spengono e
affondiamo nel caldo abbraccio di poltrone rosse, i tessuti dei tendaggi e
quelli delle pareti, li sento sulla punta delle dita, si apre il sipario e
Antonin cammina senza parlare sul palco, il teatro del silenzio di Mullholand Drive,
metto un braccio intorno alle spalle di Maria, chiudo gli occhi, si creano
visioni di uomini sulle rocce di un dimenticato paese del Messico, i corpi
torturati sulla pietra, gli antichi sacrifici, una farfalla chiusa in un pugno,
gli occhi piramidali dello sciamano, una porta che si apre nel cielo e nella
terra, Antonin seduto in una stanza bianca, il diario su cui scrive, la candela
accesa, la danza del peyote su cumuli di macerie, il deserto mi stava chiamando,
in sogno planavo sulle sue dune, osservavo le rocce, poi mi fermavo su un ramo
di un albero nero.
La vita scorreva in filamenti incandescenti.
Il ritmo dei tamburi.
La melodia della voce.
In volo su mondi capovolti.
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