Sono nella casa di mia madre, è sera,
insieme a me ci sono Marina, Marta e Riccardo, stiamo parlando nella cucina e
io sto preparando la cena. Nella teglia che tiro fuori dal forno c’è una specie
di rotolo di pasta sfoglia, non molto grande e insufficiente per tutti e
quattro. Marta non sembra soddisfatta del risultato e la sua faccia è
contrariata, comincia a dirmi qualcosa di spiacevole, poi lei e Riccardo se ne
vanno. Marina rimane inaspettatamente con me. Chiacchieriamo per un po’, poi
vado nella mia camera a dormire. Sono nel letto e la sento entrare, dormi?
Sussurra piano, no, le dico io. Mi alzo e la seguo nel salotto, è caldo e la
finestra è aperta, lei rolla una canna e la fumiamo guardando di fuori. Le
accarezzo un braccio e forse la schiena e ci sono discorsi che un tempo abbiamo
fatto e che ora sono perduti nel buio della città e delle sue ombre. Non accade
nulla e il suo corpo è solo una dolce presenza accanto a me.
Ho visto nascere e morire i miei sentimenti
infinite volte, sono stato un assassino e un poeta, ora che la pioggia riga le
finestre della sala vuota in cui sto scrivendo nulla di tutto questo sembra
avere più importanza, ogni notte incontro una persona diversa per poi
dimenticarmene nei respiri del giorno, cammino piano sulla mia strada perché
non ho fretta di arrivare, perché nessun luogo della mia vita è mai realmente
esistito.
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