Anche
se ci fosse stato uno schema non sarebbe servito a nessuno, quindi non aveva
importanza segnare in una griglia emotiva i propri stati d’animo, correlati a
colori energetici e presenze pietrificate nei boschi dell’immaginazione, i
tronchi argentei e le foglie dorate, il tempo immobile espanso in cerchi
d’aria, dove nulla si muoveva eppure era tangibile e vivo e presente, le celle
spaziotemporali si spostavano come fossero i tasselli tridimensionali di un
cubo di Rubik psichedelico, le piccole stanze in cui ognuno di noi era
rinchiuso, le pareti di morbida pelle, le vibrazioni, i terremoti che finivano
per distruggere le fondamenta della psiche, i traumi, le fratture lungo la spina
dorsale del mondo, i continenti di desolazione espansi in laboratori d’esistenza,
speci ed evoluzioni, teste gigantesche issate sui pendii delle colline e i
richiami ipnotici degli uccelli dalle mille piume, il dio serpente e i fulmini
che qualche ubriaca divinità ellenica scagliava a caso sulla terra, gli incendi
della memoria e le antiche librerie che assomigliavano a labirinti mnemonici,
l’uomo con la testa di toro e i pilastri di templi distrutti, gli amari liquori
oppiacei e le dolci labbra delle fanciulle del mare, le sentivo ancora cantare,
la sera, disteso sulla sabbia al tramonto e mi chiedevo dove fossero andati gli
anni e le loro reti di bugie e inganni e le rime che qualche poeta aveva inciso
sulla pietra di un muro con segni appartenenti a un alfabeto che nessuno
conosceva, le note improvvise di un’estasi sonora, i bagliori nel cielo, i
lunghi capelli e la pelle, ogni immagine svanisce in sinfonie di liquidi
silenzi.
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dream #143
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