mercoledì 30 gennaio 2019

Aberystwyth #13

Le teorie quantiche che Paul aveva in mente cercavano di colmare con astrazioni matematiche il vuoto infinitesimale che esisteva fra la fine di un respiro e l’inizio di quello successivo. Malcolm girava per Aber in bicicletta e si fermava davanti alle stampelle con i vestiti usati che qualcuno aveva lasciato appese proprio accanto al perimetro del beer garden del Wetherspoon. Prendeva camice e pantaloni, giacche e magliette e li osservava attentamente alla ricerca di strappi o bruciature,  se gli sembravano ancora buoni li infilava in una busta di plastica che ciondolava dal manubrio della propria bici. I suoi movimenti erano frenetici, le anfetamine ancora in circolo, come quelli di Ken quando mi era venuto a prendere alla fermata degli autobus di Llanidloes, più di due anni fa. Malcolm avrebbe cercato di vendere quei vestiti e con i pochi soldi ricavati avrebbe provato a comprare altre sostanze, poi il veloce scorrere dei giorni dell’abbandono, la danza di quelli che non avevano più nome, tutte le aspettative future erano finalmente scomparse, perché era solo la chimica corporea, adesso, a mostrare le direzioni da seguire e le astinenze a stilare le liste dei bisogni da soddisfare, poi spiragli di luce che filtravano dalle nuvole in frazioni di tempo imprevedibili, uno scatto fotografico che catturi linee e composizioni monocromatiche, Ben appoggiato a un muretto della stazione che si accende una sigaretta, la custodia della chitarra posata sul pavimento sporco, fra mozziconi (che qualcuno avrebbe prima o poi raccolto, per fumarli nelle notti insonni di nera agonia) e avanzi di saluti mai dati, le rapide e piccole nuvole di fumo che si dissolvono nell’aria fredda e lo scrittore che assembla parole come fossero intuizioni di un’inconscia architettura cerebrale, trasformiamo i secondi in estasi narrativa, suggerimenti e sussurri cromatici in intervalli di esperienze psichedeliche a venire, a last trip suggeriva sottovoce Ian prima di partire per Las Canarias, Acid Legacy in Wales era il titolo di una ricerca privata che qualcuno avrebbe dovuto portare avanti, fuggendo dai sotterranei dell’Università Balinese, le grottesche e bizzarre statue che Andrew Logan aveva creato, i riflessi scintillanti di pezzi di specchi spaccati e ricomposti in figure di un pandemonio artistico personale e deviato, i travestitismi, i costumi, i residui teatrali di party lisergici in piena decadenza emotiva, trombe soffiate da araldi dalle sembianze di lucertole invecchiate sotto troppo sole andaluso, fughe invernali nei deserti mentali ai limiti di una Tangeri trasformata in una interzona psichica, il tè alla menta, i calici di vino, le sfilate di corpi senza più nessuna identità sessuale riconoscibile, danze meccaniche in movimenti plastici improvvisati, visuali dall’alto, inquadrature stilizzate di volti sconosciuti, cenni di intesa, spille con il simbolo della pace sul punto di sciogliersi in ricordi smembrati, sorrisi in declino, cavità dentali sibilanti, ventiquattro ombre al secondo proiettate nei cinematografi oppiacei, lanterne di ametista, destinazioni che scorrono in serie orizzontali di lettere digitali, le porte che si aprono e le persone che vi entrano dentro, individui in fugace transizione onirica, ci si preparava per la svolta finale, siamo rimasti a guardarci perché non avevamo più nulla da dire, le nubi che vedo scivolare nel cielo non sono altro che ricordi e forme e attimi e creazioni, tutta la vita che, sinuosa e indomita, da sempre mi ha portato con lei.  

Nessun commento:

Posta un commento

dream #143

  Su una spiaggia, in una località balneare, lungo le coste del Galles, ero da solo e mi sono tuffato nell’acqua, c’erano delle correnti che...