mercoledì 12 settembre 2012

industrial #9


Crescevano ragnatele nella mente, potevo vederne i filamenti bluastri, esseri informi e viscidi, con volti quasi umani, mandibole scivolose da cui usciva una sostanza lattiginosa, simile a sperma. Gli operai durante le ore di lavoro, l’energia che usciva fuori dai loro organi sessuali, trasformata in elettricità blu. Erano i residui dei pensieri cattivi e paranoici a dare forma alle ragnatele e i volti degli insetti giganti cambiavano continuamente fisionomia, erano quelli delle persone orribili incontrate durante le lunghe ore della vita normale e la mente, a volte, marciva, intrappolata in quelle gabbie molli e violacee e poi le voci, si insinuavano ronzando tra i pensieri, distorsioni sonore e rumore bianco, che assumeva nuove sfumature, ogni volta che ingerivo una pillola. 
E gli antichi maestri, a differenza delle macchine e del loro complicato funzionamento, che ancora non ero riuscito a comprendere del tutto, insegnavano il silenzio e il vuoto della mente e lo splendore del diamante della realtà. Migliaia di milioni di riflessi che noi chiamavamo il reale, la potenza delle immagini e dei suoni era possibile solo se la mente era libera dal pensiero, dalla ragione, dal virus della parola, allora le percezioni ritornavano come quelle degli uomini preistorici, esplosioni psilocibiniche di colori, l’adorazione del dio-fungo, della grande-cappella-rossa, seduto davanti ai silos che un tempo contenevano gas esplosivi o acqua o soluzioni chimiche ancora da sperimentare. La Fabbrica, oggi, aveva un colore antico, ocra, seppia, come nelle fotografie di qualche folle alchimista di inizio secolo, che celebrava rituali su lastre lucide, sensibilizzate con cloruro d’argento, le misteriose emulsioni che le trasformavano in immagini. 
Il film della mente girava a velocità ridotta, 12 fotogrammi al secondo, i suoni erano dilatati e le ragnatele, lentamente, si formavano. Ero nudo davanti ai silos, il cazzo duro e rosso e pulsante, la cerimonia del dio fungo stava avendo luogo. Guardai il cielo. Era rosso. Esplose una nube, con la forma di un fungo. L’aria divenne immobile. La mia pelle prese fuoco, bruciai, divenni polvere e fui disperso nel vento. Il suono atomico del silenzio. Dentro alla Fabbrica lo splendore della luce era assoluto. 
Divenne notte, mi preparai un tè. Bevvi lentamente, presi dei fogli con i disegni delle macchine, li studiai un poco, poi mi addormentai. 

Le ragnatele erano sparite. 

Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...