martedì 1 gennaio 2013

Amsterdam #14



Era seduto ad un tavolino, davanti ad uno dei canali del quartiere a luci rosse e beveva una lager e il sole ogni tanto usciva fuori dalle nuvole e illuminava una delle vetrine in cui qualche ragazza stava seduta o in piedi, lanciando dolci sguardi ai turisti o agli uomini solitari che ci passavano davanti e lui beveva lentamente la sua birra e aveva dei tatuaggi ormai bluastri, sbiaditi, sulle braccia e pensava alla sua giovinezza, ai viaggi in mare, ai paesi lontani in cui aveva conosciuto donne bellissime nascoste da veli dai colori magnifici e dalle fantasie delicate e floreali, ricordava i loro volti e i loro occhi, ricordava le loro mani quando sistemavano il velo, i primi sguardi, il suono arcaico delle loro parole, voci del deserto, rocce millenarie racchiuse nelle loro gole, i suoni venivano fuori spezzando quelle rocce, graffianti, duri, a volte, come se lottassero per frantumare una barriera di pietra che impediva loro di uscire e quelle stesse donne nascondevano corpi meravigliosi, la loro pelle era un segreto, i loro capelli un mistero da scoprire, ricordava gli oli profumati e i viaggi dell’epidermide, i sogni dell’oppio, quando si stendeva dentro una tenda, nel deserto, a fumare con altri uomini e le donne che portavano cuscini e accarezzavano i loro capelli e le loro barbe e piano scivolava nell’oceano interiore e navigava quieto dentro se stesso e le stelle e gli abissi e ancora gli occhi di una donna che diventavano sempre più lontani mentre due mani materne cullavano la sua testa, erano così remoti quei luoghi e quei volti, era così strano pensare al tempo passato e alle cose perdute e al fatto di essere ancora vivo e di aspettare qualcosa che, inevitabilmente, sarebbe stata la morte. Si accese un sigaro, guardò una nuvola, bevve un altro sorso di birra.
Aveva un tatuaggio del volto di una donna sul braccio. Un volto con un velo.
Lo accarezzò.
Le nuvole, per un attimo, si squarciarono d’amore.

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