Me ne stavo nella stanza già da un paio di ore. Le ragazze
entravano a intervalli di venti minuti. Tutte molto carine, nulla da dire, i
miei collaboratori avevano lavorato bene. I provini seguivano sempre uno stesso
ordine. Le facevo entrare, cercavo di metterle a loro agio, le offrivo qualcosa
da bere. Cercavo di essere spiritoso ma allo stesso tempo volevo ispirare
fiducia. Non che dovessi fingere, in realtà ero sempre stato una persona di
questo tipo. Riuscivo a mettere a loro agio le persone.
Poi le ragazze iniziavano a spogliarsi, io facevo qualche scatto
di prova, cercavo di capire le loro preferenze, se fossero disinibite o meno,
se avessero quella luce speciale negli occhi che mi faceva capire di aver
trovato la ragazza giusta. Poi le domande di rito. Se avesse malattie, se
avrebbe fatto anche scene anal o lesbo o sadomaso. Le solite cose che si
chiedevano. Ogni venti minuti una ragazza usciva e ne entrava un’altra.
L’ambiente che avevo creato era estremamente rilassante e accogliente, le
ragazze, anche le più timide, uscivano sempre sorridenti, anche se l’esito del
provino non era andato un granché. Non davo mai rifiuti diretti, lasciavo
sempre detto che le avremmo richiamate o che potevano farsi vive loro dopo una
settimana. Naturalmente quelle più interessanti non ce le lasciavamo sfuggire.
Prendevamo i dati e tutto il resto e nell’arco di un paio di giorni le
contattavamo.
Dopo che una ragazza fu uscita dissi alla mia segretaria che
avremmo fatto una pausa per un paio di drink. Mi accesi una sigaretta e mi
preparai un gin tonic leggero, guardai il mio orologio (le cinque) e decisi che
finita la pausa avrei continuato i provini fino alle sette e mezzo e poi basta
per quel giorno.
Mi avvicinai ad una delle grandi finestre della stanza e guardai
giù per strada. Praga era stata sempre una città magica per me. Mi aveva
affascinato fin dalla prima volta che ci misi piede, quando ero ancora a
scuola, la gita del quarto anno mi sembra. Non mi ricordavo molto di allora,
avevo passato i cinque giorni della gita praticamente sempre fatto. Era stato
qui a Praga che avevo fumato per la prima volta la skunk, un’erba che nel corso
degli anni ebbi modo di imparare a conoscere molto bene. Altri tempi. Ma ogni
tanto le immagini di quello che siamo stati e di quello che abbiamo fatto
riemergono dall’abisso della mente per scorrere davanti ai nostri occhi.
E questi sono i ricordi.
Diedi un’altra boccata di sigaretta e tornai al presente. Ora la
situazione era delle migliori. Io e un paio di miei soci avevamo un intero
studio per le riprese e il montaggio qui a Praga, oltre a un paio di uffici in
centro. Adesso mi trovavo in uno di questi uffici. Spensi la sigaretta nel
posacenere e diedi una sorsata al gin tonic. Tutte queste ragazze portavano con
loro i propri sogni. Qualsiasi essi fossero, se avevano capacità e talento, io
li facevo diventare realtà.
(salto temporale di trenta minuti in cui il personaggio principale
finisce il suo gin tonic, si fuma altre due sigarette e in silenzio contempla
lo scorrere delle persone dalla finestra continuando a modulare i suoi
pensieri)
Proseguii con le altre ragazze fino alle sette e mezzo, poi altri
venti minuti per alcune chiacchiere con i miei collaboratori. Un paio di
ragazze erano decisamente interessanti, la segretaria mi disse gli appuntamenti
del giorno dopo, poi un’altra sigaretta di gruppo e infine feci uscire tutti e
rimasi da solo. Volevo starmene un po' per i fatti miei, prima, guardando fuori
dalla finestra, era come se mi fossi riavvolto mentalmente su me stesso. Era
parecchio tempo che non badavo ai miei pensieri o per lo meno a quelli più
intimi. Avevo dimenticato quella sensazione di leggero dondolio, di
un’oscillazione mentale che sembrava cullarti in te stesso. Potevi esser
paragonato ad una nave che solcasse un mare caldo, lucente e piatto.
Attraversavi i ricordi con la consapevolezza di essere ormai altrove e di poter
vedere nuovamente quelle cose con distacco, al sicuro. Scivolando.
Mi preparai un altro gin tonic, un po' più forte e mi sedetti su
una poltrona. Presi alcune foto che le ragazze mi avevano lasciato (ognuna di
loro aveva un book fotografico) e fantasticai un po' sul loro aspetto, su
quanto potessero essere dolci o porche al letto o magari tutte e due le cose
insieme. Più una faccia era angelica, pura, di classe, più una fotografia con
un cazzo che le entrasse nella bocca o che sborrasse su quel viso avrebbe avuto
effetto. C’era un qualcosa, in alcune delle foto o dei film che producevo, che
racchiudeva un’arcana bellezza che difficilmente riuscivo a spiegarmi. I corpi
delle ragazze in alcuni momenti sembravano rivelare tutta la loro magia e il
loro mistero e proprio nel momento in cui erano più esposti, senza veli, senza
nulla da nascondere. C’era un qualcosa nei loro volti contratti nell’orgasmo o
scossi dal piacere che in nessun altro modo sarebbe stato possibile catturare.
Il sesso le rendeva libere di esprimersi attraverso il proprio corpo o forse
era solo il mio occhio che riusciva a cogliere questo impulso fisico e a scoprirne
tutta l’incomparabile bellezza. Avevo stretto tanti rapporti di amicizia con
queste ragazze, tutte più piccole di me, tutte poco più che ventenni. Con i
loro grandi sogni, le loro aspirazioni, i loro mondi. Alcune ancora mi
chiamavano solo per farsi due chiacchiere. Con parecchie ci ero stato al letto,
ma mai per pretendere qualcosa. Erano loro che si trovavano bene con me e
decidevano di farsi scopare. E io accettavo e niente, niente era mai più bello
dei loro corpi che si stringevano intorno al mio. Delle loro gambe, dei loro
occhi lucidi, del rossore sulle guance, del sudore e della saliva. Niente era
più bello di quando le vedevo chinarsi e prendermi il cazzo in bocca. Mi
stupivo di quanto amore ci potesse essere nel succhiare una cappella o nel mettersi
il mio cazzo nella fica. Era qualcosa di dolce e personale. Era qualcosa che
condividevamo solamente noi. Era il nostro mondo. Tutto qui.
(salto temporale di un’ora, in cui il personaggio, ancora
abbandonato nel flusso delle proprie considerazioni, si finisce il suo secondo
gin tonic, chiude l’ufficio ed esce, cammina fino a piazza Venceslao e poi
verso il Ponte Carlo dove ammira uno stupendo tramonto)
Le statue del ponte mi guardavano, non avevo niente da dirgli.
Aspettai che il buio arrivasse con il suo fare lento e sensuale. Poi mi
incamminai di nuovo, non avevo molta fame, solo voglia di fare due passi. Le
piccole strade si rincorrevano, mostravano squarci di palazzi, nuove
angolazioni, piccole sorprese. Sorpassai un paio di ristoranti in cui avevo
mangiato parecchie volte, sorpassai alcuni negozi di vestiti (ormai chiusi,
vista l’ora), entrai in un negozio di liquori ancora aperto e comprai una
bottiglia di gin. Pagai e mi incamminai verso il mio appartamento, non molto
grande, ma sempre centrale. A Praga ci vivevo un paio di mesi all’anno. Uno me
lo facevo di inverno (allora la città era veramente magica) e uno a primavera.
Adesso era primavera.
Nell’appartamento, aperto il frigo, mi riscaldai qualcosa e
mangiai. Poi iniziai a bere il gin con l’aggiunta di acqua tonica. Non volevo
sbronzarmi, avevo solo voglia di bere. Bere e stare seduto. Bere e non avere
grandi pensieri. Non avevo voglia di niente di speciale. Solo la concreta
presenza di un bicchiere tra le mie dita. Avevo voglia di sentire il sapore del
gin ghiacciato nella bocca, mentre scendeva per la gola, mentre gonfiava il mio
stomaco. Misi su un vecchio cd dei Beatles, Rubber Soul. Rimasi così, a bere e
ascoltare musica.
Niente da dire. Quello che siamo stati per una vita difficilmente
smetteremo di esserlo. Finito il terzo bicchiere, rimisi la bottiglia in frigo,
insieme all’acqua tonica e misi su un altro cd dei Beatles, Revolver.
Poi fui di nuovo seduto. Chiusi gli occhi.
(lo scrittore è davanti al computer, le immagini svaniscono, torna
la sua stanza, il flusso si è interrotto, la storia finita. Lo scrittore non ha
altre idee da aggiungere, rilegge quanto scritto e corregge. Lo scrittore
continua ad ascoltare i Beatles mentre porta avanti il suo lavoro. Poi si alza
e va a pisciare. Pensa a quanto dovrà fare per la sera. Pensa a tante cose.
Pensa e si sconvolge. Lo scrittore chiude il programma di scrittura e spegne il
computer. Il mondo, fuori dalla sua stanza, continua a imbrogliarlo)
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