sabato 3 novembre 2018

Artist Valley #12

Toby stava parlando al telefono con qualche produttore e intanto si aggirava nello spazio filmico della sua mente, passando da un’inquadratura all’altra come fosse un linguaggio di immagini proibite, la sua voce si attardava in significati lessicali che il tempo avrebbe poi tradotto in sequenze di un progetto audiovisivo di cui la natura sarebbe stata la protagonista assoluta. Era il flusso stesso della vita che andava catturato, il suo manifestarsi in particolari di luce e ombra. Le scintille improvvise sulla superficie ondulata dell’acqua. Toby era davanti al computer e assemblava fotografie in grotteschi scenari post industriali, i colori trascendevano cromatismi magnetici, fluidi adrenalinici scivolavano sulle pareti di acciaio pesante, forme apocalittiche di centrali nucleari sui bordi atomici del futuro, simbiosi, trasmutazioni molecolari, nomadismi iperbolici nelle scissioni a bassa temperatura, gli esperimenti spaziali, le tute bianche e gli sguardi in macchina, continua a girare suggeriva un assistente dalle sembianze metamorfiche, evolversi, evolversi, era l’appello delle entità aliene che trascrivevano complessi scenari geometrici in serie interminabili di combinazioni binarie, prossime partenze per l’India, il Nepal e le foreste amazzoniche per realizzare documentari sciamanici, riprese in volo e primi piani di insetti giganti, foglie e schemi di registrazione, cliniche asettiche, corridoi imbottiti, John mi passava una pasticca, la spezzavo a metà e ne inghiottivo una parte, beatsviolenti e martellanti nell’oscurità, le oscillazioni del fuoco e quelle dei corpi, stelle nel cielo, nuvole e masse di buio, tenui respiri e fiumi ininterrotti di parole, ricordi, drammi infantili, John annuiva e intanto mi dava un po’ di erba per rollare una canna, bisognava spogliarsi dalle proprie inibizioni, uno strato alla volta, fino ad arrivare al centro pulsante del proprio essere, assumevano droghe per questo, sperimentalismi psicologici di matrice chimica, mi trovavo d’accordo con lui e annuivo in silenzio, sapevamo entrambi che la strada del ritorno poteva essere ritrovata e che le probabilità di perdersi per sempre erano le stesse. Gli uccelli tessevano richiami e sonorità ancestrali nell’alba, guardavo il mondo svelarsi ai miei occhi, i pensieri galleggiavano, qualcuno ci avrebbe detto cosa fare e finalmente avremmo capito. O più semplicemente dimenticato.

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